Ermanno Pavesi

Psichiatra, Segretario generale della Federazione Internazionale delle
Associazioni dei Medici cattolici

  Relazione tenutasi al convegno Coscienza senza diritti?, svoltosi il 21 ottobre 2017 nell’Aula del Palazzo dei Gruppi parlamentari della Camera dei Deputati per iniziativa del Centro Studi Rosario Livatino

 

Il diritto all’obiezione di coscienza nell’esercizio della professione medica è diventato sempre più importante nel corso degli ultimi decenni a causa di alcuni importanti cambiamenti.

 

  1. Dalla salus aegroti alla voluntas aegroti come suprema lex

In passato, la pratica medica aveva come obiettivo la salute dell’infermo, salus aegroti suprema lex. Considerato che tanto il concetto di malattia quanto quello di guarigione si basavano su conoscenze scientifiche, vi erano poche situazioni nelle quali al medico erano richieste prestazioni contrarie alla sua coscienza morale.

A partire dagli inizi dell’Epoca moderna è avvenuto un progressivo cambiamento nel campo dell’etica, dovuto al rifiuto di alcuni principi fondamentali, formulati nell’antica Grecia ed elaborati nel corso dei secoli, che, con alti e bassi, per quasi duemila anni avevano influenzato la civiltà occidentale: […] quando la modernità sferrò i propri attacchi a un mondo più antico i suoi esponenti più acuti capirono che era l’aristotelismo a dover essere abbattuto” [1], in particolare per le sue teorie in etica e politica. In questo modo […] una tradizione morale, di cui il pensiero aristotelico costituiva il nucleo intellettuale, venne ripudiata nel corso delle transizioni che ebbero luogo fra il quindicesimo e diciassettesimo secolo”[2]. In particolare, il padre della Riforma Protestante, Martin Lutero ha criticato Aristotele, “il cieco maestro pagano”, ha proposto “di eliminare completamente i libri di Aristotele, Physica, Metaphysica, De anima ed Ethica e ha considerato “l’Ethica, peggiore di ogni altro libro”[3]. Venuto a mancare il fondamento razionale dell’etica, i principi della morale sono stati considerati solo come razionalizzazioni di una volontà particolare, e si è aperta così la strada al relativismo, in quanto non sarebbe possibile discernere il bene dal male. Questo principio viene fatto valere anche nella pratica medica: non ci sarebbero criteri oggettivi per stabilire ciò che è bene per un malato.

In nome del principio dell’autonomia del paziente, attualmente si privilegia la volontà del paziente: voluntas aegroti suprema lex.  Il paziente può manifestare la sua volontà tanto rifiutando accertamenti e cure, quanto pretendendo determinate prestazioni. Il diritto al rifiuto delle cure non pone normalmente particolari problemi morali: il medico può cercare di convincere il paziente dei vantaggi di una determinata terapia, ma la decisione spetta al paziente, come nel caso di un paziente oncologico che preferisce non sottoporsi a un ciclo di chemioterapia.

Molto differente è la situazione nella quale una persona pretende un determinato intervento medico, come, per fare solo qualche esempio, l’interruzione di gravidanza, il suicidio assistito, l’eutanasia, sostanze psicoattive o dopanti. La tendenza a privilegiare la volontà del paziente diventa sempre più problematica per vari motivi, come la relativizzazione del concetto di malattia e legislazioni sempre più liberali.

Negli ultimi anni si sono affermati alcuni principi nella bioetica, tra i quali quelli della beneficenza e della non maleficenza. Il medico è tenuto a perseguire il bene del paziente e a evitare di danneggiarlo, attualmente le categorie di bene e male sono diventate soggettive. Il concetto di malattia è sostituito da quelli più generici di disagio, di malessere, e il malato diventa il cliente o l’utente di un servizio pubblico che ha il diritto di pretendere tutte le prestazioni che, secondo lui, possono eliminare ciò che compromette la sua sensazione di benessere.

 

 

  1. Dalla cura delle malattie al cosiddetto potenziamento umano

L’intervento medico quindi non potrebbe limitarsi alla cura di malattie con una diagnosi certa, ma dovrebbe lenire sofferenze di un “cliente”, e questi avrebbe il diritto insindacabile di giudicare l’entità della propria sofferenza e la necessità di un intervento medico, che si tratti, per esempio, di una gravidanza indesiderata, di un problema con la propria identità sessuale, del taedium vitae o della propria immagine del corpo.

I progressi delle biotecnologie hanno offerto nuove possibilità di interventi sul corpo umano, dalle manipolazioni genetiche al trapianto di cellule nervose, all’impianto di protesi. Non si tratta più quindi di una medicina curativa ma di interventi per il potenziamento di certe prestazioni.

  1. Il concetto di “salute sessuale e riproduttiva”

Organizzazioni internazionali hanno adottato il concetto di salute sessuale e riproduttiva, ne pretendono il rispetto e l’introduzione nelle legislazioni degli stati. Il concetto in sé può sembrare positivo: chi potrebbe negare il diritto alla salute? Per organizzazioni internazionali, però, tale concetto comprende anche il diritto all’aborto e l’ideologia di gender.

Il diritto all’aborto diventa quindi una parte del diritto alla salute. Nell’ultimo secolo si è verificato un cambiamento radicale nella valutazione del comportamento sessuale: esclusa la possibilità di discernere tra ciò che è bene e male, non sono più principi morali a regolare il comportamento sessuale, ma ipotesi su quali comportamenti possono favorire o danneggiare la salute individuale, ipotesi spesso formulate sulla base di teorie psicologiche senza un fondamento scientifico. Un cambiamento che caratterizza la cultura contemporanea e che una sociologa culturale, Eva Illouz, definisce “pensiero terapeutico”, cioè la sostituzione dei valori morali nella valutazione del comportamento umano con categorie psicologico-terapeutiche, ciò che ha determinato “il crollo delle gerarchie culturali e morali[4].

 

  1. Ginecologia

Anche sotto le pressioni di organizzazioni internazionali, le strutture sanitarie sono tenute a garantire il riconoscimento del diritto all’aborto, e più in generale del diritto alla “salute sessuale e riproduttiva”, e quindi il coinvolgimento dei dipendenti in tali pratiche, così in molte nazioni diventa sempre più difficile per medici obiettori di coscienza lavorare in reparti di ostetricia e ginecologia. In alcuni Paesi la specializzazione in ostetricia e ginecologia si consegue lavorando per un certo numero di anni in reparti ospedalieri di ginecologia e frequentando alcuni corsi, e gli specializzandi sono costretti, nei loro ospedali, a praticare aborti, a prescrivere la pillola del giorno dopo, a collaborare a tecniche di fecondazione artificiale, senza la possibilità di fare obiezione di coscienza. In queste situazioni il corso di specializzazione è incompatibile con la morale cattolica. Sono pochi gli specializzandi non disposti a fare compromessi con i principi morali che sono riusciti a organizzarsi un curriculum facendo obiezione di coscienza. Questa situazione provoca in alcuni Paesi una selezione dei nuovi ginecologi, che praticamente nella loro totalità sono disposti a praticare aborti, e hanno un atteggiamento liberale nei confronti di tutte le tecniche riproduttive.  La conseguenza è, per esempio, che nella società svizzera di ginecologia medici contrari all’aborto, alla contraccezione d’emergenza, cioè la somministrazione di farmaci per lo meno potenzialmente abortivi, e ad altre tecniche sono una piccola minoranza.

 

  1. Psichiatria

In psichiatria esiste il problema dell’indicazione psichiatrica per l’interruzione volontaria della gravidanza, IVG. Fino a qualche anno fa, in Svizzera, l’IVG era depenalizzata solo nel caso di un’indicazione medica, cioè per un grave rischio per la salute o per la vita della gestante, ma dato che le indicazioni mediche, nel senso ristretto del termine, sono più uniche che rare, l’IVG veniva praticata nella quasi totalità dei casi su indicazione psichiatrica. Una nuova legge prevede l’indicazione medica solo per le interruzioni dopo la dodicesima settimana, per questo le perizie psichiatriche, affidate a psichiatri che esercitano la libera professione e a certe strutture pubbliche, sono diventate più rare. Nel mio caso personale, anche se avevo interesse per certi posti di lavoro, non ho neanche presentato la domanda di assunzione, se tra le funzioni da svolgere c’erano anche le perizie per l’IVG. Ho lavorato solo in istituzioni dove era possibile l’obiezione di coscienza, e, per esempio, quando sostituivo il primario della Clinica psichiatrica di Sciaffusa, io esercitavo tutte le sue funzioni a esclusione delle perizie per l’IVG che venivano delegate a un altro collega.

Un altro problema è rappresentato dalle cosiddette cure riparative: vi sono persone omosessuali che si rivolgono a uno psichiatra o a uno psicoterapeuta perché soffrono a causa del loro orientamento sessuale. In questi casi vengono praticate le cosiddette terapie riparative.  Associazioni di specialisti, come gli Ordini degli psicologi di alcune regioni italiane (per. es. di Toscana[5] ed Emilia Romagna) interpretano ideologicamente il malessere di queste persone che non soffrirebbero per il loro orientamento sessuale in sé, ma una grande parte del loro malessere sarebbe il sintomo di “un conflitto interno al soggetto tra il proprio orientamento sessuale e la disapprovazione/disprezzo sociale, ovvero di una ‘omofobia interiorizzata’ che lede e svaluta l’immagine di sé, causando imbarazzo, vergogna, colpa, fino a indurre talvolta ideazione suicidiaria”[6]. Per questi ordini professionali le terapie riparative non sarebbero né scientifiche né etiche, e chi le pratica si espone a provvedimenti disciplinari, nonché ad attacchi mediatici.

 

  1. Terapie terminali

Nel campo delle terapie di malati in fase terminale si sta affermando la cosiddetta “sedazione terminale profonda e continua”: “profonda” significa che sedativi e analgesici sono somministrati in dosi tali da indurre uno stato in cui il paziente non è più cosciente; “continua” significa che viene proseguita fino al decesso con la contemporanea interruzione definitiva di tutte le altre terapie, così come della somministrazione di alimenti e liquidi. Di fatto si tratta di una forma prolungata di eutanasia. Certamente vi sono casi nei quali forti dolori e agitazione richiedono una sedazione profonda, ma si può trattare di condizioni solo momentanee con la possibilità di ridurre il grado di sedazione, e che non giustificano assolutamente l’interruzione delle altre cure e dell’alimentazione.

È istruttiva l’evoluzione della legislazione francese. In Francia, le cure terminali sono regolate dalla revisione del 2016 della legge Leonetti del 2005. Questa legge promuoveva l’introduzione di centri di cure palliative, distingueva cure palliative dei casi terminali con l’alleviamento delle sofferenze fino al momento del decesso da una parte ed eutanasia dall’altra. I relatori della nuova legge, Alain Claeys e Jean Leonetti, preso atto che la legge del 2005 non era stata sufficientemente applicata e che solo una minoranza delle persone che avrebbero avuto bisogno di cure palliative ne avevano effettivamente beneficiato, invece di cercare di cercare di migliorare l’applicazione della legge esistente, hanno proposto di introdurre la sedazione terminale profonda, che è diventata un diritto del paziente e viene considerata obbligatoria dal punto di vista etico. Nella relazione di presentazione del progetto di legge, Claeys e Leonetti ricordano che il medico curante è obbligato a garantire la prosecuzione del trattamento con il passaggio alla sedazione terminale: “Introdurre il diritto alla sedazione significa garantire ai nostri concittadini che saranno in grado di beneficiarne dato che il medico sarà tenuto a mettere in pratica gli atti medici necessari a partire dal momento in cui ci saranno le condizioni legali[7] e, in questi casi, “la somministrazione d’una sedazione profonda e continua fino al decesso diventa un atto obbligatorio per il medico”[8]. Di fronte a questa proposta, un’associazione francese, Objection, ha raccolto 11.000 firme di operatori sanitari per chiedere l’introduzione della clausola dell’obiezione di coscienza[9], una clausola, però, che non è prevista dalla nuova legge. Mentre la legge precedente chiedeva che i medici facessero il possibile per convincere i malati a proseguire le terapie, i relatori sostengono che i medici dovrebbero limitarsi a fornire “le spiegazioni necessarie sulle ‘conseguenze delle sue scelte e la loro gravità’”, ma non possono insistere, per una presunta asimmetria nella relazione paziente-medico. Si crea, così, una situazione paradossale: parenti, amici, vicini di letto possono consigliare il paziente, ma il medico contrario a questa forma di eutanasia dovrebbe attenersi unicamente alla sola informazione.

 

Conclusione

Attualmente ci troviamo di fronte a situazioni paradossali in campo etico.  La crescente influenza nella società moderna di quella che San Giovanni Paolo II ha definito la “cultura della morte[10] rende sempre più importante la difesa dell’obiezione di coscienza.

[1] A. MacIntyre, Dopo la virtù. Saggio di teoria moral, Trad. It., Feltrinelli, Milano, 1988, p. 145.

[2] Ibid., p. 144.

[3] M. Lutero, Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca. A proposito della correzione e del miglioramento della società cristiana, Claudiana, Torino, 2008, p. 223.

[4] E. Illouz, Saving the modern soul. Therapy, Emotions, and Culture of Self-Help, University of California Press, Berkeley Los Angeles London, 2008, p. 1.

[5]Cfr. http://www.ordinepsicologitoscana.it/files/000005/00000570.pdf

[6]Cfr. http://www.ordpsicologier.it/public/genpags/bigs/ILNODELLORDINEALLETERAPIERIPARATIVE_s_1.pdf

[7] Cfr. Rapport de présentation et texte de la proposition de loi de MM. Alain Claeys et Jean Leonetti créant de nouveaux droits en faveur des malades et des personnes en fin de vie, p. 20: «Ouvrir le droit à la sédation c’est garantir à nos compatriotes qu’ils seront en mesure d’en bénéficier puisque le médecin sera tenu d’accomplir les actes médicaux nécessaires à partir du moment où les conditions légales seront réunies», consultabile in http://www.elysee.fr/assets/Uploads/Rapport-et-proposition-de-loi-creant-de-nouveaux-droits-en-faveur-des-malades-et-des-personnes-en-fin-de-vie.pdf.

[8] Ibid, p. 21.

[9] Cfr. http://www.objectiondelaconscience.org

[10]  Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Evangelium vitae sul valore e l’inviolabilità della vita umana, cfr. p. es. nn. 12 e 19.