Massimo Gandolfini

Primario di Neurochirurgia all’Ospedale Poliambulanza di Brescia
Presidente del Comitato Difendiamo i nostri figli

 Relazione tenutasi al convegno Coscienza senza diritti?, svoltosi il 21 ottobre 2017 nell’Aula del Palazzo dei Gruppi parlamentari della Camera dei Deputati per iniziativa del Centro Studi Rosario Livatino

 

Onorevoli Autorità presenti e stimati Amici, innanzitutto grazie per l’invito e l’opportunità che mi date di esprimere qualche pensiero.

Considerato l’argomento che stiamo affrontando, vorrei iniziare con un evento di cronaca, che avverto in modo particolarmente intenso, data la mia professione di medico-neurochirurgo. In questi giorni, su una prestigiosa rivista internazionale di bioetica, è apparso un articolo a firma di due noti bioeticisti inglesi della Oxford University, in cui si lancia un vero e proprio assalto a quel grande valore che rappresenta l’obiezione di coscienza. Tre i punti fondamentali:

  1. abolire il diritto del medico all’obiezione di coscienza;
  2. selezionare i candidati medici, all’atto dell’iscrizione alla facoltà di medicina, preferendo coloro che dichiarano di non avere “remore” di coscienza di qualsiasi tipo;
  3. consentire, anche a prescindere dalla professione medica, che si possano fornire “servizi”, quali eutanasia, aborto e fecondazione artificiale.

Senza alcuna esagerazione retorica, penso che possiamo definire drammatico lo scenario socioculturale che caratterizza questo nostro tempo e che tocca a noi vivere ed affrontare.

Passo, ora, alla mia esperienza di questi ultimi anni.

Siamo nell’estate del 2013, quando veniamo “provvidenzialmente” a conoscenza del fatto che in tutte le scuole d’Italia si stanno diffondendo tre libretti, di diverso colore per i tre gradi d’istruzione, primaria e secondaria, dal titolo “Educare alla diversità”. Editore l’Istituto Beck di Torino, sotto la guida dell’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale, Dipartimento delle Pari Opportunità), con l’egida del Ministero Pubblica Istruzione (MIUR). I libretti sono una sorta di vademecum pratico – destinato ai discenti dai 6 ai 18 anni – che attualizza un documento elaborato a livello europeo nel 2010, in cui si definiscono le linee guida “Standard per l’Educazione Sessuale in Europa”, inviato a tutti gli Stati nazionali europei. Il governo in Italia nel 2010 ebbe la saggezza di cassarlo e non dare seguito, ma nel 2013 – in piena crisi di governo Monti – qualcuno ebbe la bella idea di riprenderlo dal cassetto dove giaceva da 3 anni e di dargli attuazione pratica.

Valutati attentamente i libretti ci rendemmo conto che si trattava – di fatto, anche senza mai citarla – dell’introduzione nel sistema scolastico italiano di quella devastante ideologia chiamata “Gender”, in cui si educano i bambini/ragazzi all’idea che la condotta di genere, l’identità di genere, l’orientamento di genere sono scelte personali libere, che prescindono dall’identità sessuata del soggetto, considerando quest’ultima come un mero dato biologico (vorrei sommessamente ricordare che tutte le miliardi di cellule del nostro corpo sono sessuate, XX  XY, e la produzione ormonale conseguente, estrogeni o androgeni, plasmo l’intero nostro soma, cervello compreso!) modificabile attraverso scelte “culturali” autodeterminate.

Riducendo all’osso il tema si sostiene che si può biologicamente appartenere al sesso femminile o maschile, ma si può (e si deve) scegliere liberamente un’appartenenza di “genere” non condizionata dal sesso. Si propone l’abbattimento dei cosiddetti “stereotipi” educativi che “impongono” alla femmina di diventare donna, ed al maschio di diventare uomo, lasciando – al contrario – la possibilità di una libera scelta di “genere” che, ad oggi, prevede una lista di preferenze di 58 generi, interscambiabili.

Torniamo all’estate 2013. Alla fine di luglio, inizio di agosto, i libretti giungono nelle scuole, sfuggendo ad ogni possibile controllo (genitori, famiglie, insegnanti, studenti), considerato il tempo estivo delle vacanze. Un caso? O una scelta di “occhiuta rapina”, per dirla con Giuseppe Giusti?

Abbiamo scelto la seconda ipotesi ed abbiamo deciso di mobilitarci.

Abbiamo preso contatto con amici parlamentari sensibili a questi temi (che ci hanno aiutato con interpellanze parlamentari), abbiamo attivato i pochi canali di comunicazione pubblica che abbiamo a disposizione (la grande comunicazione è in mano a pochi “potenti” che ci comunicano quello che vogliono e che perfino il dovere di cronaca lo mettono sotto i tacchi delle scarpe, quando si tratta di oscurare la voce delle persone comuni, a favore di una sparuta minoranza ideologica “politicamente corretta”!) ed abbiamo iniziato un “passaparola” fatto di centinaia, migliaia di convegni, incontri, conferenza in ogni parte d’Italia, al fine di informare i poveri genitori, totalmente ignari, di quanto stava accadendo.

Molto efficacemente il Santo Padre Francesco – definendo il gender “uno sbaglio della mente umana!” – ha dichiarato che è in atto una vera “colonizzazione ideologica”, “una guerra mondiale contro la famiglia”. Non possiamo chiamarci fuori, non possiamo restare seduti in panchina. È un dovere morale, prima che sociale e culturale, che scendiamo nel circo e diamo il nostro contributo in difesa dell’uomo, dell’umano, della famiglia, dell’antropologia che ha caratterizzato l’intera storia dell’umanità e – per chi fra noi è credente – dei principi e valori che la Santa Famiglia di Nazareth ha incarnato.

Nascono in questo modo e su queste basi i due ultimi “Family Day”, con lo scopo di far sentire la voce degli italiani, della gente semplice e comune, il cui sentire, personale e sociale, non vuole discriminare nessuno e al contempo vuole affermare la centralità della famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio”, il diritto/dovere dei genitori di educare i figli, il diritto del bimbo, di ogni bimbo, di avere una mamma ed un papà e di non essere trattato come “cosa” comprata al supermercato delle abominevoli pratiche delle biotecnologie.

Da quei due straordinari eventi, è iniziata una “militanza” a favore della vita e della famiglia, che ci vede ogni giorno interlocutori attivi dentro il mondo culturale e politico, dall’utero in affitto all’eutanasia, dalla legalizzazione della cannabis al bavaglio antidemocratico della legge contro la cosiddetta omofobia.

In particolare nel mondo della scuola teniamo sotto monitoraggio l’applicazione dell’articolo 1, comma 16, della legge 107/2016, ove si parla di educazione all’“identità ed orientamento di genere”.

Ferma restando la nostra totale condanna di ogni tipo di discriminazione, violenza, oltraggio, bullismo di qualsiasi persona – a prescindere dalle sue caratteristiche personali e sociali (art. 3 della Costituzione) –, è nostra intenzione bloccare ogni tentativo che – sfruttando le appena menzionate nobili istanze – si proponga di introdurre nelle scuole dei nostri figli e nipoti il principio della “libera scelta di genere”, proponendo loro il “menù” dei diversi generi.

Siamo assolutamente convinti che – in questo ambito – il compito della scuola è una sana educazione (condotta personale e sociale) coerente all’identità sessuata della persona, evitando le nebbie dell’indifferentismo sessuale, che non possono che creare confusione nella nascente personalità del bimbo/adolescente/giovane. Le scelte che farà da adulto, risentiranno “pesantemente” del tipo di educazione – soprattutto in ambito affettivo e sessuale – che avrà ricevuto durante il lungo periodo dell’età scolare.

Una personalità confusa è una personalità debole e manipolabile alla mercé del potente di turno. La storia, anche recente, della nostra Europa ce ne dà tragica conferma.

Tutto ciò, in stretta collaborazione con le famiglie. Vogliamo che sia assolutamente garantito il diritto dei genitori nell’educazione del proprio figlio, prevedendo lo strumento del “consenso informato preventivo” ogni volta che la scuola affronta argomenti etici, sensibili, delicati, controversi, nei confronti dei quali i primi titolari non possono che essere i genitori stessi, con il loro bagaglio valoriale di riferimento.

Perché mai, quanto si è reso possibile con l’educazione della religione a scuola non dovrebbe essere reso altrettanto possibile con l’educazione all’affettività/sessualità, considerata l’estrema delicatezza del tema?

Quindi, abbiamo avanzato al MIUR due proposte concrete, che tengono insieme le istanze del contrasto alla discriminazione/bullismo e quella del contrasto all’educazione di “genere”:

  1. la scuola, impegnandosi a rimuovere gli ostacoli di qualsiasi natura che possono impedire il pieno sviluppo della persona umana, promuove e valorizza il ruolo primario della famiglia, chiamata a contribuire in modo attivo e costruttivo alla definizione del percorso formativo dei propri figli, valorizzando e rendendo effettivi i principi di pari opportunità tra uomo e donna, uguaglianza e non discriminazione, nel rispetto del principio di uguaglianza sostanziale, rafforzando in tal modo la coesione sociale;
  2. l’adozione da parte del Ministero e degli Uffici Scolastici Territoriali di progetti educativi finalizzati al contrasto di ogni forma di violenza e discriminazione sessista – anche di tipo omofobico/transfobico – sia subordinata al rispetto del principio costituzionale di libera scelta educativa, attraverso l’acquisizione del consenso genitoriale, ed il coinvolgimento dei comitati delle associazioni famigliari che operano per la promozione dell’educazione alla parità dei sessi – femmina e maschio – intesa come parità di opportunità, dignità e diritti, nel rispetto delle differenze proprie della complementarietà sessuale.

È la “luna nel pozzo”?

A noi sembra una semplice, onesta e leale richiesta di “buon senso” al riparo da ogni forzatura ideologica.

Vorrei concludere con una breve considerazione, che sottopongo alla ragione, ma anche alla coscienza, di ciascuno di Loro, che hanno avuto la cortesia di ascoltarmi.

Sono convinto che di fronte al “male” ci possono essere tre comportamenti:

– condivisione e partecipazione attiva (la chiamerei “complicità attiva”);

– indifferenza, neutralità, non coinvolgimento, astensione (la chiamerei “complicità passiva”);

– indignazione, opposizione, volontà di contrasto (la chiamerei “militanza per il Bene”).

Voglia Iddio che ci sentiamo tutti chiamati ad essere partecipi di quest’ultimo gruppo.