Giovanna Razzano, La legge n. 219/2017 su consenso informato e DAT, fra libertà di cura e rischio di innesti eutanasici, Giappichelli, Torino, 2019, 208 pagine, euro 22,00.

 

La monografia di Giovanna Razzano, intitolata «La legge n. 219/2017 su consenso informato e DAT, fra libertà di cura e rischio di innesti eutanasici», appena pubblicata per i tipi della Giappichelli, con prefazione di Renato Balduzzi e invito alla lettura di Giuseppe Casale, si segnala per almeno tre ragioni.

La prima è l’attualità dell’inquadramento prospettato, stante l’insistenza della Corte costituzionale, prima con l’ordinanza n. 207/2018 e da ultimo con la sentenza n. 242/2019, per l’introduzione, proprio all’interno della legge in questione, di una disciplina del suicidio medicalmente assistito. L’Autrice individua tuttavia nell’abissale differenza intercorrente fra uccidere, da un lato, e assistere chi rifiuta i trattamenti sanitari, dall’altro, la chiave di lettura delle disposizioni della legge n. 219, che permette di continuare a tenere fermo il discrimen essenziale in ambito medico, da sempre sottolineato da tutte le società mediche scientifiche, così come dalla World Medical Association e dalla Federazione nazionale italiana (FNOMCeO), che ha rifiutato le prospettive eutanasiche indicate dalla Corte costituzionale e ha escluso che l’accorciamento intenzionale del processo di morte del paziente possa considerarsi atto medico.

Il secondo merito del libro consiste nella chiarezza espositiva e nella profondità argomentativa con cui le singole disposizioni della legge vengono criticamente analizzate, tenendo conto delle possibili ricadute sulla salute e sulla vita dei pazienti, sull’autonomia e sulla responsabilità dei medici e sulla stessa considerazione dei malati da parte della società, tema denso di rilievo costituzionale. Di grande interesse è il frequente richiamo all’esperienza comparata, così come l’attenzione ai dati, ai fatti e alla giurisprudenza nel frattempo intervenuta. Si dà conto, quindi, dello stato dell’arte delle DAT e del relativo registro, dei pareri del Consiglio di Stato e del Garante per la protezione dei dati personali e, infine, del parere del CNB pubblicato il 30 luglio 2019.

In terzo luogo, il lavoro appare lungimirante in riferimento al tema del diritto alle cure palliative e alla terapia del dolore sancito dalla legge n. 38 del 2010, richiamata dalla legge n. 219, nonché dall’ordinanza n. 207 e dalla sentenza n. 242. L’Autrice considera infatti questo tema cruciale rispetto alle problematiche di fine vita, rispetto alle quali rappresenta la risposta coerente con il quadro costituzionale, europeo e internazionale. Si pone quindi dettagliatamente in evidenza non solo come la legge n. 38, a dieci anni dalla sua approvazione, non sia stata ancora attuata, ma anche come rischi di non essere considerata in tutta le sue potenzialità, ove ridotta a estremo rimedio attivabile al momento del rifiuto dei trattamenti salvavita. Si evidenzia poi che, laddove l’eutanasia coesiste con le cure palliative – come in Benelux e in Canada – queste ultime finiscono per essere snaturate nel loro statuto originario (sancito peraltro dall’OMS), risultando piuttosto l’occasione per somministrare rapidi “servizi eutanasici”. Al contempo si rimarca come la stessa Corte costituzionale abbia qualificato le cure palliative come «un pre-requisito della scelta, in seguito, di qualsiasi percorso alternativo da parte del paziente», aggiungendo, da ultimo, che sarebbe persino paradossale «non punire l’aiuto al suicidio senza avere prima assicurato l’effettività del diritto alle cure palliative». E anche per questo il libro, nelle conclusioni, qualifica come costituzionalmente doveroso l’impegno per attuare finalmente la legge n. 38 del 2010, che rende concreti i diritti costituzionali nell’ultimo tratto dell’esistenza umana.

                                                                                                        Angelo Salvi