Benedetto Rocchi
Professore Associato di Economia agraria
Dipartimento di Scienze per l’Economia e l’Impresa
Università degli Studi di Firenze

Un’analisi della gravidanza per conto terzi “solidale” secondo la logica economica*

 

 

Sommario: 1. Introduzione – 2. Economia tra scambio e dono – 3. È veramente possibile una GCT solidale? – 4. Funziona la GCT solidale? Il caso del Regno Unito.

 

 

 

  1. Introduzione

 

Nel dibattito pubblico sulla tecnica procreatica che la legge definisce “maternità surrogata” si confrontano oggi due posizioni opposte. Da un lato l’iniziativa parlamentare per estendere il divieto, contenuto nella legge 40/2004, anche ai casi di acquisto del servizio all’estero da parte di coppie italiane, rendendo così il reato universale. Dall’altro la richiesta, avanzata da studiosi ed esponenti politici in varie sedi, di regolamentare la pratica in modo da consentirla anche in Italia ma esclusivamente in una forma “solidale”.

La contrapposizione si nutre anche delle espressioni che vengono usate per indicare questa pratica. Da un punto di vista tecnico, in effetti, l’espressione “maternità surrogata” non rappresenta correttamente il contenuto dello scambio, dal momento che la donna che accetta di avere una gravidanza per la coppia committente dichiara contrattualmente di non rivendicare la maternità del bambino che nascerà, prestandosi semplicemente a nutrire con il suo corpo l’embrione in attesa che sia sufficientemente maturo per sopravvivere al di fuori dell’utero. Più corrette sembrano le espressioni “utero in affitto” e “gestazione per altri”. La prima metonimia rappresenta correttamente l’intenzionale coinvolgimento esclusivamente fisiologico della gestante nella gravidanza, sottolineando inoltre la natura commerciale della transazione; la seconda esprime il fatto che la gravidanza si realizzi come prestazione di un servizio a favore di terze persone, sebbene la specificazione “per altri” venga spesso utilizzata per rimarcare una possibile componente altruistica nelle motivazioni della gestante. Allo scopo di mantenere la discussione, per quanto possibile, su un piano oggettivo, separando l’analisi della realtà effettiva della pratica in esame dal giudizio morale su di essa, nel seguito di questo saggio si userà l’espressione “gravidanza per conto terzi” (GCT).

Le opposte posizioni riguardo alla GCT si sovrappongono su un punto: si tratta di una pratica che si è diffusa con finalità commerciali, all’interno di una filiera di produzione, quella procreatica, che nel tempo è andata configurandosi come una vera e propria industria globale. Un recente report della Global Market Insight[1] prevede una crescita media annua del volume d’affari del 24% nel prossimo decennio, proiettando al 2032 il volume d’affari globale a 129 miliardi di dollari. La GCT rappresenta una componente importante di questo mercato, rendendosi necessaria in tutti i casi in cui la coppia sterile non include una donna che possa portare a termine la gravidanza dell’embrione prodotto in laboratorio. La quasi totalità delle GCT oggi sono effettuate sulla base di un contratto con contenuto economico. Questo costituisce un aspetto negativo per entrambe le posizioni, sia quella a favore della pratica “solidale” che quella che auspica il reato universale: anche l’auspicio di una liberalizzazione della pratica in una logica non di mercato assume infatti, almeno implicitamente, la necessità di sanzionare la GCT nella sua forma commerciale. L’accettabilità sociale della GCT dipenderebbe in questo caso dalle motivazioni di chi accetta di offrirla e non dalla tecnica in sé.

Dal momento che si propone di usare lo strumento della regolamentazione per sottrarre alle forze del mercato una pratica riproduttiva, la logica economica può essere utile per valutare il realismo e la praticabilità della proposta. Quello che oggi normalmente avviene nella filiera procreatica è infatti il realizzarsi di una transazione economica tra una coppia committente e una donna che si rende disponibile, dietro un compenso di natura monetaria, a farsi impiantare in utero un embrione prodotto con tecniche procreatiche e generalmente non geneticamente imparentato con lei, consegnando il bambino subito dopo il parto. La transazione coinvolge di solito anche un’impresa procreatica che, oltre a fornire i servizi “tecnici” necessari all’avvio della gravidanza (produzione, conservazione e impianto dell’embrione) svolge anche il ruolo di allineare domanda e offerta in un mercato che presenta elevatissime asimmetrie informative[2]. Gli incentivi economici (soprattutto sul lato dell’offerta, ma anche sul piano della domanda per quanto riguarda le imprese procreatiche) che, al di là della pura e semplice possibilità tecnica, hanno reso questa pratica così diffusa sul mercato globale sono evidenti. I promotori della GCT “solidale” non solo sostengono l’opportunità ma affermano anche la concreta possibilità, tramite un’opportuna regolamentazione, di limitare la pratica ai soli casi in cui le motivazioni della gestante non sono di natura economica. Propongono in altre parole di rendere la pratica socialmente accettabile trasferendola dalla sfera dello scambio a quella del dono.

 

  1. Economia tra scambio e dono

 

Lo scambio è fondamentale nel funzionamento delle economie moderne con moneta. Al mercato, infatti, lasciamo la funzione di regolare l’allocazione di buona parte delle risorse disponibili tra i diversi possibili impieghi, mediante le scelte decentrate e interdipendenti dagli operatori economici. Lo scambio è così pervasivo nelle nostre economie che il suo concetto è stato indicato come una delle idee cardine della stessa teoria economica[3]. Il vantaggio sociale dello scambio costituisce una sorta di paradigma che giustifica la preferenza per le economie cosiddette “di mercato” rispetto a quelle pianificate centralmente. Nello scambio, infatti, i contraenti possono entrambi trarre un vantaggio economico in modo indipendente, massimizzando così il loro benessere (inteso come capacità di soddisfare i loro bisogni con le risorse a disposizione)[4].

Nelle economie monetarie lo scambio di natura esclusivamente economica è costituito da una prestazione reale (la cessione dei diritti di proprietà su un bene, la fornitura di un servizio) che viene controbilanciata da una controprestazione monetaria di eguale valore. È bene sottolineare che la prestazione reale crea per il compratore un’obbligazione che viene perfettamente controbilanciata dal pagamento del prezzo, non lasciando nessun tipo di residuo nella relazione tra le due parti, almeno dal punto di vista economico.

È interessante notare che anche il dono spesso si inserisce in una dinamica di scambio[5]. Non a caso parliamo di “scambio di doni” con riferimento a diverse situazioni sociali, a livello di rapporti personali, famigliari o anche istituzionali. Possiamo considerare il dono (sia esso un oggetto o un’azione fatta a titolo gratuito a favore di altri) alla stregua della prestazione reale dello scambio. Tuttavia in questo caso la controprestazione è del tutto ipotetica e in genere dilazionata. In altre parole la controprestazione è libera tanto quanto il dono: un dono genuino infatti non dovrebbe generare alcuna obbligazione in chi lo riceve. Per comprenderlo basta considerare il caso di un dono di grande valore fatto a una persona che non è in condizione di contraccambiarlo. Una situazione che inevitabilmente genera dipendenza di chi riceve verso chi dà, una sorta di obbligazione morale che potrebbe disperdere del tutto il valore relazionale del dono. Perchè, in ultima analisi, l’obiettivo ultimo del donare non è il dono stesso ma la relazione tra donatore e ricevente che il dono intende rafforzare, generando apprezzamento reciproco, fiducia, affezione.

È stato fatto notare come la dimensione del dono possa avere un ruolo importante anche nel funzionamento dei mercati, proprio mediante la produzione di beni relazionali[6]. Anche nelle relazioni di mercato possono infatti instaurarsi rapporti personali che si alimentano di una dimensione di gratuità che va al di là della finalità strumentale delle relazioni ma che può anche agevolarla. Un esempio potrebbe essere costituito dal cosiddetto marketing relazionale nel quale una certa flessibilità contrattuale (che ad esempio consenta nelle relazioni business to business margini di dilazione o di scontistica finalizzati a consolidare i rapporti tra fornitore e cliente) può favorire la costruzione di relazioni personali che da un lato assumono un valore in sè per chi ne è coinvolto, e dall’altro facilitano lo svolgimento delle transazioni (diminuzione dei costi di transazione in virtù della fiducia personale che viene costruita). Anche in questo caso, come nel caso dei doni veri e propri, le componenti relazionali per essere consolidate devono rimanere in qualche modo anche separate dall’obiettivo strumentale della relazione, rispettando i limiti di una possibile reciprocità (oltre che delle regole formali dello scambio economico intorno a cui la relazione si costruisce). Ma mentre nel caso del dono vero e proprio la produzione e il consumo di beni relazionali[7] costituiscono lo scopo primario dell’agire, nel caso delle buone relazioni commerciali, costituisce solo un auspicabile prodotto congiunto, capace di contribuire alla qualità del tempo impegnato in occupazioni quotidiane[8].

 

  1. È veramente possibile una GCT solidale?

 

Ammettendo che un’opportuna regolamentazione possa definire con precisione le caratteristiche di una GCT con finalità completamente extra-economiche, così da limitare la pratica solo a questo tipo di motivazioni, quale sarebbe verosimilmente la reazione dei potenziali attori?

Sul lato dell’offerta farebbe verosimilmente crollare il numero di donne disponibili a fornire il servizio di GCT. La mancanza di incentivi economici, in primo luogo, escluderebbe dalla filiera “solidale” tutte le donne che vedono la GCT come un’opportunità di reddito, che oggi costituiscono la gran parte dell’offerta di questo servizio. È interessante osservare come nel campo degli studi sociali venga argomentato che con un’opportuna regolamentazione che ne garantisca i diritti, evitandone lo sfruttamento, in contesti con scarse opportunità economiche la GCT potrebbe costituire un’interessante fonte di reddito per le donne[9], recuperando così una visione socialmente positiva della GCT commerciale.

La gravidanza e il parto, inoltre, sono un processo fisiologico che coinvolge in modo profondo la donna non solo da un punto di vista fisico, ma anche da un punto di vista emotivo. La maternità è stata definita una «esperienza trasformativa»[10], capace di modificare la profondamente la percezione di sé e della propria esistenza, ben al di là delle aspettative, come dimostrano studi sull’evoluzione del benessere soggettivamente percepito dalle donne durante la gravidanza e dopo il parto[11]. Per quanto possano essere messe in atto strategie di controllo psicologico durante la gravidanza[12], la forte e inevitabile intimità che si viene a creare tra la gestante e il bambino[13] costituisce un’evidente fonte di rischio di stress emotivo per la donna sia prima del parto che, a maggior ragione, al momento del distacco post partum. Al rischio emotivo si aggiunge il rischio biologico intrinseco della gravidanza e del parto che, in quanto processi fisiologici naturali, sono in una certa misura imprevedibili nei loro esiti dal punto di vista della salute della donna. Nella GCT commerciale la remunerazione della donna svolge sicuramente una funzione di copertura assicurativa di tale rischio, al di là della pura e semplice remunerazione della prestazione di servizio. Gli stessi ampi differenziali di prezzo del servizio di GCT commerciale nei diversi Paesi in cui essa è legale, testimoniano probabilmente questo aspetto. Parte di tale differenziale dipende, ovviamente, dal diverso livello di reddito medio di paesi come gli USA o il Canada, dove un ciclo completo inclusivo di GCT può arrivare a costare oltre duecentomila dollari, e l’Ucraina, dove il costo per il committente si aggira intorno ai quarantamila euro. Ma è anche vero che a livelli di reddito più bassi e in contesti socialmente meno protetti, cresce inevitabilmente la propensione ad accettare rischi legati alla salute psicologica e fisica per ottenere una remunerazione, spingendo verso il basso il prezzo del servizio.

La discussione proposta in precedenza riguardo alla differenza tra scambio economico e dono fornisce un argomento per prevedere che la limitazione della GCT ai soli casi “solidali” provocherebbe anche una contrazione della domanda del servizio, che andrebbe ad aggiungersi alla contrazione dell’offerta. Si provi a immaginare la posizione psicologica della coppia committente nei confronti della donna disposta a “donare” loro il figlio che desiderano, dopo averlo portato in grembo per nove mesi, in forma completamente gratuita. Con ogni evidenza si tratta di un dono che sarebbe impossibile contraccambiare. Da un lato una relazione positiva con la fornitrice di questo servizio volontario dovrebbe connotare il periodo in cui questo si realizza, per le motivazioni che spingono i diversi attori, per il bene dello stesso bambino[14] e per scongiurare situazioni conflittuali al momento della consegna. Dall’altro il desiderio di interrompere il rapporto con colei che ha svolto il ruolo materno durante la gravidanza sarebbe più che comprensibile. Di fatto la fine delle relazioni è richiesta (contrattualmente) dalla gran parte delle coppie committenti nella GCT commerciale, al di là di tutte le narrazioni che raccontano di un possibile ruolo attivo delle gestanti nella crescita del bambino. Eppure, come abbiamo visto, anche nei rapporti personali con finalità strumentali, come sono gli scambi di mercato, è possibile produrre beni relazionali: in linea di principio anche una donna fornitrice di GCT dietro compenso potrebbe aggiungere alla motivazione economica anche motivazioni extra-economiche, come la volontà di aiutare la coppia sterile committente a realizzare il suo desiderio. Il punto è che questa disponibilità relazionale, ammesso che possa realizzarsi, con ogni probabilità non è ricercata da chi ha bisogno di usufruire del servizio. Sarebbe moralmente difficile escludere dalla vita del bambino una donna che si è fatta carico di gravidanza e parto del figlio per puro altruismo. La stretta contrattualizzazione dei rapporti tra la donna e i committenti durante il periodo della gravidanza e la corresponsione di un congruo compenso contribuiscono sicuramente a limitare il sentimento di obbligazione nei confronti della gestante. L’impossibilità di questo tipo di accordo scoraggerebbe probabilmente molti dei potenziali clienti di questo tipo di servizio, o potrebbe favorire comportamenti opportunistici volti ad aggirare od eludere la regolamentazione.

Ci sono dunque buone ragioni, sul piano della logica economica, per ipotizzare un cattivo funzionamento di un sistema regolamentato di GCT di tipo puramente solidale. Il mercato solidale della GCT potrebbe collassare presto oltre che dare luogo a controversie e forzature nell’interpretazione della legge.

 

  1. Funziona la GCT solidale? Il caso del Regno Unito

 

È utile al termine della discussione presentare brevemente il caso della legge in vigore dalla fine dal 1985 nel Regno Unito, che sposa la filosofia dei sostenitori della GCT solidale. Prima ancora della crisi pandemica era stata avviata una consultazione pubblica, conclusasi nel 2022, per raccogliere opinioni e suggerimenti ai fini del superamento di quelle che sono considerate le “criticità” di una legislazione che, almeno formalmente, consente la GCT solo su base di accordi non commerciali.

Il Surrogacy Arrangements Act del 1985, vedeva la GCT come una pratica medica a completamento delle tecniche procreatiche, destinata a coppie sposate nelle quali la donna per motivi medici, non potesse effettuare la gravidanza[15]. I punti caratterizzanti della legislazione britannica originale, ancora in vigore oggi, sono essenzialmente due. Innanzitutto il bambino legalmente nasce figlio della donna che lo ha portato in grembo. Gli accordi che la gestante abbia eventualmente preso in precedenza con la coppia committente non sono legalmente vincolanti: solo sei settimane dopo la nascita è possibile avviare il percorso giudiziale che, in caso di consenso tra le parti e in presenza di altre condizioni, porta ad un parental order del giudice, tramite il quale i committenti diventano genitori legali. Fino al quel momento la gestante rimane libera di decidere di rimanere madre del bambino. Il secondo aspetto fondamentale per la nostra riflessione riguarda la natura e l’entità dei pagamenti che intercorrono tra coppia committente e la gestante, che dovrebbero consistere solo in un rimborso delle “spese ragionevolmente sostenute” dalla donna per la gravidanza e non dovrebbero essere fonte di guadagno economico.

La legge britannica ammette quindi sul territorio del Regno Unito, almeno in teoria, solo una forma di GCT solidale e proprio questo fatto è stato indicato dai sostenitori della pratica come una criticità della legislazione. Non sorprende che l’accesso alla GCT nel Regno Unito, soprattutto nei primi anni dalla approvazione della legge, sia stato modesto. Fino al 2008 il numero annuale di parental order nel Regno Unito non superava le cinquanta unità[16]. Dopo tale data i numeri sono cresciuti, sia pure lentamente, soprattutto per l’abbassamento dei requisiti di eleggibilità all’accesso alla GCT. Nel 2008, l’Human Fertilization and Embriology Act (HFEA) ha esteso l’accesso alla pratica alle coppie “conviventi stabilmente”[17], incluse quelle formate da persone dello stesso sesso. Nel 2009 l’ottava edizione del Code of Practices dell’HFEA ha rimosso la limitazione dell’accesso alla GCT ai soli casi di impedimenti sanitari alla gravidanza della madre “intenzionale”. Nel 2019 l’accesso alla GCT è stato garantito anche a singoli genitori intenzionali. Nonostante sia cresciuto nel tempo, il numero di GCT registrate era fermo a 436 parental order in Inghilterra e Galles nel 2021, probabilmente la metà dei bambini da GCT registrati nel Regno Unito[18].

Sia la stampa generica che la letteratura accademica[19] hanno sottolineato la crescita nel tempo del numero di coppie britanniche che per la GCT si sono rivolti al mercato internazionale. Nel lavoro citato in precedenza Crawshaw e colleghi mostrano che, dopo l’allentamento delle restrizioni all’accesso alla GCT, il numero di parental order registrati nel Regno Unito diventa sistematicamente superiore al dato sulle GCT effettuate resi noti dalle principali agenzie di servizi procreatici del Regno Unito. La stessa Law Commission, nel suo Report contenente le proposte per una nuova regolamentazione, presentato alla House of Commons nell’aprile del 2023[20], ammette che è significativamente cresciuto nel tempo il numero di coppie che si rivolgono al mercato estero per la GCT, con il rischio che la pratica avvenga in contesti dove le donne non sono adeguatamente protette da forme di sfruttamento[21]. Una scelta dettata, secondo la Law Commission, dalla necessità di accedere a transazioni meglio contrattualizzate, che diano garanzie ai committenti riguardo al riconoscimento come genitori.

Che una legislazione “formalmente” solidale dia difficilmente luogo ad un sistema funzionante di GCT lo testimoniano anche gli adattamenti che l’Act del 1985 ha subito nel tempo tramite disposizioni amministrative e sentenze. Nel 2019 l’Autorità britannica per la fecondazione assistita e l’embriologia umana (Istituita nel 2008 con l’HFEA) ha chiarito che la legislazione non considera reati gli accordi per GCT commerciale: semplicemente li vieta nel territorio nazionale[22]. Non a caso le coppie committenti che tornano dall’estero con bambini nati da GCT commerciale non hanno in genere problemi ad ottenere il parental order che li rende legalmente genitori nel Regno Unito. Ma un’ulteriore conferma della difficoltà di limitare la GCT all’ipotetico caso solidale tramite regolamentazione è stata la sentenza della Corte Suprema del 2020, con la quale una donna ha ottenuto dal Servizio Sanitario britannico il rimborso di parte delle spese sostenute in California (nell’ambito di una GCT commerciale) per avere un figlio con la GCT[23].

Le raccomandazioni della Law Commission per la riforma della legislazione vanno anch’esse nella direzione di una contrattualizzazione del rapporto tra committenti e gestante, sia pure in un quadro ancora formalmente solidale. Così si propone che in presenza di un accordo, stipulato prima della gravidanza in presenza determinate condizioni di eleggibilità e negoziato con il supporto di apposite organizzazioni non-profit, il bambino possa essere riconosciuto come figlio della coppia committente al momento della nascita. Si chiede inoltre che vengano specificati in dettaglio quelli che attualmente la legge definisce come semplici rimborsi delle “spese ragionevolmente sostenute dalla gestante” per la gravidanza. Accanto ai costi vivi per la gravidanza (sanitari, di trasporto per le visite mediche e per tutta la procedura procreatica) la proposta include anche il rimborso dei “mancati guadagni potenziali” della gestante, in base al criterio secondo cui la gestante non dovrebbe trovarsi, alla fine della gravidanza, in condizioni finanziarie peggiori di quelle in cui si troverebbe se non accettasse la GCT.

Per quanto in linea di principio non siano ammessi pagamenti a compensazione della gravidanza in quanto tale, i limiti di quelli che avrebbero potuto essere i redditi da lavoro che la gestante avrebbe potuto guadagnare rinunciando all’accordo per GCT appaiono molto labili. Non è difficile immaginare una giurisprudenza che finisca per riconoscere tra i rimborsi legittimi il reddito mancato non solo nei casi in cui la donna debba abbandonare una precedente occupazione, ma anche per le donne non occupate che tuttavia avrebbero potuto sfruttare le opportunità di lavoro correnti nel contesto in cui si svolge l’accordo (secondo il criterio economico del costo opportunità). In ogni caso la corresponsione di un “mancato reddito” tende inevitabilmente a configurare la GCT come un’ attività lavorativa, riportando sul piano commerciale la transazione.

La Commissione inoltre propone che i pagamenti, dichiarati al momento dell’accordo, siano supervisionati dall’istituzione non-profit che fa da intermediaria; tuttavia si chiarisce che il rispetto delle regole riguardo ai pagamenti dovrebbe essere reso cogente solo entro una finestra temporale limitata che va da un anno prima dell’accordo al momento del definitivo riconoscimento dei diritti parentali. Una prassi che renderebbe abbastanza semplice l’aggiramento del criterio solidaristico nella realizzazione della GCT.

Il Report della Commissione, inoltre, sottolinea come, “nel migliore interesse del bambino” il giudice potrebbe garantire comunque il parental order a favore di committenti di CGT commerciale effettuata all’estero, anche se questa non rispettasse i limiti sui pagamenti imposti dentro i confini nazionali[24].

Un ulteriore “allentamento” rispetto al rigore solidaristico della legislazione del 1985 è la proposta di una semplificazione delle procedure di registrazione dei bambini prodotti all’estero, ad esempio con la possibilità di avviare la richiesta di visto e passaporto per il bambino prima della sua nascita e la possibilità di inserire il processo di registrazione sotto le regole dell’immigrazione. Contraddittoriamente, gli eventuali bambini nati con GCT nel Regno Unito per soddisfare richieste di committenti esteri, secondo il rapporto della Law Commission, dovrebbero vedere riconosciute tutte le garanzie delle procedure di adozione internazionale[25].

È interessante, peraltro, notare che tra i requisiti internazionalmente riconosciuti per evitare forme nascoste di commercio di bambini nelle procedure di adozione internazionale, c’è proprio il divieto di accordi tra gli aspiranti genitori e i genitori del bambino che verrà dato in adozione, che vengano stretti prima della nascita[26]. Proprio l’accordo pre-gravidanza, viceversa, dovrebbe diventare il cuore del New Pathway della GCT nel Regno Unito, una conferma del fatto che l’oggetto della GCT non è la fornitura di un servizio (la gravidanza) ma la cessione dei diritti parentali su un bambino[27].

Nella proposta di revisione vengono messe in gioco figure “terze”, che su una base non-profit dovrebbero orientare la transazione al di fuori di logiche di mercato. È difficile tuttavia immaginare una completa assenza di conflitto di interessi da parte delle organizzazioni non-profit che dovrebbero supervisionare il processo. Sarebbero infatti interessate a incoraggiare la pratica della GCT, che costituirebbe la motivazione della loro stessa esistenza, in questo non differendo dalle imprese di procreatica. Non è difficile immaginare i rischi di questo allineamento degli incentivi tra organizzazioni non-profit e imprese commerciali.

Anche nella proposta di revisione della legislazione, infine, il ruolo del giudice rimane comunque necessario per “certificare” l’assenza di una transazione commerciale nei casi controversi. Le indicazioni contenute nel report incoraggiano una larghezza nel giudizio “per il migliore interesse del bambino”, che viene invocato come il principio guida della nuova legislazione.

La necessità di un pronunciamento giurisprudenziale è una ulteriore conferma del fatto che non esiste una soglia oggettiva di ricompensa che distingua il dono dallo scambio. Il limite tra dono e transazione commerciale è socialmente determinato, il confine è variabile e arbitrario e sarebbe difficile consentire disparità di trattamento tra coppie che fanno la surrogata secondo le regole nazionali e quelle che, legittimamente secondo la legge britannica, scelgono il mercato estero, dove le ricompense per le gestanti sono determinate da logiche di mercato.

L’esempio della legislazione inglese è particolarmente illuminante sullo scarso realismo delle proposte volte ad introdurre in Italia una legislazione che regolamenti forme di GCT solidali.

I vincoli posti dalla attuale legislazione britannica hanno limitato fortemente la pratica del Regno Unito rispetto ad altri Paesi dove la GCT è consentita, non hanno eliminato i rischi di una applicazione solo formale della legge e hanno spinto molte coppie ad acquistare il servizio all’estero su una base commerciale. Le stesse proposte di modifica della legge spingono verso una standardizzazione del rapporto tra coppia committente e gestante, secondo un “percorso” predefinito che assomiglia, per molti versi, ad una trasformazione in senso commerciale della pratica. Sembra evidente che per fare funzionare la GCT è necessario contrattualizzarla, allontanandola dal “dono” per renderla più permeabile a forme di commercializzazione più o meno “nascosta”.

 

* Contributo sottoposto a valutazione.

 

[1] Scaricabile al sito https://www.gminsights.com/industry-analysis/surrogacy-market.

[2] Ho analizzato, in dettaglio, la natura economica delle transazioni che avvengono nella filiera procreatica in B. Rocchi, Il bambino nella filiera procreatica, in Profiling, vol. 10, n. 4, consultabile al seguente indirizzo https://www.onap-profiling.org/il-bambino-della-filiera-procreatica/ e in B. Rocchi, Utero in affitto: vietare o regolamentare?, 16 agosto 2023, in https://www.centrostudilivatino.it/utero-in-affitto-vietare-o-regolamentare/.

[3] Cfr. A. Quadrio Curzio e R. Scazzieri, Sui momenti costitutivi dell’economia politica, Bologna, Il Mulino, 1983.

[4] La divisione e la specializzazione del lavoro, alimentati da un continuo progresso tecnico, garantiscono inoltre l’efficienza nell’uso delle risorse a livello aggregato in un sistema economico basato sul libero scambio.

[5] Estremamente illuminante su questo aspetto è il saggio di A. Offer, Between the gift and the market: the economy of regard, in Economic History Review, 1997, vol. 50, n. 3, pp. 450-476.

[6] Cfr. B. Gui, From transactions to encounters: the joint generation of relational goods and conventional values, in B. Gui B., R. Sugden, Economics and social interactions, Cambridge, Cambridge University Press, 2005, pp. 23-51, consultabile al seguente indirizzo https://doi.org/10.1017/CBO9780511522154.

[7] Quelli relazionali sono una categoria di beni molto particolare: le buone relazioni vengono consumate (cioè generano la loro utilità) nel momento in cui si producono, ma il loro consumo, consolidando le relazioni in gioco, può essere considerato anche una forma di risparmio, andando a consolidare il capitale relazionale che lega due specifiche persone.

[8] Si veda ad esempio B. Gui, L. Stanca, Happiness and relational goods: well-being and interpersonal relations in the economic sphere, in International Review of Economics, 2010, vol. 57, n. 2, pp. 105-118.

[9] K.S. Rotabi, S. Mapp, K. Cheney, R. Fong, R. McRoy, Regulating commercial global surrogacy: the best interests of the child, in Journal of Human Rights and Social Work, 2017, vol. 2, pp. 64-73, consultabile al seguente indirizzo https://link.springer.com/content/pdf/10.1007/s41134-017-0034-3.pdf?pdf=button%20sticky.

[10] La definizione è di L.A. Paul, What you can’t expect when you’re expecting, in Res Philosofica, 2015, vol. 92, n. 2, pp.149-170, consultabile al seguente indirizzo https://lapaul.org/papers/whatCantExpect.pdf.

[11] Una rassegna sul tema può essere trovata in M. Myrskylä, R. Margolis, Happiness: Before and After the Kids, in Demography, 2014, vol. 51, pp.1843-1866, consultabile al seguente indirizzo https://doi.org/10.1007/s13524-014-0321-x.

[12] Esiste evidenza che tali pratiche vengano in qualche modo imposte contrattualmente alle donne che accettano la GCT con finalità commerciali, per minimizzare i rischi di contenzioso sulla consegna del bambino al momento della nascita: cfr. R. Frullone, Utero in affitto. Dal Kosovo all’Ucraina così reclutano le “cicogne”, in Il Timone, 2023, n. 228, pp. 10-13.

[13] G. Mieli, Il bambino non è un elettrodomestico, Milano, Feltrinelli, 2017.

[14] È ampiamente documentato l’impatto degli stress emotivi subiti dalla donna in gravidanza sul benessere del bambino non nato.

[15] L’accesso alla GCT era ammesso solo nel caso in cui almeno uno dei due sposi fosse genitore biologico del bambino.

[16] Cfr. M. Crawshaw, E. Blyth, O. van der Akken, The changing profile of surrogacy in the UK – Implications for national and international policy and practice, in Journal of Social Welfare & Family Law, 2012, vol. 34, n. 3, pp. 267-277.

[17] Letteralmente «in an enduring family relation». Crawshaw e colleghi sottolineano che il termine «enduring» non è mai stato definito da specifiche soglie temporali: cfr. M. Crawshaw, E. Blyth, O. van der Akken, The changing profile of surrogacy in the UK – Implications for national and international policy and practice, op. cit., p. 268.

[18] Law Commission of England and Wales – Scottish Law Commission 2023, Building families through surrogacy: a new law – Core Report, Open Government Licence v 3.0. HH Associates Ltd. UK, p. 20 ss., il testo è consultabile al seguente indirizzo https://cloud-platform-e218f50a4812967ba1215eaecede923f.s3.amazonaws.com/uploads/sites/30/2023/03/1.-Surrogacy-core-report.pdf.

[19] Si veda ad esempio L. Culley, N. Hudson, F. Rapport, E. Blyth, W. Norton, A.A. Pacey, Crossing borders for fertility treatment: motivations, destinations and outcomes of UK fertility travellers, 2011, Human reproduction, vol. 26, n. 9, pp. 2373-2381, il testo è consultabile al seguente indirizzo  https://doi.org/10.1093/humrep/der191; K.S. Rotabi, S. Mapp, K. Cheney, R. Fong, R. McRoy, Regulating commercial global surrogacy: the best interests of the child, cit.

[20] L’intera documentazione della consultazione e delle proposte per una riforma sono scaricabili all’indirizzo web https://lawcom.gov.uk/project/surrogacy/.

[21] Law Commission, Building families through surrogacy: a new law – Core Report, cit., p. 17.

[22] Cfr. A. Morresi, Soldi per la maternità surrogata: la Gran Bretagna apre al commercio, in Avvenire, 20 gennaio 2021. La decisione della HFEA è commentata anche all’indirizzo web https://brilliantbeginnings.co.uk/hfea-to-update-guidance-on-exporting-eggs-sperm-and-embryos-for-international-surrogacy/.

[23] La sentenza è la “Whittington Hospital Nhs Trust v XX [2020] Uksc14” (https://www.supremecourt.uk/cases/uksc-2019-0013.html); il caso è raccontato in A. Morresi, Soldi per la maternità surrogata: la Gran Bretagna apre al commercio, cit.

[24] Law Commission, Building families through surrogacy: a new law – Core Report, cit., p. 18.

[25] Queste raccomandazioni sono presenti a pagina 23 del Summary of Report che può essere scaricato dal sito della Law Commission all’indirizzo https://lawcom.gov.uk/project/surrogacy/#related.

[26] K.S. Rotabi, S. Mapp, K. Cheney, R. Fong, R. McRoy, Regulating commercial  global surrogacy: the best interests of the child, cit.

[27] B. Rocchi, Utero in affitto: vietare o regolamentare?, cit.