Aldo Rocco Vitale
Visiting Professor – Ateneo Pontificio Regina Apostolorum
Dottore di ricerca – Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

Matrimonio e famiglia tra amore e diritto.
Elementi per una critica del “gius-sentimentalismo”*

Sommario: 1. Introduzione – 2. Matrimonio e famiglia tra amore e diritto – 3. Conclusioni.

 

  1. Introduzione

 

«Se i coniugi non vivessero insieme, i buoni matrimoni sarebbero più frequenti»[1], scriveva Friedrich Nietzsche con il suo tipico cinico cipiglio a proposito del rapporto matrimoniale.

Del resto, se la tradizione giuridica romanistica e quella teologico-morale cristiana richiedono la coabitazione quale elemento costituivo del rapporto matrimoniale,[2] è inevitabile che il padre del nichilismo europeo, Friedrich Nietzsche, cioè colui il quale ha insegnato a far filosofia con il martello,[3] prenda a picconate uno dei requisiti (la coabitazione) del fondamento del matrimonio da cui nasce la famiglia che, fin dall’alba del pensiero,[4] rappresenta il nucleo su cui si costruisce la società intera.

Una tale forma di pensiero non deve stupire nell’epoca attuale in cui maggiormente si registra la diminuzione del ricorso al matrimonio e la concomitante impennata delle convivenze di fatto o di unioni alternative alla cosiddetta “famiglia naturale”,[5] quasi come se i tempi attuali avessero deciso di adottare per proprio uno dei più celebri motti attribuiti a Diogene di Sinope che, come riporta lo storico e biografo Diogene Laerzio, così amava ripetere a chi gli chiedeva quale fosse il momento migliore per sposarsi: «Sposarsi: da giovani troppo presto; da vecchi troppo tardi»[6].

In un simile scenario l’analisi filosofica appare la via privilegiata per la problematizzazione di una realtà che appare a-problematica poiché autoreferenzialmente fondata sull’idea di una evidenza pragmatica non bisognosa di alcuna giustificazione ultima, dimenticando che, semmai, almeno secondo la condivisibile riflessione di Friedrich Schelling, «l’idea di filosofia non è sorta in altro modo se non in quanto non si poté considerare la semplice esperienza come un fondamento garantito per se stesso, e in quanto si credette che anche la sua verità fosse bisognosa di fondazione[…]. La coscienza filosofica è, per sensibilità, paragonabile a quella dell’occhio, che non tollera in sé nulla di estraneo»[7].

Nel diffuso scetticismo generale, oltre che nei confronti di una fondabilità razionale del diritto in se stesso unitariamente considerato,[8] anche e soprattutto nei confronti degli istituti del matrimonio e della famiglia che vengono quasi considerati arrugginiti relitti obsolescenti sotto il segno del tempo[9], non più in grado di condurre l’umanità verso il futuro così tanto ancorati al loro passato[10], ingrigiti dall’aumento dei divorzi,[11] terrificanti a causa dei delitti e delle violenze mai sopite che tragicamente si consumano nell’ambito domestico[12], superati dall’esigenza di non poter mantener fermo l’individuale proposito di condividere la propria intera vita sempre con la stessa persona,[13] un bagliore di speranza sembra potersi rintracciare, come il sole tra le nubi dopo una oscura tempesta, cioè quello del sentimento mai offuscato e offuscabile dell’amore.

Sempre per rimanere nell’ambito della semantica nietzscheana si può affermare che alla triste decadenza dello spirito apollineo del diritto succeda la vivacità solare dello spirito dionisiaco dell’amore.

Come un’onda di piena, l’amore sembra donare nuovo vigore a queste cariatidi giuridiche, cioè il matrimonio e la famiglia, per consentir loro di reggere nuovamente il peso del tempio della società; la potenza dell’amore sembra così irrefrenabile e inarrestabile da sentire l’eco delle parole di Voltaire che a sua volta richiamava quelle del Conte di Rochester: «L’amore, in un Paese di atei, farebbe adorare la Divinità».[14]

La domanda e l’offerta d’amore crescono reciprocamente: ci si vuole sposare per amore tanto che chiunque si ami deve potersi sposare[15]; si rivendica un (presunto) diritto al figlio per un eccesso di amore da donare[16]; si dona il proprio seme, il proprio ovulo, il proprio utero, per amore del prossimo che genitore non può diventare;[17] si intende, per amor suo ovviamente, selezionare l’embrione da impiantare per evitare di trasmettergli le medesime patologie genetiche che affliggono i genitori su questi ultimi ricadendo un vero e proprio obbligo morale di ottenere la miglior prole possibile[18]; si  interrompe la gravidanza per amore del feto che presenta anomalie e al quale non si vuol concedere una vita insalubre;[19]  si adotta per amore di chi non ha genitori[20]; non si vuol definire la sessualità dei propri figli, per amor loro e della loro libertà di costruire una propria identità svincolata dai cosiddetti “stereotipi di genere”[21]; infine, con amore e sempre per amore, si sospendono i trattamenti di sostengo vitale di chi in fase terminale non è più degno non tanto di vivere,[22] quanto piuttosto, forse, di non essere più in grado di continuare a bearsi di tutto questo amore che dà e che a sua volta riceve.

Amore è, dunque, la parola d’ordine del mondo attuale, e, nonostante tutte le predette dimensioni, maggiormente viene in rilievo, almeno negli ultimi tempi, proprio nella dimensione che più dovrebbe essergli estranea, cioè quella giuridica del matrimonio e della famiglia, tanto da risuonare adeguata l’icastica precisazione di Roland de Pury il quale, delineando la distinzione di approccio tra est e ovest del mondo, ricorda che «in occidente ci si sposa perché ci si ama, in oriente ci si ama perché ci si sposa»[23].

 

  1. Matrimonio e famiglia tra amore e diritto

 

«L’amore è una potenza che si può senz’altro disciplinare»[24], scriveva Jules Michelet evidenziando il paradosso di dover considerare in relazione sentimento e disciplina, amore e diritto.

Ma che rapporto esiste tra amore e diritto? L’amore deve essere disciplinato, cioè sottostare al diritto? O l’amore è disciplinante, cioè deve sottomettere il diritto?

Prima di una risposta generale ai suddetti quesiti sembra inevitabile una riflessione preliminare di carattere storico-concettuale.

La storia del diritto occidentale, così ricca di stratificazioni e sfumature, si può, tuttavia, racchiudere nella dialettica tra le due principali correnti di pensiero che l’hanno maggiormente caratterizzata: il giuspositivismo da un lato[25], e il giusnaturalismo dall’altro[26].

In estrema e, ovviamente, non esaustiva sintesi per questioni di spazio: secondo il giuspositivismo il diritto si esaurisce interamente nella norma, anzi, nella legge secondo l’equivalenza per cui la legge è sempre diritto e il diritto non può che esser legge e in essa condensarsi; secondo il giusnaturalismo, invece, la legge può essere e deve essere solo espressione del diritto, diritto che è naturale, cioè pre-esistente alle norme dell’ordinamento, quelle positive, cioè quelle poste dallo Stato, dal legislatore, e che come tale non si esaurisce dunque nella mera datità del fenomeno legislativo.

Nella tragedia sofoclea si sacralizza questa tragica dinamica, nel confronto tra Antigone e Creonte in cui, sotto la nobile arte del verso poetico del celebre tragediografo, si mette in scena l’antico quesito: veritas facit legem o auctoritas facit legem?

Si sostanzia, in definitiva, l’interrogativo già posto da Platone nell’Eutifrone: il santo, perché santo perché lo amano gli dei o perché lo amano gli dei è santo?[27]

Insomma, il diritto è giusto perché lo è di per sé, o soltanto quando giusto lo si ritiene? O meglio, il diritto è giusto di per sé o è giusto solo perché così vuole il legislatore? O ancora, la legge, è legge solo se è giusta, o è giusta solo perché è legge?

Hans Kelsen riterrebbe che la giustizia di una legge è priva di importanza, poiché lo è soltanto la sua validità, cioè non già la sua sostanza, ma soltanto la sua forma[28].

Hegel, per parte sua, risponderebbe, invece, che è il diritto è rectum, solo perché è directum, cioè che solo perché esprime il giusto, esso può essere diritto[29].

Già S. Agostino, del resto, aveva precisato che lex esse non videtur quae iusta non fuerit,[30] cioè non sarebbe legge quella che non fosse altresì giusta, ovvero quella che non concordasse, come insegna S. Tommaso d’Aquino, con la retta ragione che per l’appunto è l’elemento costitutivo della legge umana[31].

Ricalcando il sentiero delle due predette prospettive, si sono storicamente sviluppate le due principali visioni intorno alla famiglia fondata sul matrimonio: quella per cui essa è una società naturale, come per esempio dimostra il tenore dell’art. 29 della Costituzione italiana, e quella per cui, invece, essa è un mero prodotto sociale, come dimostrano le riflessioni ancora attualissime, dopo un secolo di distanza, di Alexandra Kollontaj per la quale, appunto, «la famiglia e il matrimonio sono categorie storiche, fenomeni che si sviluppano in parallelo con le relazioni economiche che esistono in un dato livello di produzione. La forma di matrimonio e di famiglia è determinata dal sistema economico di una data epoca, ed essa cambia come cambia la base economica della società. La famiglia come il governo, la religione, la scienza, la morale, la legge e i costumi, è parte della sovrastruttura che deriva dal sistema economico della società»[32].

Ai due predetti orientamenti contrapposti (giuspositivismo e giusnaturalismo), nell’ultimo decennio, sembra essersi aggiunto, con gradualità, in sordina, quasi impercettibilmente, un terzo polo del tutto inedito e nuovo nella storia del pensiero giuridico, cioè quello che si potrebbe definire come sentimentalismo giuridico o gius-sentimentalismo.

Il gius-sentimentalismo si basa sulla convinzione per cui i sentimenti in genere e l’amore in particolare, che per tradizione sono sempre stati estranei al diritto (proprio Antigone vuole seppellire il defunto fratello Polinice non per amore nei suoi confronti, ma per obbedienza nei confronti della giustizia), debbano acquisire una rilevanza politica e perfino giuridica, addirittura fino a legittimare, rifondandoli, gli istituti giuridici esistenti o l’applicazione degli stessi.

Si pensi alle parole di Niklas Luhmann il quale rinviene che «l’unità di amore e matrimonio viene presupposta come unità di materia e forma»[33].

Il giu-sentimentalismo, a ben guardare, si caratterizza per la sua gianica doppiezza: per certi aspetti, infatti, è l’opposto della teoria normativistica di matrice kelseniana, poiché introducendo l’amore nel giuridico non solo non depura il diritto,[34] ma addirittura lo rende permeabile alla fenomenologia morale più ingombrante quale l’amore è, e per altri spetti, invece, è proprio l’espressione di un kelsenismo sclerotizzato e sclerotizzante, cioè espressione di una totale avalutatività del contenuto del diritto medesimo che conduce a ritenere diritto tutto ciò che tale è dichiarato dal legislatore purché validamente e formalmente cristallizzato nella forma legis.

In un simile frangente acquistano rilevanza le parole di Martha Nussbaum secondo cui, infatti, «l’amore conta eccome per la giustizia, specialmente quando la giustizia è incompleta ed è ancora un’aspirazione, ma anche in una società compiuta, ammesso che ne esista una»[35].

Il gius-sentimentalismo, dunque, abbatte quel confine naturale, di separazione e distinzione, sebbene aperto al reciproco arricchimento e alla scambievole comunicazione, esistito fino ad ora tra morale e diritto,[36] così che il diritto deve diventare sensibile nei confronti dei sentimenti in genere e dell’amore in particolare, e l’amore a sua volta può essere e, addirittura, deve essere giuridificato.

Storicamente esiste soltanto un precedente per un fenomeno analogo, come dimostrano le leggi razziali di Norimberga del 1935 in cui il diritto si è piegato al sentimento dell’odio e l’odio a sua volta è stato “normalizzato” in quanto è stato appunto giuridificato, banalizzando il male come ha notato Hannah Arendt.[37]

La circostanza davvero storicamente autentica ed inedita è che adesso si tenti di giuridificare l’amore.

In questo senso appare imprescindibile il pensiero di Stefano Rodotà che tanto spazio ha dedicato a questo problema tematizzandolo ampiamente fino a teorizzare, appunto, un diritto d’amore.[38]

Rodotà è sicuro che «il diritto d’amore, via via che molte resistenze vengono superate proprio attraverso leggi e sentenze, non può essere più negato con argomenti giuridici»[39].

Rebus sic stantibus, scrive sempre Rodotà, «la negazione del diritto d’amore e la sua sottoposizione a vincoli obbliganti ci mostrano una persona alla quale vengono negate, insieme, libertà e dignità. Il diritto d’amore si iscrive così in un orizzonte giuridico che non entra in contraddizione con esso, e trova il suo fondamento nel rispetto pieno dovuto alla persona»[40].

Una tale prospettiva, però, non può che destare molteplici interrogativi: l’amore è un bene giuridico? È un diritto? Nei confronti di chi è esercitatile? Contempla correlativi doveri? Significa che se io ho un diritto d’amore, qualcuno ha il corrispondente dovere di amarmi? Su chi incomberebbe un simile dovere: sullo Stato, sulla collettività, sul mio consociato più prossimo? Come è tutelabile il diritto d’amore? Sarebbe possibile una “esecuzione forzata” del diritto d’amore eventualmente negato?

Nonostante l’acume di Francesco Gazzoni abbia già riconosciuto, diversi anni or sono, scandagliando il medesimo tema, che soltanto il diritto canonico dà larghissimo spazio all’amore[41], ma che una «eguale considerazione non è possibile fare per quanto riguarda il diritto civile»[42], come comprova l’orientamento della Cassazione per cui la convivenza coniugale «non implica necessariamente continuativa coabitazione o rapporti sessuali, e l’elemento spirituale può ravvisarsi anche ove difetti vero e proprio sentimento d’amore»[43], occorre chiedersi perché non è configurabile il diritto d’amore e perché non è possibile l’integrazione di amore e diritto né alla base del matrimonio prima, né della famiglia poi.

Per risolvere le difficoltà è opportuno guardare alla natura delle due dimensioni chiamate in causa, cioè alla natura dell’amore e a quella del diritto.

Sulla scorta dell’imprescindibile insegnamento di Sergio Cotta, che, con la sua autorevolezza e consueta chiarezza, da filosofo del diritto ha invitato a cogliere l’essenza delle cose distinguendo sei forme coesistenziali riconducibili a due grandi famiglie, quella delle relazioni integrativo-escludenti (amicale, politica, familiare) e quella delle relazioni integrativo-includenti (ludica, giuridica, caritativa)[44], appare necessario comprendere i tratti comuni e distintivi tra amore e diritto.

L’amore e il diritto, infatti, hanno due aspetti in comune che li rendono simili e perciò reciprocamente respingenti come accade con gli stessi poli magnetici, e ben cinque caratteristiche differenzianti che – a parere di chi scrive – li rendono indubbiamente inconciliabili.

Per quanto riguarda la similitudine si deve fare riferimento alla relazionalità e alla razionalità quali tratti costitutivi dell’essere umano.

Sia l’amore che il diritto, infatti, sono espressione della natura relazionale dell’essere umano, del suo essere un essere-con, un essere-con-l’altro, cioè artistotelicamente un animale sociale[45].

Si ha amore soltanto nella misura in cui c’è l’altro da amare, così come si ha diritto allorquando si riconosce all’altro ciò che gli spetta.

Inoltre, sia l’amore che il diritto sono la manifestazione della razionalità umana, come comprova che non si danno né amore, né diritti nel mondo animale.

Il diritto, da parte sua, è espressione della razionalità umana nella misura in cui riflette e riconosce la recta ratio che governa quella dimensione pre-ordinamentale che è identificata come “diritto naturale”.

L’amore, contrariamente a ciò che erroneamente si ritiene, è anch’esso fenomeno della ragione umana, e non può essere vero amore quello che in contrasto con la ragione si trova.

Tra i molteplici esempi possibili si pensi a quanto tratteggiato da Dante proprio nel suo V canto dell’Inferno, oggi incomprensibile utilizzando gli schemi culturali contemporanei per cui love is love.

Nel suo V canto dell’Inferno Dante, infatti, non esalta l’amore, ma condanna l’amore che, per le dinamiche con cui si viene a concretizzare, risulta sostanzialmente opposto alla natura razionale e alla ragione della natura.

Nelle atroci segrete del girone dantesco sono rinchiusi, infatti, i noti amanti Paolo e Francesca. I due senza dubbio si amano, ma il loro amore è, in quanto cognati, un amore non giusto, cioè messo in essere in violazione della legge umana e divina, e fraudolento rispetto all’ordine della natura e alla natura delle relazioni, sia in riferimento al rapporto di coniugio esistente tra Francesca e il marito Gianciotto, sia al rapporto di consanguineità di quest’ultimo con il fratello Paolo.

L’amore, insomma, non può essere estraneo alla ragione, cioè all’ordine naturale delle cose, a meno che, ignorando questa sua caratteristica essenziale, non si preferisca essere schierati tra quanti  giustamente lo stesso Dante identifica come coloro «c’hanno perduto il ben de l’intelletto», cioè tutti quelli che non hanno preso posizione tra il male e il bene, tra la menzogna e la verità, tra un amore distorto dall’opera umana e l’amore corretto dei precetti della ragione, tra il disordine umano e l’ordine naturale (e divino).

La natura relazionale dell’essere umano si fonde dunque con la sua natura razionale, per cui non può l’amore essere in contrasto né con la costitutiva relazionalità umana, come si evince per esempio dal mito di Narciso che innamorato di se stesso si privò della possibilità di amare qualcun’altro, né con la connaturata razionalità umana, come si evince per esempio dal mito di Edipo che amò, sposandola perfino, la madre Giocasta trovandosi in contrasto sia con la natura della ragione, sia con la razionalità della natura, così da essere inevitabilmente “condannato”, come ricorda lo stesso coro sofocleo per cui «il tempo condanna le nozze assurde» (vv. 1213-1215).

Diversamente da quanto ritiene chi condivide la visione del gius-sentimetalismo, e come giustamente puntualizza Soren Kierkegaard, allora, «l’amore è questione di coscienza, dunque non questione di istinto e di inclinazione; e nemmeno di sentimento o di calcolo razionale»[46].

Esaminati fin qui i tratti costitutivi comuni tra amore e diritto, occorre adesso scoprire i motivi per cui essi si rivelano tra loro inconciliabili.

Amore e diritto sono diversi per cinque tratti differenziati e strutturali che li contraddistinguono in modo netto ed inequivocabile.

L’amore, infatti, è libero, privato, particolare, esclusivista e sostanziale.

È libero perché non può essere né ordinato, né vietato; deve essere qualcosa di spontaneo.

È privato perché non ha una rilevanza per la collettività, in quanto se due colleghi, due amici, due coniugi o due consociati qualsiasi si amano o meno la collettività si fonda comunque sulla relazionalità ontologica dell’essere umano, a prescindere dalla reciproca benevolenza o dai reciproci sentimenti.

È particolare in quanto è rivolto ad una specifica persona, cioè la persona amata, poiché non è possibile un amore che non tenga conto della dualità, dell’essere personale dell’altro, cioè non è possibile un amore spersonalizzato e spersonalizzante, così che non potrebbe essere autentico e concreto amore quello diretto ad una indistinta e indeterminata generalità di soggetti.

È esclusivista perché diretto verso qualcuno ad esclusione di tutti gli altri, come appunto accade nell’amore che lega due amici e, a maggior ragione, in quello che unifica e salda moglie e marito.

È sostanziale perché non vi sono procedure o formalità per amare qualcuno: lo si può fare parlando o agendo, come in silenzio o restando fermi, cioè estrinsecandolo per fatti concludenti.

Il diritto, invece, per parte sua è coercibile, pubblico, generale, inclusivista e formale.

È coercibile perché utilizza il comando, la forza e, spesso, anche l’inevitabile sanzione per costringere qualcuno al comportamento da osservare.

È pubblico perché riguarda l’intera collettività in quanto espressione del bene comune.

È generale poiché non riguarda casi specifici, ma costituisce una disciplina per tutti i casi in genere venendo poi applicato e “adattato” al caso singolo.

È inclusivista proprio perché universale, in quanto riguarda tutti i consociati, come, per esempio, comprovano i principi generali e fondanti del diritto, o ai diritti umani, o i diritti costituzionalmente garantiti.

È formale poiché è condensato non solo in principi meta-normativi, ma, per la gran parte, anche in norme positive che sanciscono le modalità e le procedure indispensabili per la sua esplicitazione ed effettualità.

Che ne sarebbe di entrambi se venissero mescolati? Che ne sarebbe dell’amore? Che ne sarebbe del diritto?

Relativamente all’amore: sarebbe autentico amore quello che fosse ordinato o vietato dalla legge? Che amore sarebbe quello che fosse provato per timore della sanzione? Che amore sarebbe quello che non fosse provato nei confronti della persona amata e soltanto nei confronti di questa, ma nei confronti di una generalità di soggetti non identificata o non identificabile?

Relativamente al diritto: come ebbe modo di chiedersi Pascal[47], non sarebbe impotente quel diritto che non fosse coercibile? Che diritto sarebbe quello che fosse non dipendente dal bene comune, ma dal bene particolare? Che diritto sarebbe quello che rimanesse intrappolato e, sostanzialmente, inespresso nella coscienza di ciascuno, come il sentimento dell’amore, e che, dunque, non fosse tangibile nella concretezza del principio giuridico o della legge?

Si comprende bene, allora, quanto sia decisamente inopportuna ed erronea l’operazione messa in essere dalla inedita corrente di pensiero identificabile nel “gius-sentimentalismo”, il quale tenta di conciliare ciò che conciliabile appunto non è: cioè amore e diritto.

Tentare di giuridificare l’amore significa violare all’un tempo, dunque, sia la natura dell’amore, sia la natura del diritto, cioè dimostrarsi degli inesperti, o peggio, dei dilettanti, per utilizzare la felice formula di Piero Calamandrei, sia nel campo amoroso, sia soprattutto nel campo giuridico[48].

Appare fin troppo chiaro, a questo punto, che tanto per le loro similitudini, quanto soprattutto per le loro differenze amore e diritto non possono essere reciprocamente “incastrati”.

Non si possono e non si devono mescolare amore e diritto, dunque, non solo per il diritto dell’amore di essere autentico, autenticità che, come dimostrato, sarebbe del tutto smarrita qualora venisse giuridificato, ma soprattutto per amore del diritto, cioè per garantire che il diritto sia ciò che è e non già il suo grottesco feticcio sentimentalista.

Tentare di legittimare il matrimonio, qualunque tipo di matrimonio o unione giuridica, sull’elemento sentimentalistico dell’amore, del diritto d’amore, dell’uguaglianza dell’amore, significa tradire l’essenza dell’amore, quella del diritto e quella del matrimonio medesimo che viene così inevitabilmente distorto e annichilito dalla mentalità intimamente anti-giuridica del nostro tempo, come ha ben colto chi, esperto di nichilismo come Nietzsche, ha notato che «al matrimonio moderno è venuta a mancare ogni ragione[…]. La ragione del matrimonio stava nella esclusiva responsabilità giuridica dell’uomo […]. Con la crescente indulgenza per il matrimonio d’amore si è eliminato addirittura il fondamento del matrimonio, ciò che soltanto fa di esso una istituzione […]. Il matrimonio moderno ha smarrito il suo senso, di conseguenza si toglie di mezzo»[49].

Il matrimonio e la famiglia posseggono, infatti, una loro propria dignità e giuridicità costitutiva che esula da ogni contingenza sentimentale, come ricorda Hegel allorquando insegna che «la conclusione del matrimonio è dunque la solennità con cui l’essenza di questo legame viene pronunciata e constatata come entità etica innalzata sopra l’accidentalità del sentimento e dell’inclinazione particolare»[50].

 

  1. Conclusioni     

 

Il gius-sentimentalismo, allora, si presenta come una nuova forma di corrente di pensiero che nella sua sostanza si risolve per essere non solo antigiuridico, poiché volto direttamente o indirettamente a negare e disconoscere l’essenza, la funzione e lo scopo del diritto, ma anche e soprattutto anti-razionale, poiché volto ad operare uno stravolgimento irrazionale del diritto e del sentimento dell’amore che viene trasformato, addirittura, nella forma della pretesa giuridica.

Il gius-sentimentalismo come espressione dell’irrazionalismo contemporaneo acquista un connotato ancor più paradossale se si tiene in considerazione la crescente diffusione, nel contesto culturale odierno, della visione per cui proprio l’amore è svuotato della sua essenza spirituale essendo ridotto a mero prodotto delle forze neuro-bio-chimiche che le neuroscienze stanno facendo emergere, come dimostrano, per esempio, le parole di Robin Dunbar per il quale, infatti, «l’innamoramento è un universale umano[…]. E ciò crea un rompicapo: se questo è una caratteristica così universale degli esseri umani, deve avere una base e una funzione biologiche»[51].

Insomma, si assiste da un lato all’esclusione della ragione per mezzo del gius-sentimentalismo, dall’altro all’irrigidimento della stessa che spiega l’amore e le relazioni umane soltanto in termini di determinismo bio-fisico, palesando quanto l’epoca moderna sia ostaggio dei due eccessi denunciati da Pascal, cioè «escludere la ragione, accettare solo la ragione»[52].

In conclusione, allora, prendendo atto della pericolosa deriva irrazionalistica del gius-sentimentalismo che ha alterato e sta alterando l’amore, il diritto, il rapporto tra morale e diritto, il matrimonio e la famiglia, non si possono non considerare le riflessioni di Karl Popper che, con le capacità profetiche tipiche della genialità fuori dal comune, per evitare la fine di ogni pensabilità del diritto, ha così giustamente osservato: «Secondo l’irrazionalista alla maggior parte degli uomini ci si deve sempre rivolgere con un appello alle loro emozioni e passioni piuttosto che con un appello alla loro ragione[…]. Ma sostengo che chi insegna che non la ragione, ma l’amore deve governare, apre la strada a coloro che governano con l’odio»[53].

 

* Contributo sottoposto a valutazione.

[1] F. Nietzsche, Umano troppo umano, Milano, 2013, p. 230, n. 393.

[2] «Il primo dei due elementi costitutivi del matrimonio, la coabitazione, non deve intendersi nel senso materiale della permanente convivenza dei coniugi o della costante dimora della moglie nella casa del marito. Perché esso sia realizzato occorre solo che, alla stregua degli usi sociali, i coniugi siano considerati come coabitanti»: C. Sanfilippo, Istituzioni di diritto romano, Soveria Mannelli, 1996, p. 174.

[3] «Beatitudine scrivere sulla volontà di millenni come su bronzo»: F. Nietzsche, Il crepuscolo degli idoli ovvero come fare filosofia col martello, Milano, 2008, p. 139.

[4] «Ogni Stato è composto di famiglie»: Aristotele, Politica, Bari, 1973, I, 3, 1-3 (1253b), p. 8.

[5] https://bit.ly/3171k9f.

[6] D. Laerzio, Vite dei filosofi, Laterza, Bari, 2010, p. 222.

[7] F. Schelling, Introduzione filosofica alla filosofia della mitologia, Milano, 2002, p. 91.

[8] «Il pensiero moderno nel campo giuridico è ben lungi dall’essere interamente razionale. Tanto è vero che noi continuiamo ancora ad usare le nozioni di diritti, doveri e simili senza essere consapevoli del fatto che si tratta di concetti immaginari»: K. Olivecrona, Il diritto come fatto, Milano, 1967, p. 96.

[9] A riprova di ciò si pensi, tra i tanti esempi possibili, alla lectio magistralis tenuta presso l’Università di Liverpool il 30 maggio 2018 da Sir James Munby, President of the family Division of the High Court and Head of family Justice for England and Wales, secondo cui «bisogna accettare il fatto che in Inghilterra la famiglia assume oramai una varietà infinita di forme poiché vi sono matrimoni tra persone di fede non cristiana, persone che vivono insieme come coppie sposate o non sposate con altre persone dello stesso o di diverso sesso, bambini allevati da uno, due o anche tre genitori, sposati o non sposati che possono essere e non essere i loro genitori naturali, bambini con genitori di diversa fede, etnia o nazionalità, bambini di relazioni poligame, bambini allevati da genitori dello stesso sesso, concepiti tramite inseminazione artificiale con donatore di gameti o risultato degli accordi di maternità surrogata». Per il testo della relazione cfr. https://bit.ly/2ENDkyj.

[10] «Esistono famiglie di ogni forma e dimensione»: S. Golombok, Famiglie moderne, Milano, 2016, p. 221.

[11] https://bit.ly/2Zczo1V.

[12] https://bit.ly/2Qm5esk.

[13] D. Parash – J. Lipton, Il mito della monogamia. Animali e uomini infedeli, Milano, 2002.

[14] Voltaire, Dizionario filosofico, Torino, 1995, p. 21.

[15] «Barack Obama all’annuncio della sentenza della Corte ha commentato su Twitter: #love is love»: N. Vassallo, Il matrimonio omosessuale è contro natura. Falso!, Bari, 2015, p. XVIII.

[16] N. Sipos, Perché io no? Quando non si riesce a diventare mamma, Milano, 2011.

[17] A.R.Vitale, Escursioni biogiuridiche in tema di maternità surrogata, in Medicina e Morale, 2/2016.

[18] J. Savulescu – G. Kahane, The moral obligation to create children with the best chance of the best life, in Bioethics, 5/2009, pp. 274-290.

[19] J. Harris, Wonderwoman e superman. Manipolazione e genetica e futuro dell’uomo, Milano, 1997, p. 127.

[20] M. Scarpati – P. Paterlini, Adottare un figlio, Milano, 1999.

[21] Per una trattazione ampia e illuminante cfr. L. Palazzani, Sex/Gender. Gli equivoci dell’uguaglianza, Torino, 2011; e anche F. D’Agostino, Sessualità. Premesse teoriche di una riflessione giuridica, Torino, 2014; per una sintesi cfr. A.R.Vitale, Gender: questo sconosciuto, Fede & Cultura, Verona, 2016.

[22] U. Veronesi, Il diritto di non soffrire. Cure palliative, testamento biologico, eutanasia, Milano, 2011.

[23] R. De Pury, Liberté a deux, Labor et fides, Ginevra, 1967, p. 28.

[24] J. Michelet, L’amore, Bur, Milano, 1987, p. 60.

[25] N. Bobbio, Il positivismo giuridico, Giappichelli, Torino, 1996.

[26] R. Pizzorni, Il diritto naturale dalle origini a S. Tommaso d’Aquino, Bologna, 2000; N. Bobbio, Il giusnaturalismo moderno, Torino, 2009.

[27] Platone, Eutifrone, Bari, 1974, XII, p. 19.

[28] «Giusto è qui soltanto una parola diversa per dire legale»: H. Kelsen, Lineamenti di dottrina pura del diritto, Torino, 1952, p. 57.

[29] G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, Milano, 2000, V, 3, 236, p. 587.

[30] S. Agostino, De libero arbirio, I, 5,11.

[31] «La legge umana in tanto ha natura di legge in quanto si uniforma alla retta ragione»: S. Tommaso D’Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 93, a. 3.

[32] A. Kollontaj, Tesi sulla moralità comunista nella sfera delle relazioni matrimoniali, 1921, cit.

[33] N. Luhmann, Amore come passione, Milano, 2006, p. 200.

[34] «La dottrina pura del diritto è una teoria del diritto positivo […]. Essa vuole liberare la scienza del diritto da tutti gli elementi che le sono estranei»: H. Kwlsen, op. cit., p. 47.

[35] M. Nussbaum, Emozioni politiche. Perché l’amore conta per la giustizia, Bologna, 2014, p. 455.

[36] La letteratura sul punto è sterminata: su tutti, a titolo esemplificativo, cfr. G. Del Vecchio, La verità nella morale e nel diritto, Roma, 1952.

[37] «Il guaio del caso Eichmann era che di uomini come lui ce n’erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali. Dal punto di vista delle nostre istituzioni giuridiche e dei nostri canoni etici, questa normalità è più spaventosa di tutte le atrocità messe insieme, poiché implica – come già fu detto e ripetuto a Norimberga dagli imputati e dai loro patroni – che questo nuovo tipo di criminale, realmente hostis generis humani, commette i suoi crimini in circostanze che quasi gli impediscono di accorgersi o di sentire che agisce male»: H. Arendt, La banalità del male, Milano, 1993, p. 282.

[38] Contra: «Non c’è un diritto all’amore, ma un dovere di amore, di amare Dio e l’altro: quale paradosso!»: V. Possenti, I volti dell’amore, Genova, 2015, p. 31.

[39] S. Rodotà, Diritto d’amore, Bari, 2015, p. 80.

[40] S. Rodotà, op. cit., p. 23.

[41] Sacra Rota, 22/04/1982; Sacra Rota, 28/07/1981.

[42] F. Gazzoni, Amore e diritto ovvero i diritti dell’amore, Napoli, 1994, p. 135.

[43] Cass. n. 1595/1976 citata in F. Gazzoni, op. cit., p. 135.

[44] S. Cotta, Il diritto nell’esistenza. Linee di ontofenomelogia giuridica, Milano, 1991, p. 101 ss.

[45] Aristotele, op. cit., p. 82.

[46] S. Kierkegaard, Gli atti dell’amore, Brescia, 2009, p. 165.

[47] «La giustizia senza la forza è impotente: la forza senza la giustizia è tirannica»: B. Pascal, Pensieri, Milano, 2006, n. 285, p. 161.

[48] «C’è il caso che l’inesperto e il dilettante (che è anche peggiore) di filosofia, si metta a proclamare che il diritto consiste unicamente nel far tutti quanti il comodo proprio»: P. Calamandrei, Fede nel diritto, Bari, 2009, p. 69.

[49] F. Nietzsche, Il crepuscolo degli idoli ovvero come fare filosofia col martello, Milano, 2008, p. 116.

[50] G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Milano, 1996, III, § 164, p. 313.

[51] R. Dunbar, Amore e tradimento. Uno sguardo scientifico, Milano, 2013, p. 16; cfr. anche S. Kirshenbaum, La scienza del bacio, Milano, 2011; A. Young, La chimica dell’amore, Milano, 2015.

[52] B. Pascal, op. cit., n. 3, p. 33.

[53] K. Popper, La società aperta e i suoi nemici, Roma, 2003, Vol. II, pp. 271-281.