Pietro Uroda

Presidente dell’Unione cattolica dei Farmacisti italiani

 Testimonianza resa al convegno Coscienza senza diritti?, svoltosi il 21 ottobre 2017 nell’Aula del Palazzo dei Gruppi parlamentari della Camera dei Deputati per iniziativa del Centro Studi Rosario Livatino

 

Per comprendere il valore del riconoscimento giuridico dell’obiezione di coscienza bisogna innanzi tutto guardare all’oggetto dell’obiezione. Nel caso della nostra – quella dei farmacisti – è la vita umana al suo inizio: la dimensione microscopica della materia in gioco può far pensare che conti poco, perché nella visione materialista della vita conta la “quantità” del corpo o la particolarità della sua apparenza: davanti ad un gattino schiacciato da una vettura le lacrime si sprecano, ma di fronte ad un embrione non scatta il meccanismo di autoidentificazione benché tutti noi abbiamo attraversato quello stato.

In secondo luogo conta il valore sociale che la singola persona si attribuisce perché questo influenza il senso di responsabilità nella propria decisione di contrastare una legge che goda il favore dell’Autorità e di parte dell’opinione pubblica.

Penso alla difesa di Tommaso Moro che ha potuto fare forza su sé stesso, grazie alla propria formazione, per testimoniare la Fede ed una concezione della vita coerente con essa. E penso anche all’ umile contadino austriaco che si oppose alla leva obbligatoria nella II Guerra Mondiale conoscendo le finalità ideologiche dell’esercito tedesco e morì martire.

In un momento di grande confusione morale come il nostro, quello che mi preoccupa è proprio l’indifferenza per i valori e il senso dell’inutilità della propria azione, come per esempio l’astensionismo nel voto politico. Dobbiamo perciò ricordare ad ognuno la grande importanza del rispetto del valore dell’uomo, del significato morale delle nostre azioni per la tutela della nostra civiltà. In proposito, in quanto Presidente dell’Unione Cattolica Farmacisti Italiani, mi preme ricordare l’episodio in cui siamo stati coinvolti noi farmacisti: il Comitato Nazionale di Bioetica in passato ha negato la necessità di prevedere l’obiezione di coscienza per la nostra categoria, assimilando l’attività del farmacista a quella di un distributore automatico. È stata una grave sottovalutazione del valore umano di chi, con il camice, ha una propria dignità ed è dotato di libertà. Ho assistito durante la mia attività ai drammi di chi, nella necessità irrinunciabile di lavorare per mantenere la famiglia, ha ritenuto di non potersi sottrarre alla somministrazione di prodotti il cui uso confliggeva con la propria coscienza. Chiedo quindi alla società nel suo complesso di riconoscere il diritto all’obiezione di coscienza a persone come queste, dotate di grande dignità professionale perché possano rispettare il proprio credo e la propria fede.