Enzo Marangione
Docente di Filosofia di scuola media superiore a riposo

Sommario: 1. Introduzione – 2. Lo sviluppo del concetto di fraternità nell’antico e nel nuovo testamento – 3. Il concetto illuministico e marxista di fratellanza – 4. Ebraismo e islamismo: fratellanza universale e nuova ermeneutica – 5. Edgar Morin: La Fraternità, perché? –  6. L’Enciclica Fratelli tutti e alcune reazioni critiche del mondo laico e religioso – 7. Considerazioni finali.

 

  1. Introduzione

 

Il tema della fratellanza universale, come valore fondante la convivenza umana, è stato posto di recente all’attenzione del mondo intero da Papa Francesco con l’Enciclica Fratelli tutti, che a sua volta riprende il tema del documento firmato nel 2019 ad Abu Dhabi con il Grande Iman di Al Azhar. Ampi consensi del mondo laico e religioso non sono mancati, ma in alcuni casi la lettura dell’Enciclica è stata riduttiva e superficiale, se non capziosa, sconfinando perfino nell’accusa a Francesco di relativismo religioso, di proposta irrealistica, di utopia antimoderna.

La finalità del presente lavoro non è quello di scendere nell’agone delle polemiche, quasi sempre sterili e senza prospettive, o di commentare Fratelli tutti, ma di approfondire un tema, che percorre i sentieri della storia, e di confermare o meno la possibilità di approdare ad un éthos di fratellanza universale, che possa conciliare i differenti punti di vista iniziali con obiettivi comuni, salvaguardando la propria identità.

Nell’accezione comune il termine fratellanza indica un sentimento duraturo reciproco d’affetto secondo un vincolo di sangue. Per estensione indica anche quel sentimento di solidarietà che lega le persone tra loro come “fratelli” quando sono accomunati dagli stessi ideali e scopi.

Sebbene i due termini vengano usati comunemente in senso univoco, c’è distinzione concettuale tra il termine fratellanza nell’accezione propria delle concezioni filosofiche e scientifiche, affermatesi storicamente, e che fondano l’ideale del mutuo aiuto sul concetto di natura e di ambiente, e quello di fraternità, che le religioni monoteistiche ascrivono a tutti coloro che riconoscono la paternità di Dio. L’idea di fratellanza, che ha trovato nell’illuminismo la sua maggiore connotazione, richiama un vincolo umano che viene dal basso, mentre la fraternità predicata dalle religioni monoteistiche viene dall’alto ed è il riconoscimento di un legame che ha il suo fondamento nella comune origine divina.

Un interrogativo di fondo sorge allorché si invoca la fratellanza universale: come sia possibile conciliare la “chiusura” di tutti coloro che condividono le stesse concezioni religiose, filosofiche o scientifiche con la necessità di apertura verso l’estraneo, il prossimo, nel momento in cui si voglia indagare una linea di confine che stabilisca ciò che unisce da ciò che separa. Un ulteriore interrogativo riguarda il dubbio sulla sua effettiva realizzazione storica senza risolverla in ideologia. Alle due domande ineludibili non ci si può sottrarre vista l’importanza della posta in gioco.

Nel parlare di fratellanza universale, il cardinale Ratzinger ha definito con chiarezza i termini del problema, distinguendo un éthos interno da un éthos esterno, differenziando cioè «un’obbligazione etica verso l’interno, vigente entro la grande famiglia (…) diversa da quella che si ha verso l’esterno. In altre parole: l’idea ampliata di fratellanza crea necessariamente due diverse zone dell’ethos, un ethos verso l’interno (tra fratelli) e un éthos verso l’esterno. (…) qui viene a galla una tensione di fondo, che è insita nell’éthos umano in generale, ma si manifesta nella maniera più netta nel concetto di fratellanza, pure in senso cristiano…»[1].

Del rapporto dialettico tra i due éthos e della loro possibile ricomposizione in un éthos universale si terrà conto analizzando i vari contesti presi in considerazione.

 

  1. Lo sviluppo del concetto di fraternità nell’antico e nel nuovo testamento

 

Nell’antichità greca il termine fratellanza veniva applicato genericamente in senso traslato, come duratura appartenenza e unità di intenti al connazionale contrapposto allo straniero, il barbaro, ma non esiste una riflessione consapevole che abbia un riscontro documentale sul piano morale e giuridico. Nel linguaggio del Vecchio Testamento si trova, invece, una consolidata e chiara distinzione tra fratello e prossimo. Il fratello è colui che appartiene all’unico popolo eletto di Dio, il padre comune, nel cui nome sono unificate l’identità religiosa e quella nazionale. È Dio stesso che ha stabilito il legame preferenziale con Israele e che da Dio stesso potrebbe essere rigettato in qualsiasi momento, così come ripetutamente minacciano i profeti di fronte alla ricaduta nell’idolatria degli ebrei. L’esclusività dell’elezione non esclude che il Dio nazionale non sia anche il Dio universale, di tutta l’umanità generata da un unico atto creativo, come si legge nella Genesi.

Se la paternità di Dio gioca a favore della comune origine, l’elezione esclusiva di Israele e dei padri dell’alleanza, Abramo, Isacco, e Giacobbe conferma la doppia zona, una distinzione che solo nel N.T. troverà una risposta conclusiva[2]. Nel tardo giudaismo per giustificare la libera predilezione per il popolo di Israele, si sviluppò l’idea che Iavhè avrebbe offerto a tutti i popoli la Legge, ma che solo Israele l’avrebbe accettata e scelto Iavhè come unico Dio. Ciò giustificherebbe la chiusura verso coloro che avevano rinunciato alla sua paternità e alla fratellanza universale, pur avendo in comune come padre prima Adamo e successivamente Noè (= in ebraico Noach o Noah) come progenitore della nuova umanità scaturita dopo il diluvio[3]. L’elezione di Israele, tuttavia, non è esclusiva: la sua storia si inquadra nella storia universale dell’unica umanità, derivante dall’unica azione creatrice di Dio[4].

Durante l’età ellenistica le nuove forme di comunità religiose, che prendono a prestito credenze e pratiche religiose orientali con carattere salvifico, si differenziano dalle religioni ufficiali per il loro carattere misterico. Sono gruppi ristretti che sottopongono a una specifica iniziazione coloro che desiderano farne parte e che diventavano così fratelli, come è attestato nel culto di Mitra. Il termine fratelli lo si trova anche presso la comunità degli Esseni, che Giuseppe Flavio annovera tra le sette filosofiche giudaiche. Questi erano «legati da un mutuo amore più strettamente degli altri», «…essendo gli averi di ciascuno uniti insieme, tutti hanno un unico patrimonio come tanti fratelli»[5].

Sempre in età ellenistica, con il neostoicismo si sviluppa una concezione cosmopolita che scopre l’unità del tutto, del mondo e degli uomini, fondando un éthos comune di fratellanza sul concetto di Dio. Con lo stoicismo la giustificazione ontologica delle differenze perde validità rispetto al connotato antropologico universalistico, rispetto cioè al naturale rapporto di fratellanza.

Il Cristianesimo, che riconosce la fratellanza umana sulla comune paternità di Dio, si distingue nettamente sia dalla fratellanza che unisce gli adepti delle sette misteriche uniti nella ricerca della purificazione e della rinascita, sia da quella stoica, che panteisticamente ha un concetto impersonale di Dio, inteso come Logos/Ragione e Fato. Il rapporto tra iniziati ed estranei non è ancora definito dialetticamente da un éthos esterno.

Nel Nuovo Testamento il concetto di fraternità si fa strada solo gradualmente. L’espressione inizialmente conserva il tradizionale significato ebraico per poi affrancarsi definitivamente, quando la comunità cristiana diventa chiesa autonoma. L’attribuzione di fratello a tutti coloro che fanno parte della nuova comunità è evidente in Matteo, negli Atti degli Apostoli, nelle lettere di Giacomo e di Giovanni[6].

Inizialmente anche Gesù, così come è presentato nei Vangeli, adotta il linguaggio della tradizione ebraica. Il superamento dell’elemento rabbinico lo ritroviamo in Mt 23,8 allorché Gesù raccomanda di non farsi chiamare rabbi, «perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli». In Gesù c’è la consapevolezza di quello che i discepoli avrebbero significato in futuro. Scegliendo il numero 12, in parallelo con i 12 figli di Giacobbe, capostipiti delle tribù di Israele, si dava inizio al nuovo popolo di fratelli di cui essi erano i capostipiti spirituali.

La nuova fraternità è pienamente definita dalla risposta di Gesù alla domanda «Chi è mia madre, chi sono i miei fratelli?: Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre» (Mc 3, 31-35). Alla parentela di sangue Gesù sostituisce la parentela spirituale. Nel Vangelo di Matteo la fratellanza si allarga a coloro che sono nel bisogno, nella miseria, nella meschinità. Il contesto è certamente nuovo in quanto il messaggio si apre universalmente a tutti coloro che non condividono la stessa fede. In una prospettiva escatologica il termine viene esteso non solo a coloro che hanno accolto il messaggio di Gesù ma ai più bisognosi: «In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt. 25, 40).

Da questo momento in poi il prossimo non si identificherà solo con il connazionale e con il correligionario, sarà una fratellanza che cancella i confini, grazie al legame spirituale in Cristo. Dal punto di vista teologico San Paolo supera il concetto ebraico della paternità divina riconducendolo alla dimensione trinitaria: è solo attraverso la figliolanza divina di Cristo e alla sua mediazione che noi diventiamo figli e fratelli nello Spirito, dal momento che è lo Spirito a farci chiamare Dio Abba, Padre (Rm 8, 15).

Se in Adamo la fratellanza era nel peccato, c’era una comunione nel male, la nuova fraternità in Cristo porta ad una unità salvifica tendenzialmente universale. Tutti, infatti, possono e devono diventare fratelli in Cristo. «Ogni uomo può diventare cristiano, ma solo chi lo diventa   realmente è “fratello”». In tal modo il confine non è illimitato: al confine nazionale subentra il confine spirituale tra fede e mancanza di fede. L’apertura verso il prossimo, dunque, è la missione che Gesù ha affidato alla Chiesa. La dualità che si configura nel cristianesimo di Chiesa e non di Chiesa, pertanto, non la contraddice perché l’opera del suo fondatore «non mira propriamente alla parte, bensì al tutto, all’unità dell’umanità. Solo che questa salvezza del tutto avviene, secondo il disegno di Dio, nel contesto dialettico tra i pochi e i molti, dove i pochi sono il punto di partenza, mediante cui Dio vuole salvare i molti»[7].

Anche se la philadelphìa (lamore fraterno) si deve praticare verso il fratello nella fede («operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede» – Gal. 6,10), l’agàpe (amore) deve allargarsi, dunque, verso tutti. La parabola del figlio prodigo per la Chiesa assume un valore paradigmatico, nel senso che la contrapposizione tra i due fratelli è sempre relativa: pur nella contrapposizione rimangono sempre fratelli, e il riprovato non perde il diritto alla figliolanza. Questa diritto è estensibile anche a chi non crede in Gesù a ragione della figliolanza divina di tutta l’umanità. Eletti e riprovati, vicini e lontani, stanno gli uni accanto agli altri e sono gli uni per gli altri, perciò la Chiesa in qualità di comunità eletta non si può isolare e separare dal non-popolo: la sua elezione si identifica con un ineludibile mandato missionario. Il suo compito non consiste nel condannare il fratello errante, ma nel salvarlo, per essere veramente fratello. Il destino del fratello errante è affidato al primo fratello[8].

 

  1. Il concetto illuministico e marxista di fratellanza

 

Con l’illuminismo il concetto tradizionale di fratellanza originata dalla comune paternità di Dio viene accantonato definitivamente e sostituito dall’uguaglianza naturale di tutti gli uomini, in quanto partecipi di un destino storico di progresso, percepito e vissuto come comune. Con la rivoluzione francese il concetto di fratellanza universale divenne il principio ispiratore di un vero e proprio programma politico racchiuso nel celebre motto Liberté, égalité, fraternité. Nel segno della fratellanza sono inclusi tutti i popoli accomunati nell’opera di riscatto dalla tirannia e dall’arbitrio.

Con l’abbattimento radicale di tutti gli steccati il problema del rapporto dialettico tra il vicino e il lontano, si risolve con l’unificazione completa dell’éthos interno e dell’éthos esterno in un éthos universale. Il concetto di un’inclusione generalizzata, tuttavia, perde concretezza e significato proprio nella sua ingenua genericità: «In questa decisa eliminazione dei confini c’è indubbiamente qualcosa di grandioso, che però viene acquisito a un caro prezzo: la fraternità troppo estesa diventa irrealistica e priva di significato»[9]. La rivoluzione smentì il programma illuministico proprio nella sua realizzazione con la distinzione cruenta tra la cerchia fraterna interna dei rivoluzionari e la cerchia esterna dei non rivoluzionari. I limiti ideologici che accompagnarono l’esportazione europea della Rivoluzione sono noti, ma l’ideale di fraternità politica sopravvive e viene ripreso oggi nell’idea di cittadinanza inclusiva orientata a un ordinamento cosmopolitico.

Nella concezione marxista il valore della fraternità universale non si appoggia sull’idea della paternità comune di un dio, ma sulla comunanza nella lotta contro il comune nemico; lotta che costituisce l’essenza della storia secondo l’ideale dell’emancipazione socialista. L’umanità si divide in due gruppi antitetici, dialetticamente contrapposti: da una parte i padroni, i capitalisti sfruttatori, i “nemici” per antonomasia, dall’altra gli schiavi, i servi, i proletari, cioè gli sfruttati, che nella lotta per riscatto umano e sociale si definiscono compagni e non fratelli.

La prospettiva rivoluzionaria è quella di instaurare una società senza classi che affrancherà dallo sfruttamento alienante dell’individuo, recuperando la propria natura. Diversamente dall’illuminismo che faceva appello ad una fratellanza universale c’è un ritorno, dunque, alle due zone etiche. Non c’è più nulla della fratellanza paritaria di tutti gli uomini! Secondo Marx è la divisione sociale che inizialmente fornisce all’uomo la legge della sua azione e dalla quale non può sottrarsi. La lotta dell’umanità così dipartita è proiettata verso una riunificazione escatologica, verso uno stato permanente di società senza classi. Il superamento di tale alienazione storica, il ritorno alla natura pura, non si realizza attraverso il richiamo indeterminato ad una fraternità universale proprio dell’illuminismo, bensì adottando la lotta armata. Il fine utopico è certamente la fratellanza senza distinzioni di tutti gli uomini, ma la via indicata è l’ammissione di una umanità bipartita e contrapposta.

 

  1. Ebraismo e islamismo: fratellanza universale e nuova ermeneutica

 

4.1. L’Ebraismo. La paternità di Dio che abbraccia l’umanità intera come creatore caratterizza anche la comunanza di visioni della religione ebraica e di quella islamica.

Nel commentare l’Enciclica Fratelli tutti, Massimo Giuliani, docente del pensiero ebraico nelle università di Trento e di Urbino e di Filosofia ebraica nei corsi di studi ebraici dell’Ucei, scorge in essa, «alla luce dell’idea di “amicizia sociale” (…), più di una convergenza tra sensibilità cattolica e visione ebraica sui valori etico-religiosi della vita, della solidarietà, del dovere di alleviare le sofferenze del prossimo, di promuovere la riconciliazione sociale e la vera giustizia»[10].

Secondo Giuliani, pur non essendo facile parlare di fratellanza nel mondo delle religioni monoteistiche, con riferimento all’unico padre, quando nel corso dei secoli gli avversari nella fede sono stati visti come nemici, come fratelli in competizione, non si può negare che di recente, stando a una più corretta e profonda ermeneutica, è cambiato l’approccio rabbinico. Se l’antico precetto «amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lv 19,18) era riferito ai connazionali e corregionali, con il giudaismo sviluppatosi fuori della terra di Israele la fratellanza ha allargato i suoi confini secondo il precetto di «Non fare a nessuno ciò che non piace a te» (Tb 4,15).

Solo riconoscendo la diversità tra le religioni abramitiche è possibile riscrivere una storia di lotte che non precluda una riconciliazione futura. «L’elezione degli uni non significa mai il rifiuto o la maledizione degli altri, rivela piuttosto vocazioni diversificate, persino rivelazioni/alleanze diverse con linguaggi diversi per popoli diversi da parte dell’unico Dio»[11]. Il convincimento pieno che tutti i popoli sono fratelli è una conquista recente che trova nel Deuteronomio e nei precetti di Noè (Noach)[12] un precedente etico nel dovere di «Non disprezzare l’Edomita, perché egli è tuo fratello. Non disprezzare l’Egiziano, perché sei stato straniero nella sua terra» (Deuteronomio 23,7).

«è il Talmud che formula i precetti noachidi, a sancire e fondare i doveri dei non ebrei, e di converso il diritto, ossia i loro diritti, non solo etici ma anche sociali e politici dal punto di vista ebraico»[13]. Pertanto, l’espressione amerai il tuo prossimo rabbinicamente richiama il dovere verso i propri simili che Dio ha creato prima di te e ti ha posto accanto. Il principio fondamentale di amare prossimo di un amore universale «è proclamato non solamente come l’ideale sostenuto dalla Torah, ma come la sola e vera norma regolatrice delle relazioni umane»[14].

 

4.2. L’Islam. L’enciclica Fratelli tutti è stata apprezzata anche da quel mondo islamico moderato, che si riconosce nel Documento sulla fratellanza umana firmato nel 2019 ad Abu Dhabi, con la convinzione che l’appello del Papa e del Grande Iman favorirà il dialogo tra persone di diverse religioni, etnie e culture e potrà dare un ampio sostegno alla libertà religiosa.

Massimo Campanini, islamista e storico della filosofia islamica, concorda con Francesco «perché il documento pone una prospettiva agli esseri umani, indipendentemente dal loro credo religioso o politico, (…) li ha chiamati a convivere come fratelli. Questo è uno dei mattoni per la costruzione di un solido rapporto di amicizia anche con il mondo islamico»[15].

Campanini mette in evidenza come il versetto del Corano 49,13 sia il passo decisivo sul tema della fratellanza universale. Tutti gli uomini appartengono ad un’unica specie e c’è un’assoluta somiglianza tra uomini e donne da cui è scaturita tutta l’umanità: «O uomini! In verità vi abbiamo creati da un maschio e da una femmina e vi abbiamo costituiti in popoli e tribù perché vi conosciate a vicenda»[16].

Il legame di fraternità prima biologica e poi culturale si fonda, dunque, sull’unica matrice stabilità da Dio. Se Dio non ha costituito un’unica comunità umana è perché vuole che gli uomini gareggino nel bene e si distinguano sull’entità del bene compiuto: «Se Dio avesse voluto, avrebbe fatto di voi una sola nazione: non lo ha fatto per provarvi mediante ciò che vi ha dato. Gareggiate dunque in opere buone!»[17].

Per Campanini l’Islàm rifiuta qualsiasi concetto di supremazia razziale, nazionale, etnica, sociale. L’unico criterio con il quale stabilire una gerarchia di merito tra gli uomini è il timore di Allah. «è questa secondo il Corano la dimensione autentica della pietas, che non deve essere agita puramente sul piano cultuale, ma in primo luogo sul piano dell’interazione sociale»[18]. L’ethos coranico, tuttavia, distingue nettamente i credenti, come appartenenti alla comunità, dai non credenti.

All’origine della predicazione di Maometto ascoltavano e forse condividevano il messaggio anche numerosi fedeli cristiani, chiamati giudei e nazareni (nel Corano Gesù non è riconosciuto come Cristo), mentre l’ostilità successiva può essere spiegata solo per ragioni di interessi economici e politici[19].

Campanini concorda con la distinzione tra credenti e musulmani fatta dal pensatore sudanese Muhammad Mahmud Taha, condannato a morte dal governo sudanese per eresia, secondo il quale il primo messaggio di Maometto era rivolto ai credenti, mentre il secondo si rivolgeva ai musulmani, a tutti coloro che anche in un futuro utopico avrebbero professato il monoteismo, il solo destinato a realizzare la fratellanza umana universale.

Il monoteismo ha il suo fondamento nella stessa natura umana. L’Islam per Taha non è una religione storica ma naturale: pertanto, tutte le religioni monoteiste hanno in comune la stessa radice naturale e chi è nato nella religione naturale con diritto si può chiamare musulmano. È la parentela a farne un ebreo o un cristiano[20].

Come giustificare, allora, la guerra santa? Secondo Taha e Campanini le sure medinesi, le più politiche del Corano, si giustificano storicamente col fatto che dopo la conquista di Mecca e Medina alcuni ebrei e nazareni non volevano riconoscere l’autorità di Maometto sottoponendosi alla legge islamica.

Il pagamento del testatico, perciò, non avendo un carattere chiaramente religioso, ma politico, compensava il dissenso.  Nel versetto Q, 9,29 si dice che bisogna combattere coloro che non credono in Dio e i seguaci del Libro, finché non versino il testatico che rende soggetti protetti.

È importante annotare, a tale proposito, che nel Corano per indicare il combattimento viene declinato il verbo qatala e non il termine ambiguo jihad (sforzo, impegno, lotta al limite sulla via di Dio) usato solo successivamente nell’accezione di guerra santa[21]. Purtroppo, la difficoltà di riconoscersi in una naturale fratellanza è condizionata da contrasti di natura geopolitica che coinvolgono le religioni monoteistiche.

Pur tuttavia rimane fermo il fatto che la fratellanza umana è universale in quanto tutti gli uomini e donne sono figli di Adamo e musulmani.

 

  1. Edgar Morin: La Fraternità, perché?

 

Il filosofo e sociologo francese Edgar Morin recentemente si è chiesto, in nome di una religione laica, perché oggi abbiamo bisogno della fraternità[22]. La sua risposta è chiara. Di fronte a una crisi globale, insieme ecologica, sociale, politica e spirituale si sente l’urgenza di un umanesimo planetario come antidoto alla catastrofe che ci sovrasta.

Con riferimento ai tre ideali della Rivoluzione francese libertà, uguaglianza, fraternità, Morin sostiene che i tre termini non si integrano automaticamente perché «la libertà, soprattutto economica, tende a distruggere l’uguaglianza (…) Al tempo stesso, imporre l’uguaglianza mette a rischio la libertà. Il problema è, allora, quello di saperle combinare. Ma se si possono scrivere norme che assicurano la libertà o che impongono l’uguaglianza, non è possibile imporre la fraternità tramite la legge»[23]. E chiarisce. Se nessuno può imporre la fraternità dall’esterno è necessario ricercarne la fonte originaria, che può essere solo dentro ciascuno di noi. «Le fonti del sentimento che ci portano verso l’altro, collettivamente (noi) o personalmente (tu) sono le fonti della fraternità»[24].

La fraternità per Morin non è solo un buon sentimento, ma un modello di vita che ha una dimensione politica e genera società vivibili, cioè società aperte, dove il patriottismo – valore costruttivo tanto quanto il nazionalismo è distruttivo – permette «una fraternità aperta, particolarmente quando riconosce piena umanità allo straniero, al rifugiato, al migrante». È nei momenti drammatici, come il recente lockdown, che si risveglia quel bisogno «del noi e del tu che riconosce te come soggetto analogo a sé e vicino affettivamente a sé pur essendo altro»[25].

La fraternità ha basi biologiche e antropologiche, prosegue; esiste nelle persone, nella società e nella natura, dove si trovano moltissime forme di mutuo appoggio e perfino di simbiosi. Morin fa sua la tesi fondamentale del pensatore libertario, studioso anche dell’evoluzione, Petr Kropotkin (1842-1921), tenace avversario delle tesi di Darwin e della giustificazione pseudo-scientifica del darwinismo sociale di Thomas H. Huxley. Per K. la legge scientifica del mutuo appoggio (altruismo, cooperazione) costituisce la spinta evolutiva dietro ogni forma di via sociale, dai microorganismi all’uomo.  Non si può negare che in natura come nella società la fraternità convive con la competizione e la volontà di sopraffazione: da sempre la vita e la morte si rincorrono e si intrecciano.  Ma coltivare la fraternità conviene perché nessun individuo può realizzarsi da solo: l’io ha bisogno di un “tu” per confrontarsi e svilupparsi, ha bisogno vitale di relazioni[26].

Per resistere alla crudeltà del mondo, come cita il sottotitolo del libro di Morin, la fraternità deve diventare lo scopo costante, il nostro cammino, il cammino dell’avventura umana, una scelta politica. La fraternità va coltivata e va continuamente rigenerata, superando la tentazione di chiuderci in noi, escludendo gli altri in un nazionalismo disumano, e di aprirci a una fraternità allargata che riconosce piena umanità allo straniero, al rifugiato, al migrante.  La comunità comune diventa la nostra Patria, il nostro destino.

Eppure la fraternità esiste e la ritroviamo nelle oasi dove si coltivano relazioni, dove ci si disintossica del consumismo e dall’individualismo, dove si sperimentano economie solidali. Dovremmo ricominciare da queste oasi per rigenerare la fraternità e farla diventare un valore fondante della nostra convivenza sociale. All’impegno per far fronte alla catastrofe incombente di un mondo pieno di rancore e di odio, si accompagna anche la salvaguardia della nostra casa comune, la terra: «Ripetiamolo: la presa di coscienza della comunità di destino terrestre dovrebbe essere l’evento chiave del nostro secolo. (…) Siamo solidali in e con questo pianeta. Siamo esseri antropo-bio-fisici, figli della terra. La nostra Terra-Patria»[27]. Cambiamo strada. Non ci si salva da soli.

 

  1. L’Enciclica Fratelli tutti e alcune reazioni critiche del mondo laico e religioso

 

Con la pubblicazione dell’Enciclica pastorale Fratelli tutti Papa Francesco rende sistematico tutto il suo magistero precedente all’insegna della fraternità e dell’amicizia sociale, riproponendo l’appello alla pace, alla giustizia, alla fraternità con cui si apre il Documento sulla fratellanza umana firmato nel 2019 ad Abu Dhabi con il Grande Iman di Al Azhar. È la complessa e problematica realtà in cui viviamo, scrive il Papa, che esige una presa di coscienza dell’urgenza di fraternizzare per non sprofondare nel baratro dell’apocalisse, perché non ci si può salvare da soli.

Il punto di partenza è la consapevolezza del paradosso della nostra epoca: alla crescente globalizzazione corrisponde la frammentazione e l’isolamento che hanno reso difficile risolvere i gravi problemi che affliggono il mondo intero e che la pandemia Covid 19 ha reso ancora più evidenti. Si sta imponendo, peraltro, un modello economico unico mondiale che favorisce i mercati e declina il destino dei popoli solo nel loro ruolo di consumatori. Il globalismo favorisce i più forti, ma rende più vulnerabili e dipendenti i paesi più poveri. Benedetto XVI constatava, infatti, che «La società sempre più globalizzataci rende vicini, ma non ci rende fratelli» (Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 19).

La reazione opposta, ma analogamente distruttiva, è una nuova esplosione di rivendicazioni particolari, che riaccendono conflitti anacronistici e spingono verso nazionalismi chiusi, esasperati, risentiti e aggressivi. Le «nuove forme di egoismo e di perdita del senso sociale mascherate da una presunta difesa degli interessi nazionali» (n.11) danno nuova linfa alla cultura dello scarto. Per Papa Francesco solo la dinamica dell’amore, alla maniera del Buon Samaritano, rappresenta la chiave di volta per affrontare e risolvere la crisi che colpisce l’umanità e la terra che la abita. Il riconoscimento del valore di ogni persona umana è determinante ed essenziale per costruire la fraternità universale e l’amicizia sociale. Per questo un ruolo importante spetta alle diverse religioni, che «basate sul rispetto per ogni persona umana come creatura chiamata ad essere figlia di Dio, contribuiscono in modo significativo alla costruzione della fraternità e alla difesa della giustizia nella società» (n. 271).

Nel rivolgere un invito pressante a tutte le istituzioni sociali, politiche ed economiche internazionali a promuovere e attuare il rispetto per il valore di ogni essere umano, il Papa attribuisce all’ONU il compito di «dare concretezza al concetto di “famiglia di nazioni”» lavorando per il bene comune, lo sradicamento della povertà e la tutela dei diritti umani. (n. 173). Sebbene l’Enciclica abbia avuto una risonanza mondiale, com’era prevedibile, e l’appello del Papa sia stato accolto con adesioni convinte, un duro attacco è venuto da alcuni settori del mondo laico e cattolico.

Molti laici, purtroppo, continuano ancora a utilizzare categorie politiche e/o sociologiche come chiave di lettura dei Documenti del magistero cattolico, contraddicendo un’analisi, che cammina più propriamente sul binario della teologia morale. Sul versante cattolico, invece, le critiche severe hanno comportato solo disorientamento e divisione soprattutto per il tono animoso che ha oltrepassato il campo della verità e della carità.

Registro qui solo alcune voci critiche da entrambe le posizioni, che richiederebbero una risposta più articolata in un contesto diverso.

Loris Zanatta, professore di Storia dell’America Latina all’Università di Bologna ed esperto di storia argentina, ha contestato al Papa l’utopia antimoderna di Fratelli Tutti, che considera un manifesto ideologico in nome dei populismi latini sudamericani, e che invece di criticare il Capitalismo lo condanna senza sconto come unica causa di tutti i mali recenti e passati, a differenza dei suoi predecessori. Per Zanatta l’enciclica non è altro che una sequela di accuse ai valori liberali come causa di disgregazione[28].

Salvatore Natoli, ordinario di Filosofia teoretica alla Facoltà di scienze della formazione dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, nel commentare l’Enciclica, pur apprezzando da laico l’invito alla fraternità come libera disposizione dell’animo senza contropartita, riconosce che «a caratterizzare il cristianesimo è sempre di più la dimensione della ‘caritas’ e sempre meno quello della Trascendenza: Fratelli tutti mi pare che lo testimoni con coerenza (…) La Trascendenza non è negata, ma sempre meno nominata. Ma non c’è bisogno di una negazione esplicita se la cosa diventa irrilevante»[29].

Nell’ambito della Chiesa le riserve e le critiche provenienti da alcuni settori, etichettati tout court come antibergogliani, hanno acuito le divisioni e creato disorientamento tra i fedeli. Le accuse più ricorrenti, elencate sotto, sollecitano in questo caso una replica, sebbene non circostanziata, che si affida a un criterio di lettura del Documento, formalmente corretto, che riconduca, aldilà delle molteplici e legittime riserve, alla dimensione autentica con cui è stato scritto, cioè quella pastorale, che non rende marginale la Dottrina.

  • In Fratelli tutti è stato intravisto un palpabile relativismo religioso in assenza di una dimensione soprannaturale: l’enciclica, si sostiene, non contiene escatologia, la sua prospettiva di questo mondo è priva di speranza. Sotto l’aspetto antropologico la condizione incompiuta dell’umanità non è ritenuta conseguenza del peccato originale e questo ridimensiona e rende debole la strategia pastorale di Francesco. Anche se si accenna al Vangelo quale sorgente di fraternità, sembra che la fratellanza possa realizzarsi solo per il fatto di appartenere all’umanità. Francesco «ripropone un tentativo di unificazione, da cui come tale anche la Framassoneria è nata»[30].
  • Il richiamo del Papa alla fraternità universale annulla tutte le distinzioni religiose e culturali, c’è solo l’uomo che affratella naturalmente agli altri uomini sulla mera base di istanze sociali o di un amore non ben precisato. L’invito alla fraternità e alla socialità «non può da solo guidare le anime a un recupero di senso e di profondità»[31].
  • La proposta del Papa è “irrealistica. Per il cristiano la fraternità nasce da una convinzione dell’animo, ancorata alla missione salda e credibile di Gesù Cristo e non per una generica appartenenza ad un comune Padre creatore. L’accenno al Vangelo come sorgente di fraternità (Fratelli Tutti 277) non risolve il problema se Gesù è ridotto ad un modello di moralità, nella «convinzione che il suo insegnamento e il suo esempio sarebbero in fondamentale accordo con l’insegnamento morale delle altre religioni (…). La paternità di Dio, invece, fondata sul suo essere creatore di tutti gli esseri umani, non è adeguata per gli obiettivi che Francesco desidera raggiungere all’interno della società globale»[32].
  • È destinato a un declino inesorabile un cristianesimo rinunciatario, che non diffonde la visione della fraternità di Gesù Cristo come vero Figlio di Dio, senza la quale non è possibile neppure un agire etico di lunga durata.

Per non fraintendere l’appello del Papa e non incorrere in errori di valutazione è necessario rileggere integralmente il suo magistero. Si avrà la conferma che Francesco ha il cuore aperto al mondo intero senza cedimenti dottrinali. Se le obiezioni sono sempre legittime in un quadro di approfondimento critico, non è del tutto ragionevole pretendere, in un documento non dottrinario ma pastorale, una lezione di cristologia o di dogmatica mentre suona l’allarme di una catastrofe imminente.

Se la narrazione, dal tono quasi familiare non dottrinale, di Bergoglio in Fratelli tutti si discosta dalla scrittura stringente e impersonale dei suoi predecessori, la ragione vera, non compresa, è che il Documento è rivolto a tutte le istituzioni laiche e religiose del mondo non esclusivamente alla Chiesa cattolica. Pertanto, perché rimarcare la peculiarità cattolica, che apparirebbe divisiva, se le differenze di natura teologica o socio-politica degli interlocutori sono reali, incontrovertibili e noti? Verrebbe meno il principio ispiratore di Fratelli tutti all’armonia sociale e Francesco contraddirebbe se stesso e il suo impegno al dialogo interreligioso.

Per Francesco l’urgenza di far fronte alle sfide della globalizzazione e del destino della terra non lasciano spazio a distinguo e a ulteriori richiami dottrinali, che rimangono, come ha più volte ripetuto fin dall’inizio del suo pontificato, ben definiti dal Magistero pontificio, dal Catechismo della Chiesa cattolica e dalla Dottrina sociale della Chiesa. Valga per tutti i credenti, dunque, l’esortazione di San Paolo di esaminare sempre ogni cosa e di tenere ciò che è buono (1Ts, 5,21), perché Dio è testimone e provvede alla sua Chiesa, che non saremo noi a salvare.

 

  1. Considerazioni finali

 

Due sono gli interrogativi che si pongono alla fine di questo exursus e che richiedono risposte più avvedute.

Il primo, riguardante il rapporto dialettico tra un èthos interno e un éthos esterno, trova una risposta pertinente e positiva, almeno teoricamente, nelle ragioni filosofiche, scientifiche e religiose di coloro che attribuiscono a Dio, all’ambiente o alla natura umana il fondamento di un éthos universale di fratellanza. La risposta ha, infatti, una validità oggettiva nella diversità delle convinzioni, che giustificano il perché della fratellanza senza venir meno alla propria identità. Le ragioni storiche la rendono spesso stringente, ma nulla di più.

È meno ovvio rispondere alla seconda domanda di come perseguire l’ideale della fratellanza. Rispetto alle idee di libertà e uguaglianza, l’idea di fratellanza non è oggetto di prescrizione in termini di norma positiva o di codificazione giuridica: non si può imporre la fratellanza con la forza. Può avere solo uno statuto di vincolo morale e religioso, che può ispirare la formulazione delle norme giuridiche. C’è, pertanto, una forte discrepanza tra l’ideale nobile di fratellanza e la sua realizzazione storica.

Il compito educativo, il ruolo delle religioni, la cultura del dialogo, la cooperazione tra le istituzioni e gli uomini di buona volontà, la conoscenza reciproca tra i popoli restano certamente metodi e strumenti consoni per perseguire il bene comune, purché si accompagnino a un saldo realismo, che tenga conto della complessità dei problemi, dei limiti della volontà umana e dei pericoli di una possibile deriva ideologica. Non è il sonno della ragione a generare i mostri, ma il sogno della ragione, l’utopia, che spesso li può generare.

Qualche dubbio sorge sulla proposta del Papa in Fratelli tutti di affidare la governance politica globale per costruire la casa comune a un organismo internazionale come l’Organizzazione delle Nazioni Unite, privo ormai di autorevolezza, e della possibilità di modificare il sistema economico e finanziario internazionale, che in maniera incontrollata decide del destino dei popoli.

Se si considera che l’esperienza delle Nazioni Unite sia stata finora spesso fallimentare quanto alla soluzione dei conflitti e alla tutela dei diritti, e che con troppa frequenza articolazioni dell’ONU hanno promosso “diritti” in opposizione a una corretta antropologia ‒ si pensi all’appoggio finanziario o condizionante delle politiche antinatalistiche e alla identificazione del “diritto” all’aborto ‒, quello del Pontefice andrebbe letto come un auspicio, o comunque come un non facile obiettivo da perseguire, più che come un incoraggiamento a continuare un percorso assai discutibile, anche nei presupposti ideologici. Infatti al n. 173 di Fratelli tutti ricorda «che è necessaria una riforma» sia dell’Onu che dell’architettura economica e finanziaria internazionale.

Queste considerazioni non precludono il dovere etico di operare incessantemente in nome del mutuo soccorso da parte di tutti. È un bisogno umano di giustizia e di pace insopprimibile. La Chiesa è consapevole che la missione a essa affidata da Gesù è quella di annunciare la sua parola e che la lotta contro il male e il peccato cesserà alla fine dei tempi. Pertanto non ha la presunzione di confidare solo nelle sue forze e in quelle dei suoi simili, con i quali si è sempre sforzata di realizzare storicamente una società riaffratellata. Per il credente la fraternità può essere annunciata e praticata solo come profezia escatologica, come annuncio fecondo, nutrito di speranza, non come utopia.

 

* Contributo sottoposto a valutazione.

[1] J. Ratzinger, La Fraternità cristiana, Brescia, 2005 p. 12.

[2] J. Ratzinger, op. cit., pp.19-20.

[3] A. Cohen, Il Talmud, traduzione di A. Toaff, Roma-Bari 2011, pp. 91-93.

[4] Idem, p.16-17.

[5] G. Flavio, Guerra giudaica II, Milano, 1995, pp. 120-122.

[6] Cfr. Matteo 5, 22.24 (Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio etc.. Perché osservi la pagliuzza nell’occhio di tuo fratello etc.); 7, 3.4.5 – 18, 15. (Se tuo fratello commette una colpa, va ed ammoniscilo etc); 21 (Signore quante volte devo perdonare mio fratello se pecca contro di me?). 35 (Così anche il mio padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello.) Atti 2, 29 ( Fratelli, parliamoci francamente); 7, 2 (Egli rispose: Fratelli, e pari, ascoltate etc.); 13, 15 ( “Dopo la lettura della legge e dei profeti, i capi della sinagoga fecero dir loro: Fratelli se avete qualche parola d’esortazione per il popolo, parlate etc.); 22, 5 (Da loro – gli anziani- ricevetti lettere per i fratelli etc.);  Giacomo (1, 9 Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove..etc.); 2, 15 (Fratelli miei,  non mescolate a favoritismi personale la vostra fede nel signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria); 4, 11 (Non sparlate gli uni gli altri, fratelli. Chi sparla del fratello o giudica il fratello, parla contro la legge e giudica la legge); Giovanni (1 Gv 2, 9.10 Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello è ancora nelle tenebre); 3, 10. (Da questo si distinguono i figli di Dio dai  figli del diavolo chi non pratica la giustizia non è da Dio, né lo è chi non ama suo fratello); 16.17    (Egli ha dato la sua vita per noi, quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli… etc.); 5, 16  (Se uno vede il proprio fratello commettere un peccato che non conduce alla morte, preghi, e Dio gli darà la vita); 3Gv 3, 5 (Carissimo, ti comporti fedelmente in tutto ciò che fai in favore dei fratelli benché forestieri.).

[7] J. Ratzinger, op. cit., pp. 94-95.

[8] Idem, p. 99.

[9] J. Ratzinger, op. cit., pp. 25-26.

[10] M. Giuliani, Fratellanza e amicizia in prospettiva ebraica, in Francesco, Fratelli tutti – Sulla fraternità e l’amicizia sociale, Brescia, 2020, Commenti p.183.

[11] Idem, p. 185.

[12] Il Talmud insegna che la Torah, essendo stata donata soltanto a Israele come nazione separata dalle altre, ha l’obbligo di osservare i suoi 613 precetti. L’umanità tutta, invece, deve obbedire ai 7 principi che stanno alla base dei principi della moralità universale, nella tradizione rabbinica noti come “precetti noachidi” o come le “leggi dei figli di Noach”, precetti confermati dal Patto che, dopo il diluvio, Dio stabilì appunto con Noach e i suoi figli: “Quanto a me, ecco io stabilisco il mio Patto con voi e con la vostra discendenza dopo di voi”» (Genesi 9, 8-9). I precetti proibiscono di adorare degli idoli, di bestemmiare e profanare il Nome di Dio, di mangiare la carne di un animale vivo, di commettere adulterio, di uccidere un essere umano, di rubare. Impegnano, poi, a istituire tribunali per amministrare la giustizia secondo le leggi universali. Cfr. il già citato A. Cohen, Il Talmud, pp. 91-93.

[13] Idem, p. 186.

[14] A. Cohen, Il Talmud, op. cit., pp. 258-259.

[15] M. Campanini, Fratellanza e appartenenza religiosa nel Corano, in Francesco, Fratelli tutti, op. cit., p.191.  L’Autore è venuto a mancare lo scorso ottobre 2020.

[16] Il Corano, introduzione, traduzione e commento di C. M. Guzzetti, Torino, 1989, pp. 296/97 – La sura corretta non è la 42,13 indicata nel testo, ma la 49,13.

[17] Idem, Q. 5, 48, p.77.

[18] M. Campanini, Fratellanza etc., op. cit., p.193.

[19] Idem, p. 194.

[20] Idem, p. 195. Il 5 gennaio 1985 Taha fu arrestato e condannato alla pena capitale per eresia. L’accusa di apostasia si basava sulle affermazioni di Taha, secondo cui era necessaria la separazione tra religione e Stato, oltre al fatto che le sure medinesi, le più politiche e aggressive del Corano, corrispondevano ai quadri mentali e psicologici di una società operante nel VII secolo e, per questo, modificabili in funzione delle dinamiche storiche: tesi questa condivisa d’altronde da vari autorevoli studiosi, anche musulmani.

[21] M. Campanini, Maometto l’Inviato di Dio, Roma, 2020, p.107.

[22] È nota da tempo l’amicizia e la sintonia di vedute tra Papa Francesco e Edgar Morin, tanto che sembra quasi sovrapponibile la riflessione del filosofo sul tema della fraternità, sul degrado ambientale e sui rimedi da adottare con quella di Francesco in Fratelli tutti. Per entrambi si rende necessario un cambio di rotta per intraprendere una nuova via politica-ecologica-economica-sociale, sebbene modificare l’attuale paradigma della globalizzazione tecno-economica sarà lungo e faticoso.

[23] E. Morin, La Fraternità perché’ Resistere alla crudeltà del mondo, Roma, 2020, p. 56.

[24] Idem, p. 13.

[25] Idem, p. 15.

[26] P. Kropotkin, Il mutuo appoggio un fattore dell’evoluzione, Milano, 2020. Kropotkin sostiene che le abitudini socievoli «hanno dato agli uomini, oltre a questi vantaggi, la possibilità di creare le istituzioni che hanno consentito all’umanità di sopravvivere nella sua lotta con la natura e di progredire nonostante tutte le vicissitudini della sua storia» p. 45; «Ma è soprattutto nella sfera dell’etica che la cruciale importanza del principio del mutuo appoggio appare chiara» p. 344; «L’uomo è chiamato a farsi guidare nei suoi atti non solo dall’amore, che è sempre individuale, o nel caso migliore tribale, ma dalla percezione del suo essere una cosa sola con tutti gli altri esseri umani» p. 345.

[27] E. Morin, Cambiamo strada – Le 15 lezioni del Coronavirus, Milano, 2020, p.115.

[28] L. Zanatta, Una critica a “Fratelli tutti” e la voce di un altro Papa Manifesto populista, Il Foglio inserto del 17 ottobre 2020, pp. 1-6.

[29] S. Natoli, Cristianesimo come etica universale? in Papa Francesco, Fratelli tutti, op. cit., p. 228.

[30] N. Bux, La fraternità cristiana non è la massoneria, in La Nuova Bussola, 22.10.2020.

[31] P. De Marco, Tenerezza per gli “ultimi uomini”, in Settimo cielo – L’espresso, 29 ottobre 2020.

[32] P. T. G. Weinandy, Fratelli tutti and the Preaching of the Good News – The Catholic Worrld – Report, 23 october 2020.