Francesco Farri
 Avvocato in Arezzo e Professore associato di Diritto Tributario
Università degli Studi di Genova

 

Sommario: 1. Il problema delle leggi con clausola di invarianza finanziaria – 2. Il caso dell’A.S. 2005 – 3. I rilievi della Ragioneria Generale dello Stato – 4. La giurisprudenza contabile e costituzionale – 5. La prassi del Quirinale in sede di rinvio delle leggi al Parlamento – 6. La valenza sostanziale dell’art. 81 Cost. e il principio di pareggio di bilancio.

 

  1. Il problema delle leggi con clausola di invarianza finanziaria

 

Quello delle leggi contenenti una clausola di invarianza finanziaria, ovvero una clausola secondo cui l’attuazione delle leggi stesse dovrebbe avvenire compatibilmente con le risorse disponibili a legislazione vigente, e comunque senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, è un tema di rilevante importanza giuridica, nella misura in cui si pone al crocevia tra la prerogativa legislativa di quantificazione degli oneri finanziari delle misure adottate dal Parlamento e la sindacabilità di tale valutazione da parte degli organi di garanzia del sistema.

Al fine di tratteggiare un quadro ricostruttivo della materia, si possono prendere le mosse da un’ipotesi concreta in cui il problema si è posto, e valutare come esso debba essere affrontato alla luce dalla giurisprudenza e della prassi degli organi di garanzia previsti dall’ordinamento.

 

  1. Il caso dell’A.S. 2005

 

Una utile occasione di studio della questione è data dal testo di legge contenente “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violazione per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”, noto come ddl Zan A.S. 2005, come approvato dalla Camera dei Deputati e poi bloccato durante l’esame al Senato, con la decisione di non passaggio al voto del 27 ottobre 2021. Al di là dell’esito per il momento avuto, è da immaginare che verrà riproposto, manifestando ‒ fra gli altri ‒ il limite dell’assenza di disposizioni di carattere finanziario, se non per affermare che gli interventi di contrasto alla “omofobia” devono avvenire compatibilmente con le risorse disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Il testo presupponeva, dunque, che dall’attuazione della nuova legge non derivassero nuovi oneri a carico della finanza pubblica: altrimenti, infatti, esso avrebbe dovuto prevedere specificamente i “mezzi per farvi fronte” (art. 81 co. 3 Cost.).

Sennonché, l’assunto autoqualificatorio che l’A.S. 2005 non graverebbe sulla finanza pubblica si pone in contrasto con i rilievi mossi dalla Ragioneria Generale dello Stato, in ben due pareri: parere prot. n. 151728 del 31 luglio 2020, depositato in Commissione Bilancio della Camera il 4 agosto 2020; parere prot. n. 205270 del 21 ottobre 2020, depositato in Commissione Bilancio della Camera il 27 ottobre 2020.

La Ragioneria, ovvero la prima guardiana delle casse pubbliche, ha invero fatto notare fin da subito che per almeno cinque articoli della proposta di legge in questione gli oneri erano stati sottostimati dai proponenti. Si precisa che dei cinque articoli originariamente interessati dai rilievi della Ragioneria, uno di essi ‒ quello relativo all’istituzione dei centri per il sostegno delle vittime di omofobia ‒ è poi stato stralciato per essere approvato e finanziato in separata sede, per cui la questione non riguardava più l’A.S. n. 2005 su cui l’Assemblea ha votato il 27 ottobre 2021.

 

  1. I rilievi della Ragioneria Generale dello Stato

 

Più nel dettaglio, nel caso dell’A.S. 2005 la Ragioneria dello Stato aveva evidenziato come la previsione di non incidenza della legge sui conti pubblici, formulata dai proponenti e in larga parte approvata dalla Camera in prima lettura, dovesse considerarsi irrealistica per i seguenti aspetti.

 

3.1. L’art. 5 del testo approvato in prima lettura dalla Camera prevedeva forme di lavoro di pubblica utilità a vantaggio, tra l’altro, delle associazioni di promozione dei diritti degli omosessuali, come pena accessoria a carico dei condannati per reati di omofobia. Sebbene la norma in questione affermasse di non provocare aggravi alla pubblica spesa, tale aggravio esisteva e consisteva negli oneri necessari a organizzare lo svolgimento di questi lavori, a cominciare dalla copertura assicurativa INAIL obbligatoria anche nelle fattispecie dei lavori di pubblica utilità. In sede di relazione tecnica, il precedente Governo “Conte-II” aveva specificato di aver già finanziato il pertinente fondo INAIL con aggiuntivi 3 milioni di euro già da prima dell’approvazione in prima lettura della legge in esame. In questa prospettiva, la Ragioneria, nel secondo parere, aveva evidenziato come non fossero stati addotti dati specifici a dimostrazione che tale incremento del “Fondo per il pagamento dei premi obbligatori per gli infortuni e le malattie per i detenuti e gli internati impiegati in lavori di pubblica utilità” fosse sufficiente a garantire i fondi necessari per far fronte all’ampliamento della platea dei possibili destinatari cui la proposta di cui al futuro A.S. n. 2005 si prestava a dar vita.

Infatti, essendo l’incremento del fondo in questione giuridicamente non correlato rispetto all’approvazione della legge anti-omofobia, che prevedeva un ampliamento dei possibili interessati, delle due l’una: o si prevedeva che non vi sarebbero stati di fatto “detenuti” o “internati” per omofobia, con la conseguenza che non sarebbe stato effettivamente necessario ipotizzare alcuna copertura ulteriore (come assumeva la clausola di invarianza finanziaria introdotta nel comma 2 dell’articolo in questione); ma ciò avrebbe conclamato la sostanziale incostituzionalità della legge per violazione dell’art. 3 Cost. in termini di irrazionalità, stante il contrasto tra le premesse e i contenuti, nella misura in cui essa veniva emessa sul presupposto dell’emergenza omofobia, e poi però nel momento in cui procedeva alla sua determinazione sotto il profilo finanziario escludeva l’esistenza di tale emergenza poiché prevedeva che nessuno sarebbe stato condannato in base alla legge stessa. Oppure mancava la copertura per far fronte al possibile ampliamento dei soggetti interessati.

 

3.2. L’articolo 8 del testo approvato in prima lettura dalla Camera assegnava all’UNAR un nuovo compito obbligatorio, costituito dalla predisposizione di una strategia triennale di contrasto all’omofobia «nel quadro di una consultazione permanente» con le amministrazioni locali e le associazioni di categoria. L’articolato prevedeva che tale nuova funzione dovesse essere svolta «compatibilmente con le risorse disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica», ma tale clausola di invarianza appariva del tutto irrealistica, come puntualmente evidenziato dalla Ragioneria in entrambi i pareri. Infatti, delle due l’una: o le risorse a disposizione dell’UNAR dovevano considerarsi sovrastimante rispetto alle funzioni che esso a regime svolge, con conseguente attendibilità della previsione che nuove funzioni non avrebbero richiesto risorse aggiuntive ma con altrettanto conseguente sussistenza di gravissimi profili di responsabilità per spesa pubblica improduttiva finora finanziata; oppure le risorse dell’UNAR devono considerarsi proporzionate ai compiti che esso svolge, ma allora per svolgere funzioni ulteriori sarebbero occorse risorse ulteriori (non foss’altro che per remunerare il tempo aggiuntivo che il personale avrebbe dovuto dedicare a esse).

 

3.3. Considerazioni analoghe a quelle sopra esposte per l’articolo 8 valgono anche per l’articolo 10 del testo approvato in prima lettura dalla Camera, che assegnava all’ISTAT una nuova obbligatoria funzione di rilevazione statistica di episodi di discriminazione e violenza. Tale previsione comportava, peraltro, una duplicazione di funzioni (e, quindi, di spesa pubblica), poiché il compito in questione viene attualmente già svolto dall’OSCAD, che la nuova disposizione non desautorava della funzione ma anzi coinvolgeva espressamente nel nuovo meccanismo di rilevazione assegnato all’ISTAT.

 

3.4. Infine, un problema di non lieve momento riguardava l’articolo 7, che mirava a istituire una giornata nazionale contro l’omofobia da celebrarsi nelle scuole e nelle altre pubbliche amministrazioni. Al riguardo, la Ragioneria, dopo aver osservato nel primo parere che mancava una relazione tecnica atta a valutare il reale impatto finanziario della misura introdotta, ha nel secondo parere evidenziato come la relazione presentata a tal fine dal governo dovesse considerarsi “poco esaustiva”, in quanto del tutto vaga in merito alle modalità con le quali dovrà essere adempiuta la previsione in questione. Invero, se cerimonie ed eventi devono essere organizzati, appare del tutto irrealistico pensare che ciò avvenga a costo zero, come ribadito durante la discussione parlamentare in Commissione Bilancio della Camera.

In proposito, non appare sufficiente garantire genericamente la non obbligatorietà della celebrazione della giornata per assicurare il rispetto della clausola di invarianza finanziaria: fermo restando che, sul punto, la norma approvata in prima lettura non appariva comunque chiara, per essere efficace sotto il profilo finanziario una clausola del genere avrebbe dovuto essere specificata nel senso di vietare alle scuole e alle amministrazioni in generale, con ogni effetto in punto di responsabilità contabile del dirigente, di celebrare la giornata laddove esse non si fossero trovate in una situazione che, al netto delle celebrazioni in questione, garantisse un avanzo di bilancio.

 

  1. La giurisprudenza contabile e costituzionale

 

In questo contesto, se un testo normativo come l’A.S. 2005 fosse stato approvato senza modifiche e, in particolare, mantenendo simili clausole di invarianza finanziaria ‒ ossia le clausole con cui la legge si autoqualifica come improduttiva di nuove spese a carico del bilancio pubblico ‒ senza l’introduzione di specifiche e adeguate clausole di copertura finanziaria, la legge che ne sarebbe uscita sarebbe stata incostituzionale per violazione dell’art. 81 comma 3 Cost. secondo cui «ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte». Lo stesso dicasi, naturalmente, per il caso di riproposizione in futuro di proposte di legge analoghe.

Come noto, l’art. 17 comma 6-bis della legge n. 196/2009 di contabilità e finanza pubblica stabilisce espressamente, nell’ultimo periodo e oltre agli aspetti indicati nei periodi precedenti, che la «clausola di neutralità finanziaria non può essere prevista nel caso di spese di natura obbligatoria». Essendo pacifico che le spese su cui si appuntano i pareri negativi della Ragioneria Generale hanno carattere obbligatorio (cfr. in particolare gli articoli 7, 8 e 10), evidente risulta la probabilità che le clausole di “invarianza finanziaria” indicate nell’atto in esame vengano ritenute mascherare una sostanziale elusione della regola di copertura delle spese, e quindi un surrettizio finanziamento mediante aggravamento del disavanzo pubblico. In tal senso, del resto, si è espressa in casi analoghi la Corte dei Conti nelle Relazioni quadrimestrali sulla copertura finanziaria delle leggi di spesa pubblicate dalle Sezioni Riunite (cfr. ad esempio, per la particolare chiarezza, il par. 1.3.1 della relazione per il terzo quadrimestre del 2016). Si osserva, al riguardo, che le disposizioni della legge di contabilità e finanza pubblica devono considerarsi «specificative del precetto di cui all’art. 81, quarto comma, Cost.», con la conseguenza che la Corte Costituzionale le ritiene parametri rilevanti nel proprio giudizio di verifica di costituzionalità delle leggi di spesa (ex multis Corte Cost. n. 147/2018, n. 181/2013, n. 192/2012).

Ma vi è di più, in quanto secondo la giurisprudenza costituzionale la mancata considerazione degli oneri vale a rendere la legge incostituzionale per mancanza di copertura non soltanto se si tratta di spese obbligatorie, ma anche se si tratta di oneri solo “ipotetici”. La giurisprudenza costituzionale è infatti granitica nell’osservare che l’art. 81 Cost. «impone che, ogniqualvolta si introduca una previsione legislativa che possa, anche solo in via ipotetica, determinare nuove spese, occorr[e] sempre indicare i mezzi per farvi fronte» (ex multis, Corte Cost., n. 163/2020, n. 307/2013).

In questa prospettiva, la Corte Costituzionale, con la sent. n. 197/2019, ha ribadito l’esigenza del rispetto di un principio di contestualità tra previsione di spesa e indicazione dei mezzi per farvi fronte e di congruità e attendibilità di questi ultimi (analogamente, ex multis, Corte Cost. n. 213/2008). In senso analogo, Corte Cost. n. 147/2018 ha dichiarato l’incostituzionalità della disposizione che, istituendo nuove funzioni pubbliche obbligatorie, analogamente a quanto avviene nel caso del testo di legge in esame, non ne aveva previsto le specifiche coperture.

Così, secondo la Consulta, devono essere stigmatizzate e dichiarate incostituzionali quelle leggi in cui «l’individuazione degli interventi e la relativa copertura finanziaria, è stata effettuata dal legislatore (…) in modo generico e risulta priva di quella chiarezza finanziaria minima richiesta dalla costante giurisprudenza di questa Corte in riferimento all’art. 81 Cost. Le esposte considerazioni sottolineano il patente contrasto delle modalità di copertura della legge con l’art. 81 Cost. nella sua vigente formulazione, il cui accentuato rigore rispetto al passato trova una delle principali ragioni proprio nell’esigenza di evitare leggi-proclama sul futuro, del tutto carenti di soluzioni attendibili e quindi inidonee al controllo democratico ex ante ed ex post degli elettori» (così Corte Cost. n. 227/2019).

Tali rilievi appaiono ancora più gravi se si considera che, secondo la giurisprudenza costituzionale, l’obbligo di specifica e trasparente copertura delle spese costituisce specificazione del dovere di trasparenza delle leggi e attiene direttamente al rispetto dei principi fondamentali di rappresentanza democratica (Corte Cost. sent. n. 247/2017).

Appare, quindi, altamente probabile che i giudici chiamati a dare applicazione alla legge eventualmente riproposta, approvata e promulgata, ma ancor prima la Corte dei Conti, in sede di giudizio di parificazione sul rendiconto generale dello Stato per l’esercizio finanziario in cui un atto del genere venisse approvato (secondo il potere/dovere riconosciuto da Corte Cost., n. 244/1995 e giurisprudenza successiva), solleverebbero immediatamente questione di legittimità costituzionale di disposizioni analoghe a quelle sopra considerate per violazione dell’art. 81 della Costituzione.

 

  1. La prassi del Quirinale in sede di rinvio delle leggi al Parlamento

 

Fermo restando quanto sopra osservato, occorre peraltro rilevare in via ancora preliminare che, in caso di approvazione di un atto legislativo quale sarebbe qualcosa di equivalente all’A.S. 2005 nel caso in cui rimanesse invariato rispetto al teso approvato dalla Camera, la stessa promulgazione della legge da parte della Presidenza della Repubblica risulterebbe problematica, poiché l’analisi della prassi della Presidenza della Repubblica rivela che la verifica della copertura finanziaria è uno degli aspetti sui quali, più di frequente, si è appuntato il rinvio alle Camere da parte dei Presidenti della Repubblica ai sensi dell’articolo 74 della Costituzione.

Il vulnus istituzionale della mancata considerazione, da parte del Parlamento, dei rilievi formulati dalla Ragioneria Generale dello Stato[1] è certamente un aspetto al quale il Capo dello Stato, nel suo ruolo di rappresentante dell’unità nazionale (art. 87 Cost.), conferisce massimo rilievo in sede di richiesta di una nuova deliberazione alle Camere (cfr. messaggio del 3 marzo 2006, relativo a un caso, analogo a quello di specie, in cui per l’attribuzione di alcune nuove funzioni a nuovi enti si presentava la clausola dell’assenza di nuovi oneri per la finanza pubblica; messaggi del 10 aprile 2003, 30 aprile 1998, 28 giugno 1995). Secondo la Presidenza della Repubblica, in particolare, «nessuna finalità, neppure la più nobile e la più utile alla collettività, deve essere perseguita attraverso la violazione della nostra Carta fondamentale. E non solamente per una questione, pure assai importante, di legalità formale. Infatti, impegnare, per uno scopo, denaro che non esiste, significa chiaramente rendere vano lo stesso scopo che si intende perseguire» (cfr. messaggio del 28 giugno 1995, di rinvio alle Camere di una legge presentata per la promulgazione che non aveva tenuto conto dei rilievi della Ragioneria Generale).

La Presidenza della Repubblica, inoltre, è sempre apparsa attenta alla specificità della determinazione degli oneri (messaggi del 18 novembre 1994, del 31 ottobre 1991, del 28 luglio 1989, del 1 luglio 1988, del 28 dicembre 1987, del 17 aprile 1987, del 19 febbraio 1987, del 27 giugno 1986, del 20 aprile 1983, del 29 gennaio 1982, del 16 ottobre 1981) e delle relative indicazioni di spesa, ritenendo insufficiente il rinvio a fondi già esistenti anche per spese soltanto potenziali (messaggi del 31 marzo 1995, del 18 febbraio 1992 e del 1 febbraio 1992).

Ciò vale a maggior ragione per spese obbligatorie come quelle previste dal testo in commento (messaggio del 27 agosto 1991, dove si è censurata la tecnica di finanziare l’attribuzione di nuove competenze mediante riferimento ad autorizzazioni di spesa preesistenti, ritenendo «maggiormente aderente allo spirito e alla lettera del principio costituzionale» di cui all’articolo 81 Cost. indicare «una nuova, apposita, specifica copertura»; messaggio del 9 aprile 1991, dove si è ammonito che «ove non si risolve in concreto e in modo efficace il problema della irregolarità della copertura delle leggi, non si vede come si possa seriamente affrontare globalmente il problema della finanza pubblica»; messaggi del 20 aprile 1983, del 10 febbraio 1981, del 11 febbraio 1963, del 9 febbraio 1963, del 5 febbraio 1963, del 2 febbraio 1963, del 6 novembre 1960, del 14 luglio 1959, del 9 aprile 1949). Al riguardo, nel messaggio del 31 dicembre 1985 si è specificato che «è necessario che la norma sulle conseguenze finanziarie implicate da una legge di spesa risulti per se stessa e direttamente congrua e completa nei suoi effetti, senza che tale congruità e perfezione possa essere acquisita ex post con successivi interventi legislativi in sanatoria» (in senso analogo i messaggi del 14 luglio 1964, del 2 gennaio 1963, del 5 agosto 1962, a fronte dei quali il parlamento cessò l’utilizzo di analoghe prassi definite dal Quirinale “elusive” dell’art. 81).

Nel messaggio del 23 marzo 1998, a fronte di perplessità emerse dalla società civile, e pur avendo acquisito la legge il parere positivo della Commissione Finanze della Camera che ha trasformato in “osservazioni” i rilievi sulla copertura finanziaria, la Presidenza della Repubblica ha rinviato la legge al Parlamento perché essa, pur formalmente rispettosa delle leggi di contabilità pubblica, recava un «vulnus alla sostanza dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione», ammonendo il Parlamento che «l’interpretazione e l’applicazione dell’articolo 81 della Costituzione devono essere lineari e ineccepibili, né vale lasciar passare una formula non ortodossa con l’esplicito invito a non ripeterla per il futuro». Nello stesso senso, il messaggio del 19 gennaio 1983 ha chiarito che «è un precetto questo della indicazione dei mezzi per far fronte alle nuove e maggiori spese che implica osservanza sostanziale, non formalistica, che tanto più chiama in causa la responsabilità del legislatore ad una sua ottemperanza puntuale e non evasiva (…) é perciò che indicazioni di copertura di fragile consistenza, affidate a formulazioni nominalistiche, (…) non possono più passare inosservate né procedere indenni da rilievi in un frangente (…) così gravido di pericoli per le nostre pubbliche contabilità».

Alla luce della costante prassi del Quirinale, è quindi agevolmente presumibile che un testo legislativo analogo all’A.S. 2005, qualora approvato dal Parlamento senza inserimento di una clausola di copertura finanziaria secondo quanto richiesto dalla Ragioneria Generale dello Stato, darebbe vita a una legge che, seppur giungesse ad approvazione, ancor prima di entrare in vigore ed essere presumibilmente rinviata subito alla Corte Costituzionale da parte della Corte Conti, verrebbe rinviata al Parlamento da parte del Presidente della Repubblica per il compimento di una nuova deliberazione ai sensi dell’articolo 74 della Costituzione.

 

  1. La valenza sostanziale dell’art. 81 Cost. e il principio di pareggio di bilancio

 

Assodata la necessità di apportare a un testo normativo del tipo dell’A.S. 2005 adeguate clausole di copertura finanziaria, o altri similari che fossero in futuro proposti, è il caso di osservare che i profili di possibile violazione dell’art. 81 della Costituzione non si prestano a essere pienamente superati neppure provvedendo a effettuare una più precisa valutazione tecnica dei costi delle misure sopra enucleate, secondo quanto richiesto in entrambi i pareri della Ragioneria Generale, e a individuare nel testo della legge le coperture specifiche per farvi fronte.

Infatti, a seguito della drammatica pandemia di Covid-19, il sistema della finanza pubblica italiana versa in una situazione di grave precarietà, in cui le entrate faticano a coprire le spese necessarie per far fronte alla gestione corrente e alle emergenze sanitarie, sociali ed economiche provocate dalla pandemia. In questo contesto, i margini di esercizio della discrezionalità del legislatore nell’allocare le pubbliche spese appaiono inevitabilmente ridotti poiché il finanziamento dei nuovi oneri per la finanza pubblica sta avvenendo di fatto mediante ricorso diretto o indiretto all’indebitamento. Ciò vale, in particolare, anche per i fondi del PNRR, poiché si tratta pur sempre nella larga maggioranza degli importi di somme ottenute a debito e da restituire e, in ogni caso, dall’utilizzo a contenuto vincolato.

In questo contesto, se si considera che lo Stato si trova a dover ricorrere in modo ingente all’indebitamento per mantenere la tenuta del sistema sociale ed economico, è chiaro che gli stanziamenti di spesa attualmente previsti dal sistema di finanza pubblica non possono ragionevolmente essere ridotti, altrimenti già lo sarebbero stati per evitare il massiccio ricorso all’indebitamento di questi mesi[2]. Pertanto, ridurre gli altri stanziamenti di bilancio per finanziare nuovi oneri a carico della finanza pubblica è soltanto un’operazione non trasparente per finanziare a debito la legge stessa.

Il ricorso all’indebitamento, se non previsto direttamente nella legge in questione, sarà comunque necessario per rifinanziare quegli stanziamenti indispensabili per la finanza pubblica, ma ridotti per far apparire come soddisfatto il requisito della copertura per la legge stessa (come avvenuto, puntualmente, per l’istituzione dei centri anti-omofobia, stralciata dall’originario progetto di legge per essere approvata con l’art. 105-quater del d.l. n. 34/2020, conv. in l. n. 77/2020, modificato dall’art. 38-bis del d.l. n. 104/2020, da finanziarsi in ultima istanza mediante ricorso al debito pubblico ex art. 265, c. 7, lett. c del d.l. n. 34/2020).

Essendo stato introdotto in Costituzione[3] il principio del pareggio di bilancio, derogabile solo in casi eccezionali, e che si è andato ad aggiungere a quello più generale dell’equilibrio tra entrate e spese[4], devono essere intesi nel senso sopra esposto i principi affermati nel corso del tempo dalla Corte Costituzionale. Questa infatti appare la necessaria attualizzazione del principio secondo cui le spese a rilevanza pluriennale, come sono quelle qui in considerazione, devono prevedere una copertura «sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale, in un equilibrato rapporto con la spesa che si intende effettuare negli esercizi futuri». Oggi infatti tale copertura non deve garantire più semplicemente “un equilibrio tendenziale” del bilancio, ma un “pareggio”, salvo i casi eccezionali di cui si dirà infra e che comunque non ricorrono nella specie, «fra entrate e spese la cui alterazione, in quanto riflettentesi sull’indebitamento, postula una scelta legata ad un giudizio di compatibilità con tutti gli oneri già gravanti sugli esercizi futuri» (Corte Cost. n. 348/1991).

Conseguentemente, il sindacato sull’effettiva idoneità e trasparenza dei mezzi di copertura di una legge che prevede un’attività pubblica, e quindi una spesa, non può che considerarsi rigoroso, nel senso sopra specificato[5]. Indicative, del resto, appaiono in tal senso due circostanze: l’art. 81 Cost. non ritiene più sufficiente che la leggi che comporti nuovi oneri “indichi” i mezzi per farvi fronte, ma impone che essa “provveda” a garantirli[6]; la Corte Costituzionale, con la sent. n. 197/2019, ha ribadito l’esigenza del rispetto di un principio di “contestualità” tra previsione di spesa e indicazione dei mezzi per farvi fronte e di “congruità e attendibilità” di questi ultimi[7].

In questa prospettiva, risultano evidenti i possibili profili di incostituzionalità suscettibili di inficiare strutturalmente un atto come l’A.S. 2005, nella presente fase storica di particolare sofferenza della finanza pubblica e di massiccio ricorso all’indebitamento. Modificare il testo della proposta di legge in commento inserendo specifiche indicazioni della copertura non garantirebbe, infatti, che la discrezionalità legislativa in materia di spesa pubblica sia esercitata con ragionevolezza nel rispetto del principio di cui all’art. 3 Cost.[8], né che sia rispettato lo specifico principio costituzionale secondo cui «il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali» (art. 81, comma 2 Cost.). Anzi, è possibile affermare che non sussistono in relazione a una legge del tipo di quella in questione né il requisito di attinenza al ciclo economico, né la correlazione alla verificazione di eventi eccezionali, né altre circostanze[9] che consentirebbero il ricorso diretto o indiretto all’indebitamento.

Si è di fronte, dunque e in definitiva, a una tipologia di testo legislativo che sotto il profilo finanziario, anche laddove venisse inserita una specifica clausola di copertura finanziaria come richiesto dalla Ragioneria Generale dello Stato e dalla natura delle disposizione delle leggi stesse, al fine di soddisfare il precetto di copertura delle nuove spese pubbliche di cui all’art. 81 comma 3 Cost., risulterebbe comunque onerosa, non trasparente e potenzialmente incostituzionale anche per possibile violazione del pareggio di bilancio di cui all’art. 81 commi 1 e 2 della Costituzione.

Anche per questo il ddl Zan non merita di essere riproposto.

 

* Contributo accettato dalla Direzione. Il testo riproduce, con adattamenti, l’audizione tenuta dall’Autore il 22 giugno 2021 di fronte alla Commissione II Giustizia del Senato in relazione all’A.S. n. 2005 (cd. “ddl Zan”).

[1] La Ragioneria Generale dello Stato, costituita oltre centocinquant’anni or sono (con la legge “Cambray-Digny” n. 5026 del 22 aprile 1869) e oggi incardinata al Ministero dell’Economia e delle Finanze (art. 7 del d.P.C.M. n. 67 del 27 febbraio 2013), ha come principale obiettivo istituzionale quello di garantire la corretta programmazione e la rigorosa gestione delle risorse pubbliche. A essa spettano, tra gli altri compiti, la prima verifica di certezza e affidabilità dei conti dello Stato e degli andamenti della spesa pubblica e la prima garanzia di uniforme interpretazione e applicazione delle norme contabili, successivamente fatte oggetto di ulteriori verifiche e controlli – in particolare – da parte del Presidente della Repubblica in sede di promulgazione delle leggi e della Corte dei Conti e, ove ne ricorrano i presupposti, della Corte Costituzionale. Attualmente, il ruolo della Ragioneria Generale dello Stato risulta fondamentale anche in chiave sovranazionale, nel procedimento di certificazione del rispetto degli obblighi posti dal Patto di Stabilità e, quindi, del rispetto degli obblighi assunti dallo Stato nei confronti dell’Unione Europea con il cd. “fiscal compact”. Sul ruolo di tale importante istituzione possono vedersi le seguenti opere: Ragioneria Generale dello Stato, Ragioneria Generale dello Stato, Roma, 1969; P. Germani, La Ragioneria Generale dello Stato ed i controlli sulla Finanza Pubblica, Roma, 1995; G. Mongelli – S. Romanazzi – E. Varricchio (a cura di), La ragioneria generale dello Stato. 150 anni di storia a difesa delle risorse pubbliche, Roma, 2020; E. D’Alterio, Dietro le quinte di un potere, Bologna, 2021, p. 37 ss. Per tali ragioni, la mancata considerazione dei pareri della Ragioneria Generale dello Stato costituisce uno strappo istituzionale di notevole portata, poiché il placet della Ragioneria dello Stato costituisce il primo presidio di garanzia della tenuta dei conti pubblici, e pertanto, di legittimità di un provvedimento normativo rispetto ai principi di copertura delle spese pubbliche e di pareggio di bilancio prescritti dall’art. 81 Cost.

[2] Non appare ragionevolmente sussistere, infatti, quella prospettiva «che effettivamente le disponibilità di bilancio a legislazione vigente siano quantificate in modo da presentare margini per la copertura di eventuali incrementi di spesa conseguenti all’implementazione della nuova normativa» senza ricorrere al deficit (secondo i principi affermati dalla Corte dei Conti nelle Relazioni quadrimestrali sulla copertura finanziaria delle leggi di spesa pubblicate, ad es. par. A1 della relazione per il terzo quadrimestre 2018).

[3] Mediante le modifiche all’art. 81 Cost. apportate dalla l. cost. n. 1/2012, intitolata “Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta Costituzionale”. La circostanza che, nel testo conclusivamente approvato, si parli esclusivamente di “equilibrio” e non di “pareggio” non toglie, alla luce della formulazione del comma 4 del nuovo art. 81, che il “pareggio” debba considerarsi come regola, in quanto la deroga a essa è prevista soltanto in casi eccezionali (per quanto le fattispecie di eccezionalità siano state configurate con margini piuttosto ampi dal nuovo art. 81 stesso: si vedano tuttavia, sul punto, le concretizzazioni operate dalla legge attuativa della riforma, n. 243/2012, attuativa di quella che la Corte Cost., sent. n. 237/2017 ha qualificato come una riserva relativa di legge rinforzata). Sulla necessità che ogni “eccezione al principio generale dell’equilibrio del bilancio” deve essere oggetto “di stretta interpretazione” cfr. Corte Cost., n. 6/2017. Sulla possibilità di utilizzo a pieno titolo, per questo, del concetto di “pareggio di bilancio”, cfr. A. Morrone, Pareggio di bilancio e Stato costituzionale, in Rivista AIC, n. 1/2014. Sulla riforma costituzionale del 2012 cfr., fra i molti: G. Lo Conte, Equilibrio di bilancio, vincoli sovranazionali e riforma costituzionale, Torino, 2015; M. Luciani, L’equilibrio di bilancio e i principi fondamentali: la prospettiva del controllo di costituzionalità, in Corte Costituzionale, Il principio dell’equilibrio di bilancio secondo la riforma costituzionale del 2012, Milano, 2014, p. 1 ss.; C. Bergonzini, Il c.d. pareggio di bilancio tra Costituzione e legge n. 243 del 2012: Le radici (e gli equivoci) di una riforma controversa, in Studium Iuris, 2014, p. 66 ss.; T.F. Giupponi, Il principio costituzionale dell’equilibrio di bilancio e la sua attuazione, in Quad. cost., 2014, p. 51 ss.; Ragioneria Generale dello Stato, L’attuazione del principio costituzionale del pareggio di bilancio, Roma, 2013; A. Brancasi, L’introduzione del principio del c.d. pareggio di bilancio: un esempio di revisione affrettata della Costituzione, in Quad. Cost., 2012, p.108 ss.; M. Mazziotti di Celso, Note minime sulla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, in Giur. cost., 2012, p. 3791 ss.

[4] Non esplicitato nel precedente testo dell’art. 81 Cost., ma comunque chiaramente desumibile dalla giurisprudenza costituzionale, fin dalla sent. n. 1/1966, la quale ben evidenziava come l’equilibrio di bilancio non escludesse l’ipotesi di un disavanzo.

[5] Cfr., in tal senso, Corte Cost., n. 178/2015, n. 181/2015.

[6] «Il Parlamento, insomma, non può più limitarsi a generici riferimenti a potenziali fonti di copertura, ma deve materialmente provvedere, cioè concretamente trovare le risorse necessarie e sufficienti»: l’osservazione è di G. Ladu, I principi costituzionali e la finanza pubblica, in Aa.Vv., Contabilità di Stato e degli enti pubblici, Torino, 2018, p. 47.

[7] Cfr., in senso analogo, Corte Cost., n. 147/2018, la quale ha dichiarato l’incostituzionalità della disposizione che, istituendo nuove funzioni pubbliche obbligatorie (analogamente a quanto avviene nel caso del testo di legge in esame), non ne aveva previsto le specifiche coperture.

[8] In questo senso, cfr. Corte Cost., n. 227/2019, n. 163/2020.

[9] In proposito, può non essere superfluo osservare come gli aspetti in relazione ai quali una legge anti-omofobia del tipo dell’A.S. n. 2005 si presta a determinare oneri a carico della finanza pubblica non possono considerarsi avere attinenza diretta rispetto ai diritti fondamentali della persona. Trattandosi di istituzioni di giornate celebrative e di attribuzioni di nuove competenze di elaborazione e rendicontazione di dati a pubblici apparati, e non dell’erogazione di beni o servizi pubblici essenziali per la persona, l’incidenza sui diritti fondamentali è, al più, indiretta, con conseguente inapplicabilità dei principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale in ordine al fatto che, nel bilanciamento dei principi costituzionali, è “il nucleo invalicabile” dei “diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione” (Corte Cost., n. 275/2016, anche in relazione a Corte Cost., n. 80/2010; cfr. altresì Corte Cost., n. 152/2020, n. 83/2019, n. 169/2017 e, in prospettiva diversa ma contigua, la storica sent. n. 10/2015). Sul tema cfr., in generale, G. Rivosecchi, Corte costituzionale, finanza pubblica e diritti fondamentali, in Aa.Vv., Liber amicorum per Pasquale Costanzo, in Consulta On Line, 7 luglio 2020; A. Morrone, Le conseguenze finanziarie della giustizia costituzionale, in Quad. cost., 2015, p. 575 ss.; A. Brancasi, La Corte costituzionale al bivio tra il tradizionale paradigma del coordinamento finanziario e la riforma costituzionale “Introduttiva del pareggio di bilancio”, in Giur. Cost., 2014, p. 1633 ss.