Antonio Casciano
Giurista, Bioeticista e Dottore di ricerca in Etica e Filosofia politico-giuridica
Università degli Studi di Salerno

Altruismo, gratuità, solidarietà. L’insidioso lessico dell’antilingua nella legittimazione etica della maternità surrogata. Un’analisi della Proposta di legge presentata dall’Associazione Luca Coscioni*

 

Sommario: 1. Il credo assiologico negazionale della modernità – 2. Una disamina della Proposta di legge dell’Associazione Luca Coscioni – 3. Attualità del dibattito – 4. L’intrinseca illiceità della pratica – 5. Il carattere reificante e spersonalizzante della maternità surrogata – 6. Quale libertà per i soggetti coinvolti? – 7. Disporre liberamente del proprio corpo? – 8. La donna e il suo preteso “potere” procreativo – 9. Il desiderio di genitorialità della coppia committente: quali confini? – 10. Conclusioni.

 

 

 

  1. Il credo assiologico negazionale della modernità

 

Il paradosso della modernità sta tutto nell’incessante e sistematica opera di delegittimazione ideologica e destrutturazione anomica dei paradigmi della normatività etica, opera portata avanti, ad ogni latitudine, da agenti morali in obbedienza ad un sorta di credo assiologico negazionale al quale rendere l’omaggio di una fede incondizionata: l’universo post-morale in cui è immerso l’uomo moderno inibisce ogni disciplina o esercizio di tipo nomo-poietico e insieme determina l’obnubilamento della dimensione noetica postulata dal conoscere, sfociando in una forma di irrazionalismo epistemologico di cui è figlio il generalizzato esistenzialismo contemporaneo. Se questo non impedisce di accedere alle grandi risorse tecnico-investigative offerte dalle scienze moderne, tuttavia, in mancanza di un orizzonte assiologico positivo condiviso, tale accesso si rivela cieco, autoreferenziale, disorientante, sostanzialmente incapace di indirizzare la ricerca ad un senso che non sia la mera formulazione di paradigmi utili a spiegare il mondo nella forma di un incessante progresso apparente, che sovente e sotto molteplici aspetti appare, invece, acriticamente regressivo.

L’homo faber, modello archetipico dell’uomo rinascimentale, ha prodotto una progressiva eclissi della morale classica, che, seppur controversa, ha offerto per secoli un modello ordinamentale di riferimento per il mondo. Da allora, l’esposizione ossessiva, ipertrofica, incontrollata all’incedere sempre nuovo di pulsionalità desideranti, macchiniche, per dirla con Deleuze[1], pur rimarcando la “tolemaica”[2] ed egolatrica centralità cosmica dell’uomo moderno, nulla dice in merito al rapporto Soggetto-Oggetto, al nuovo senso da dare al tutto, che non sia puramente destrutturante, negazionale, individuo-centrico.

La negazione teoretica di un senso oggettivo delle cose implica, in fondo, che ciascuno può dare ad esse il significato (epistemologico) ed il senso (ontologico) che preferisce. Eppure, l’univoco, incontrovertibile postulato dell’esperienza pratica, non empirica, il dato a partire dal quale la ragione coglie l’ordine essenziale dell’universo è quello per cui ogni cosa tende al bene che più conviene alla sua natura, una regolarità causale e teleologica in forza della quale il mondo risulta massimamente ordinato[3]. Ma perché l’uomo, seguendo la naturale inclinazione che lo determina verso un comportamento che ha come fine il suo bene, tenda ad esso, deve in primis conoscere in cosa il suo vero bene consista e poi riconoscerlo anche in tutte quelle cose ulteriori che in qualche modo ad esso conducono come mezzi. Ecco perché il problema morale non può mai prescindere dal problema della verità, come l’etica non può fare a meno del discorso teoretico. C’è uno stretto legame tra libertà e verità, perché l’intelletto pratico postula sempre l’operatività previa di quello speculativo.

Da qui, il rifiuto, professato e qui argomentato, di ogni cornice etica soggettivista, di ogni morale di tipo auto-nomo, in ragione del fatto che un paradigma siffatto muove sempre dal mal funzionamento di quell’intelletto che, per essere malato di soggettivismo, non è più capace di cogliere il vero bene e ne coglie uno che è tale solo agli occhi della sua singolare individualità. In questo caso, non si sceglie una cosa perché è veramente buona, ma è veramente buona perché la si è scelta. Del pari, il rifiuto di ogni cornice etica utilitaristica in ragion del fatto che un modello simile legittima «il mal funzionamento di quella volontà che, per essere guidata nelle sue scelte da ciò che è a sé utile, finisce per comandare all’intelletto di ritenere lecito tutto ciò che è appunto funzionale a sé. In questo secondo caso, la scelta non è guidata dalla verità in sé della cosa scelta, vista nel suo valore oggettivo, ma dall’utilità, per il soggetto, della cosa scelta»[4].

I paradigmi offerti dai modelli etici soggettivista ed utilitarista – assunti nel discorso morale contemporaneo a riferimenti meta-normativi esclusivi, universali ed indiscussi – assurgeranno, in questa sede, ad assi cartesiani in vista dell’inquadramento concettuale e morale della pratica della maternità surrogata (indicata con l’acronimo MS o GPA-gestazione per altri), in particolare, nella forma in cui essa è stata concepita e proposta dall’Associazione Luca Coscioni, la quale il 30 settembre 2020 (testo aggiornato al 26 gennaio 2021) presentava ufficialmente una Proposta di legge così rubricata: “Gravidanza solidale ed altruistica per altri”, i contenuti dispositivi del cui testo, poi depositato presso la Camera dei deputati, sono tornati prepotentemente di attualità negli ultimi giorni.

I problemi bio-etico-antropologici che, a partire da tale Proposta, si impongono alla nostra considerazione critica concernono i soggetti coinvolti nella pratica della MS, dalla coppia committente, con la sua richiesta di veder realizzato il desiderio di genitorialità per mezzo della disposizione del corpo di un’altra donna, alla madre gestante, con le ripercussioni fisiche e psichiche derivanti dal ruolo svolto nel contratto di surrogazione, insieme ai rischi di sfruttamento e reificazione connessi alla sua posizione, al nascituro, con il suo diritto a crescere con la certezza delle sue relazioni parentali e a veder preservato il suo equilibrio psico-fisico, affettivo e relazionale.

L’importanza cruciale di tali questioni, in uno alla diffusione crescente di questa pratica nel mondo, interpella con insistenza la nostra coscienza morale[5].

Da qui, l’attenzione particolare rivolta in questa sede alla già menzionata Proposta di legge dell’Associazione Luca Coscioni, che pare assurgere a paradigma normativo per quanti, a diversi livelli, si stanno facendo propugnatori e propalatori di questa particolare forma di gestazione per altri, la quale dovrebbe trovare nel preteso suo carattere solidale, altruistico ed asseritamente gratuito, i presupposti della sua liceità sul piano morale e della sua legittimazione su quello giuridico ed ordinamentale.

 

  1. Una disamina della Proposta di legge dell’Associazione Luca Coscioni

 

Il testo, organizzato in nove articoli, ripropone i contenuti dispositivi a partire dai quali giungere alla legittimazione, giuridica ed indirettamente morale, di un duplice assunto: 1) la liceità della pratica della MS “solidale ed altruista”, comunque e da chiunque praticata, fra cui anche coppie omosex e single; 2) la legalizzazione dei percorsi di riconoscimento del rapporto di filiazione legittima per i nati, tutti, per mezzo del ricorso alla MS. Così nella presentazione che accompagna il testo della proposta: «Ai fini della presente proposta di legge si definisce “gravidanza solidale e altruistica” la gestazione di una donna che sceglie manifestando la propria volontà autonomamente e liberamente formatasi, di accogliere nel proprio utero un embrione a seguito di fecondazione di gameti tramite tecniche di fecondazione in vitro e di favorirne lo sviluppo fino alla fine della gravidanza, al parto. Il percorso che si intende regolamentare, dunque, rappresenta una soluzione per i soggetti, singoli o per le coppie, che, a causa della loro sterilità e/o infertilità, non possono concepire o portare a termine una gravidanza per ragioni medico-fisiologiche o per situazioni personali».

L’articolo 3 stabilisce i criteri soggettivi e oggettivi di accesso alla gravidanza solidale e altruistica, ferme restando la valutazione medica circa l’opportunità per il genitore singolo o per la coppia di ricorrere a tale percorso, da avviare quando le parti abbiano manifestato il loro consenso informato in forma scritta, e la valutazione psicologica, a seguito di un colloquio con lo psicologo-psicoterapeuta della struttura presso la quale si effettuano le procedure mediche di fecondazione in vitro.

È, altresì, previsto l’obbligo (comma 4) per i committenti di stipulare, prima del trasferimento dell’embrione in utero, una polizza in favore della gestante, per la copertura di tutti i rischi connessi alla gravidanza e al parto, polizza che potrà essere estinta non prima di sei mesi successivi al parto, prorogabili di ulteriori sei mesi, in caso di complicazioni mediche sorte a seguito della gravidanza. È infine previsto l’obbligo (comma 5) per il genitore singolo o per la coppia di versare su un conto corrente dedicato un importo congruo a coprire tutti i costi relativi alla gravidanza solidale e altruistica, comprese le spese che saranno sostenute dalla gestante durante la gravidanza.

Nel definire poi la liceità dell’accordo di gravidanza solidale, fornendone, altresì, una definizione (commi 1 e 2), l’articolo 5 prescrive, al comma 3, la forma e le modalità di conclusione dell’accordo. In caso di controversie tra le parti, la competenza è attribuita, secondo quanto stabilito dal comma 5, al Tribunale del luogo in cui si sono svolte le procedure mediche di fecondazione in vitro. I commi 6, 8 e 9 disciplinano gli strumenti di tutela accordati alle parti, nonché l’obbligo del genitore singolo o della coppia (comma 8) di sostenere le spese, dirette e indirette, sostenute dalla gestante a motivo della gravidanza.

A regolamentare lo status giuridico dei nati a seguito di un accordo di gravidanza solidale e altruistica, anche in applicazione della legge straniera, compresi i Paesi dove è ammessa la gravidanza per altri a fini commerciali, è l’articolo 7 che, ai commi 1 e 2, prevede, rispettivamente, a tutela dei nati a seguito di tale accordo, anche all’estero, l’acquisizione dello status di figlio legittimo o riconosciuto del genitore singolo o della coppia, nonché la totale liceità della condotta di chi accede a tale percorso, anche all’estero, oltre che la regolare trascrizione nel registro del comune di residenza dei genitori degli atti di nascita legalizzati, apostillati prodotti dall’autorità straniera competente.

Infine, l’articolo 9 contiene un espresso rinvio, per quanto non espressamente previsto o disciplinato, alle norme vigenti in materia di procreazione medicalmente assistita, salva la liceità dell’accordo di gravidanza solidale e altruistica, anche se sottoscritto all’estero in applicazione del modello giuridico della gravidanza a fini commerciali o di altri modelli.

 

  1. Attualità del dibattito

 

Le disposizioni contenute nella menzionata Proposta, qui sinteticamente riportate, permettono di evidenziare l’attualità, sociale, politica e mediatica, che il dibattito sul tema sta assumendo e che pare aver radicalizzato l’opposizione tra quanti puntano a una legislazione uniforme in materia e quanti, al contrario, vedendo in questa pratica uno strumento di violazione sistematica dei diritti fondamentali, rifiutano qualsiasi tentativo di legalizzazione della stessa[6].

In ogni caso, tutte le volte in cui la nascita sia stata la conseguenza di un contratto di surrogazione, possono sorgere questioni legali inerenti, ad esempio, all’acquisto e all’esercizio delle responsabilità genitoriali, all’applicazione delle norme in materia di filiazione legittima e successione, all’attribuzione della paternità legale, o, infine, alla titolarità di alcuni diritti fondamentali del nascituro, relativi alla nazionalità, alla residenza, o all’ingresso nei Paesi di origine dei committenti.

Orbene, sgombrando il campo dalle questioni giuridiche, che non saranno oggetto di trattazione in questa sede, la nostra attenzione sarà rivolta a una serie di aspetti che, riguardanti la madre gestante, ovvero l’altro soggetto debole – contrattualmente, personalmente e materialmente – oltre al nascituro, nella complessa vicenda umana implicata dalla pratica della MS, emergono in tutta la loro criticità, ovvero: 1) i meccanismi di selezione del capitale umano da impiegare nella surrogazione, al fine di evidenziarne l’invasività rispetto alla persona, alla privacy, alla dignità della candidata[7] alla gestazione per altri; 2) l’infondatezza delle argomentazioni[8] di quanti rifiutano l’idea di una deriva reificante ontologicamente propria di detta pratica; 3) le ragioni impiegate per giustificare la liceità morale di questa pratica, nella sua forma solidale ed altruistica; 4) l’esposizione dei motivi che fondano la proposta di una proibizione giuridica a livello globale della MS[9].

 

  1. L’intrinseca illiceità della pratica

 

Ebbene, rispetto a un quadro così complesso, va subito chiarito come l’eventuale sentimento di altruismo e/o solidarietà che ispirasse ed animasse, anche per l’intera durata della gravidanza, la madre gestante nei confronti dei committenti, nulla toglie all’intrinseca illiceità di questa pratica per tutta una serie di logiche, meccanismi e prassi da essa implicati e che paiono tali da attentare alla dignità morale dei soggetti coinvolti, specie di quelli più deboli. Mi riferisco a: 1) le asimmetrie di status sociale tra coppia committente e madre gestante, quasi sempre presenti; 2) le dinamiche di separazione forzata previste ed attuate, in particolare tra madre gestante e nascituro; 3) le fasi di raccolta, elaborazione e archiviazione dei dati sensibili, tanto dei donatori di gameti, quanto delle candidate alla surrogazione, in vista della classificazione del relativo capitale umano, che consenta alla coppia committente una scelta personalizzata tra molte opzioni possibili.

L’invasività di tali accertamenti si spinge al punto di prevedere, nella quasi totalità dei casi, indagini relative alle relazioni affettive, familiari e di coppia della gestante, per escludere soggetti la cui instabilità emotiva potrebbe dar vita a complicazioni nella fase gestazionale, o in quella di consegna del neonato alla coppia committente, dopo il parto. La fase del counseling psicologico, poi, implica di norma che siano discussi con la candidata topics relativi a: 1) i rischi di legami affettivi con il feto che potrebbero insorgere durante la gravidanza; 2) l’impatto della gravidanza sul matrimonio, gli equilibri di coppia, la carriera lavorativa della futura gestante; 3) il difficile bilanciamento tra diritto alla privacy della futura gestante e diritti ad essere informati della coppia committente.

I test di natura clinica, infine, finalizzati alla ricostruzione anamnestica di tutte le informazioni concernenti lo stato di salute fisica della candidata[10], includono di regola un focus necessario sia sulle sue abitudini sessuali, al fine di limitare rischi di contagio del feto con malattie sessualmente trasmissibili, sia sulle dinamiche di precedenti gravidanze, al fine di accertare l’eventuale tasso di abortività spontanea della donna, la cui eventuale incidenza diviene criterio di esclusione dalla lista delle “candidate ideali”.

Costituiscono, ancora, di norma, cause di esclusione della candidata: a) l’accertamento di pregressi e certificati stati depressivi, ansiosi, psicotici; b) uno stile di vita “caotico” o eccessivamente stressante; c) una fragilità emotiva che potrebbe creare problemi in fase di separazione, alla nascita, dal feto; d) eventuali precedenti problemi nei rapporti con la giustizia e l’autorità costituita.

La scelta della futura madre, insomma, dovrà risultare sempre il più possibile in linea con i gusti della coppia committente, che non a caso potrà contare sulle garanzie offerte da un vero e proprio contratto, così esplicitamente definito dall’art. 5 comma 1 della Proposta di legge qui in discussione: in forza contratto di surrogazione, si legge, la «gestante esprime il consenso alla rinuncia della maternità con conseguente riconoscimento dei diritti genitoriali nei confronti del nascituro in favore della persona singola o della coppia. Tale rinuncia deve essere espressa, in forma scritta, prima dell’avvio delle procedure mediche di fecondazione in vitro, e controfirmata anche della persona con cui la gestante è eventualmente sposata, unita civilmente o convivente ai sensi dell’articolo 1, commi da 37 a 67, della legge 20 maggio 2016, n. 76 e comporta l’automatica esclusione della presunzione di paternità di cui all’art. 232 comma 1 del codice civile».

Ma l’invasività della pratica della MS nella vita della madre gestante si può altresì cogliere nella serie ampia di prescrizioni che la stessa è tenuta normalmente ad osservare nella fase della gestazione[11]. Le limitazioni potrebbero teoricamente andare dalle normali precauzioni tese a garantire la preservazione della salute del feto – ad esempio, divieto di fumare, di assumere alcool o droghe – fino a tutta una serie di prescrizioni che possono incidere profondamente sullo stile di vista della medesima, alla quale potrebbero essere indicati, a titolo di esempio: la dieta da osservare, gli hobby o gli sport che può praticare, le regole della vita sessuale con il partner durante la gravidanza. La sorveglianza può essere attuata in forme più o meno stringenti, addirittura con visite o telefonate periodiche, da parte di legali e/o psicologi, la cui presenza non potrà non alterare profondamente la naturale dinamica delle relazioni familiari della gestante, oltre che di quelle intrauterine con il feto.

 

  1. Il carattere reificante e spersonalizzante della maternità surrogata

 

Le modalità attuative della MS qui descritte, permettono a ragione di parlare di un processo di reificazione in detrimento delle madri gestanti, tenuto conto di: 1) le limitazioni gravi imposte alla vita della madre gestante durante il tempo della gravidanza; 2) le asimmetrie informazionali, culturali e sociali esistenti tra i committenti da un lato e la madre gestazionale[12] dall’altro; 3) i rischi per la salute psichica della madre gestante, specie nella fase post-parto, una volta avvenuta la separazione[13] dal nascituro; 4) l’obbligo di dichiarare in anticipo di rinunciare a qualsiasi diritto parentale sul bambino, obblighi che incidono anche sulla sfera giuridica del marito della gestante, tenuto a sua volta a dichiarare, fin dal principio, che compirà ogni atto necessario a respingere la presunzione[14] di paternità; 5) la sostanziale iniquità delle somme corrisposte, che mai possono vedersi come eque controprestazioni, considerando che i rischi implicati in questa pratica per la gestante.

Da tutto quanto appena descritto, si evince facilmente come quelli della reificazione, della strumentalizzazione, della spersonalizzazione della madre gestante siano effetti e caratteri ontologicamente propri, costitutivi della MS, cioè non legati solo all’eventualità di abusi perpetrati ai danni della parte contrattualmente più debole dell’accordo di surrogazione nei Paesi dove più facile appare vulnerare le prerogative giuridiche fondamentali di una persona[15], ma piuttosto insiti ad ogni forma di surrogazione nella maternità, sia essa attuata dietro corrispettivo economico, o in assenza di esso.

Sebbene il profilo etico di queste due ultime ipotesi appaia differente, un giudizio di inaccettabilità morale le accomuna, dacché nel primo caso è operata la cessione di un bambino in cambio di denaro, così riducendo un essere umano ad oggetto di una transazione economica; nel secondo caso, sebbene in assenza di una controprestazione di natura economica, si attua comunque tanto un’arbitraria disposizione della vita di un essere umano, quale quella del nascituro – questa volta trasformato nell’oggetto di un preteso atto di liberalità – quanto un arbitrario utilizzo del corpo femminile, trasformato dalla madre gestante in un quid che, lungi dal continuare ad essere la «ipostatizzazione di quella dimensione razionale e spirituale propriamente umana cui diamo il nome di dignità»[16], viene ridotto a strumento di assoggettamento personale, ancorché volontario.

Né vale controbattere al primo punto osservando che ad essere ceduta è invero la mera potestà giuridica sul bambino e non il bambino stesso, ovvero solo i cosiddetti diritti parentali, dal momento che la potestà è solo la forma astratta della cessione, laddove l’oggetto concreto dell’interesse, tanto del cedente come del cessionario, rimane il bambino. L’oggetto del contratto sinallagmatico di compravendita, che al pari della donazione, rientra nel novero dei contratti reali, non può mai essere l’astratto concetto di proprietà, dovendo identificarsi necessariamente con un bene, una res scambiata in concreto appunto, qual è il nascituro[17].

La natura eminentemente economica dell’accordo sotteso alla surrogazione solidale per altri, secondo la lettera della Proposta qui in esame, emerge in tutta la sua consistenza se solo si consideri non solo l’obbligo per i committenti di accollarsi le spese, mediche e non, sostenute dalla gestante, «il cui importo è stabilito nell’accordo tenendo conto dell’impegno fisico ed emotivo sostenuto dalla gestante nel corso della gravidanza e della perdita di capacità reddituale della stessa a partire dal periodo che precede la gestazione, nel corso della stessa e successivamente al parto, compreso il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro previsto dalla legislazione vigente»[18], ma anche gli ulteriori esborsi di cui gli stessi dovranno farsi carico, allorché «la gestante sia lavoratrice autonoma o lavoratrice atipica», ai cui fini si dovrà tener conto «altresì, conto del danno economico a essa derivante dalla differenza tra il reddito percepito nell’anno precedente a quello in cui ha stipulato l’accordo di gravidanza per altri solidale e l’anno in cui ha iniziato la gestazione, assicurando il rimborso del mancato guadagno».

Non solo, ma a sottolineare la natura assolutamente non gratuita, né liberale della gestazione oggetto dell’accordo qui esaminato, è altresì previsto che «ai fini del rimborso delle spese sostenute, a causa della gestazione, dalla gestante, nonché dalla persona con cui la stessa è sposata, unita civilmente o convivente ovvero da una persona accompagnatrice, di cui al presente comma, tali spese devono essere documentate in forma scritta, certificate e approvate dall’avvocato dinanzi al quale è stipulato l’accordo di gravidanza per altri solidale». Dunque, rimborso obbligatorio a carico della coppia committente di tutte le spese sostenute dalla gestante e dal suo partner a motivo della gravidanza, non solo in termini di danno emergente, ma anche di eventuale lucro cessante, secondo una logica riparatoria normalmente invalente nel giudizio civile di risarcimento del danno.

Inoltre, è previsto che i legali delle parti, alla cui presenza l’accordo di surrogazione dovrà necessariamente essere sottoscritto, prima ancora dell’avvio delle procedure mediche di fecondazione in vitro, debbano verificare che «a) il reddito della gestante sia conforme a quanto previsto dall’articolo 4, comma 3: b) sia stato aperto il conto corrente dedicato di cui all’articolo 3, comma 6, mediante il versamento dell’importo stabilito dall’accordo di gravidanza per altri solidale, idoneo a coprire tutti i costi relativi alla gravidanza e al parto, comprese le spese di cui al comma 8 del presente articolo; c) sia stata stipulata la polizza assicurativa di cui all’articolo 3, comma 5, in favore della gestante, per la copertura di tutti i rischi connessi alla gravidanza e al parto»[19].

Infine, oltre all’obbligo di stretta segretezza dell’accordo, cui la parti devono prestare consenso, è previsto che «al fine di tutelare gli interessi dei nati in caso di morte della persona singola o della coppia ovvero di impossibilità degli stessi di esercitare, per altre cause, la responsabilità genitoriale, la persona singola o la coppia devono procedere, mediante testamento, atto pubblico o scrittura privata autenticata, alla designazione di un tutore»[20].

 

  1. Quale libertà per i soggetti coinvolti?

 

Orbene, alla luce di simili obbligatorie e stringenti misure che devono assistere le parti coinvolte nell’accordo – come accade in ogni tipo di accordo sinallagmatico, a prestazioni corrispettive passibili di valutazione propriamente economica – sono molti quelli che credono che simili garanzie valgano ad assicurare la prestazione di un consenso autenticamente libero da parte delle gestante, fugando il rischio di uno sfruttamento legalizzato perpetrato ai suoi danni, magari indotto dal contesto di povertà e/o di privazione nel quale essa realmente vive. Così, a detta di questi, mancherebbero di una volontà autenticamente libera le sole gestanti provenienti da situazioni di povertà assoluta, mentre la scelta compiuta in un contesto libero da necessità impellenti, come nel caso di una donna occidentale media che offrisse il suo utero in un accordo di surrogazione solidale e altruistica, potrebbe considerarsi fatta mediante una volontà non viziata[21]. Invero, l’esclusione – peraltro mai reale, come visto – di una transazione economica nel caso della MS solidaristica, non esclude (semmai conferma) la logica mercificante di tale pratica, laddove si consideri che a poter essere donati sono sempre e solo degli oggetti, non certamente delle persone, e che la logica stessa del dono sembra implicare una quantificazione/quantificabilità del donato in vista di un possibile ritorno[22].

Ebbene, ci si chiede, quale stima si potrebbe fare della vita di un essere umano ridotta in questo caso ad oggetto del dono stesso?

Il fatto che la madre gestante si limiti a mettere a disposizione l’utero, e non anche il gamete femminile, proverebbe, per alcuni, che il figlio sarebbe invero della madre committente, titolare, insieme al marito ugualmente donante, del patrimonio genetico del nascituro, e non certamente della gestante, la quale dunque non donerebbe nè venderebbe alcunché, ma solo metterebbe a disposizione il suo utero per la gestazione. Ma anche una simile osservazione rinvia alle relazioni di dominio iscritte in tale pratica: il figlio non può, in forza della dignità che gli è propria, appartenere ad alcuno, ma solo essere un soggetto di diritto autonomo da qualsiasi altro, in forza della sua dignità speciale ed inalienabile, ancorché calato in una rete di relazioni significanti e plasmanti fin dalla nascita.

In ogni caso, e in ultima istanza, il fatto che una donna accetti, coscientemente e razionalmente di essere madre per surrogazione, potrebbe descriversi come un caso nel quale ella starebbe scegliendo secondo arbitrio, ma non secondo una volontà autenticamente libera. Questa è la distinzione sottesa all’elaborazione moral-filosofica di Sant’Agostino prima e San Tommaso poi, per i quali la libertà maggiore dell’uomo[23], la sua volontà[24], ovvero il tendere razionalmente e scientemente verso beni ultimi e non negoziabili, che la coscienza morale suggerisce ad ognuno, fa tutt’uno con la realizzazione del bene universale.

Quest’ultimo aspetto sembra mancare nella pratica della MS, anche solidale, nella misura in cui non si considerano né il bene effettivo del bimbo – obbligato a nascere fuori da una relazione naturale tra i suoi genitori, come frutto di un accordo che implica la presenza, che permarrà durante tutta la sua vita, di una persona terza rispetto alla coppia –, né al bene della gestante – portata a pensarsi come uno strumento per il soddisfacimento di un desiderio altrui –, né, probabilmente, della coppia committente – che semplicemente pensa al soddisfacimento di un impellente desiderio di genitorialità. Per questo si può affermare che la gestante può giungere a scegliere arbitrariamente, ma mai liberamente.

Le azioni che un uomo compie possono dirsi veramente sue solo quando ha scelto liberamente di compierle, scelta che sarà possibile considerare moralmente giusta o ingiusta solo se operata, si ripete, in una completa libertà di autodeterminazione[25].

A sua volta, una scelta libera presuppone una triplice istanza: 1) un’alternativa reale tra opzioni possibili; 2) l’esigenza di eleggerne una; 3) l’esclusiva personalità della deliberazione, senza che nulla dall’esterno possa averne condizionato la dinamica. Una scelta così fatta, rivela l’identità propriamente umana e morale di una persona, «l’identità esistenziale integra di un individuo, l’individuo completo in tutte le sue manifestazioni, guidato dal bene morale e da cattive scelte, ma pur sempre disposto a fare ulteriori scelte»[26]. La libertà dell’agente morale incontra il suo limite, ma anche la sua fonte esattamente qui, nella responsabilità verso chi ha difronte, con la sua intangibile libertà morale, il quale fa tutt’uno col nostro Io, rendendolo un Io responsabile dell’altro: «L’Altro, assolutamente altro – Altri – non limita la libertà del Medesimo. Chiamandola alla responsabilità, la instaura e la giustifica»[27].

Ebbene, i soggetti coinvolti nella pratica della MS sono obbligati, contrattualmente, ad ignorare gli appelli che un’etica della “responsabilità” rivolge a ciascuno di essi e in particolare alla gestante, che dunque mai potrà dire di aver agito liberamente fin quando avrà scelto obliando l’obbligo morale di rispondere prima a se stessa – quanto alla mercificazione, reificazione, monetizzazione del proprio corpo che attenta alla sua dignità[28] – e poi al figlio che nascerà, costretto a portare per sempre lo stigma, personale, morale, culturale, di essere stato concepito, portato in grembo, dato alla luce e ceduto dietro un corrispettivo sinallagmatico, contrattualmente fissato, ovvero per effetto di un atto di liberalità che in nessun momento lo libera da una dinamica reificante[29].

L’assenza di una volontà veramente libera nella determinazione della madre gestante, ovvero la sua falsa coscienza, il suo “difettivo consenso”[30], permetterebbero di parlare della coercizione come di un carattere proprio della MS e come il presupposto per argomentarne un aspetto costitutivo ulteriore, quello cioè dello sfruttamento indotto da tale pratica, come confermato dai fattori di vessazione, a livello di pratiche socio-sanitarie, già elencati sopra e divenuti emblematici della surrogazione praticata in Paesi particolarmente poveri. Né vale obiettare che tali caratteri inumani della MS potrebbero essere vinti semplicemente eliminando le cause sociali del disagio, o disciplinando ogni aspetto dei possibili accordi di surrogazione, così da assicurare una tutela legale più stringente della madre gestante[31].

In realtà, il carattere reificatorio della pratica di MS sta non solo nel difetto di una volontà libera della candidata, o nelle condizioni ambientali nelle quali matura la sua scelta, o ancora nelle asimmetrie relazionali tra le parti coinvolte, ma soprattutto nel fatto che l’offerta pro aliis, gratuita oppure no, di un servizio riproduttivo, come di un servizio sessuale, implica sempre una strumentalizzazione della donna, ovvero una lesione ineludibile della sua dignità, quali che siano le condizioni nelle quali si perfeziona l’accordo[32].

 

  1. Disporre liberamente del proprio corpo?

 

Parlando delle pratiche implicanti la reificazione, la spersonalizzazione/ mercificazione di una persona, Marta Nussbaum argomenta sostenendo che esisterebbero almeno sette diversi modi di comportarsi, concettualmente distinti, sottesi al termine “oggettificazione” – nessuno dei quali implica necessariamente l’altro, anche se ci sono molte connessioni complesse tra di essi – ciascuno dei quali appare agli occhi dell’autrice grandemente problematico sul piano morale: «1) Strumentalità: il soggetto strumentalizzante tratta l’oggetto come uno strumento per i suoi scopi; 2) Negazione dell’autonomia: il soggetto strumentalizzante tratta l’oggetto come privo di autonomia e autodeterminazione; 3) Inerzia: il soggetto strumentalizzante tratta l’oggetto come privo di agency e forse anche di attività; 4) Fungibilità: il soggetto strumentalizzante considera l’oggetto intercambiabile: (a) con altri oggetti dello stesso tipo e/o (b) con oggetti di altri tipi; 5) Violabilità: il soggetto strumentalizzante tratta l’oggetto come qualcosa che è lecito rompere, frantumare, infrangere; 6) Proprietà: il soggetto strumentalizzante tratta l’oggetto come qualcosa che è di proprietà di un altro, che può essere comprato o venduto, ecc.; 7) Negazione della soggettività: il soggetto strumentalizzante tratta l’oggetto come qualcosa la cui esperienza e i cui sentimenti (se ci sono) non devono essere presi in considerazione»[33].

Ebbene, appare chiaro come il trattare le cose come oggetti non costituisca di per sé un’ipotesi di oggettificazione, poiché l’oggettificazione/reificazione implica il trasformare in una cosa, il trattare come una cosa, qualcosa che una cosa non è, ovvero una persona: «L’oggettificazione consiste nel trattare un essere umano in uno o più di questi modi […]. Nel complesso, mi sembra che “oggettificazione” sia un termine cluster relativamente libero, per la cui applicazione a volte consideriamo sufficiente una qualsiasi di queste caratteristiche, anche se più spesso una pluralità di caratteristiche è presente quando il termine viene applicato. Chiaramente […], abbiamo qualche ragione di pensare che questi sette elementi siano almeno dei segnali di ciò che molti hanno trovato moralmente problematico»[34].

Dunque, considerando:

1) la visione strumentale del corpo della gestante da parte dei committenti, che lo considerano come funzionalmente assoggettato alla realizzazione del loro desiderio di genitorialità;

2) il negare rilevanza e dignità alla capacità di decisione autonoma della gestante rispetto al feto che porta in grembo;

3) il concepire la gestante in un’ottica di pura fungibilità strumentale, rispetto al solo obiettivo che rileva in un accordo di surrogazione, ancorché solidale ed altruistico;

4) l’idea della liceità dell’interruzione del legame comunicativo intrauterino, estremamente significativo per lo sviluppo del feto e non solo, che si è instaurato tra la gestante ed il feto;

5) l’idea della violazione/violabilità delle relazioni familiari e coniugali in cui la gestante è calata;

6) la concezione inesorabilmente proprietaria che accompagna i committenti rispetto al feto, specie quando ad essi geneticamente legato;

7) il disinteresse contrattualizzato verso ogni forma di sentimento e stato d’animo soggettivo provato dalla gestante, i cui stati d’animo non meritano menzione alcuna nell’accordo di surrogazione,

non si può non concludere nel senso di ritenere lo sfruttamento, la coercizione, la reificazione, la mercificazione, l’oggettificazione come effetti tipici della MS, solidale o non, effetti che possono variare in quantità o combinarsi variamente a seconda del luogo nel quale tale pratica viene effettuato, ma che appaiono sostanzialmente identici sotto il profilo qualitativo e, dunque, propri di tale tecnica[35].

 

  1. La donna e il suo preteso “potere” procreativo

 

E tuttavia, l’armamentario dialettico cui si continua a ricorrere per giustificare l’accesso e la legalizzazione, giuridica e morale, di tale pratica, si serve essenzialmente di tre argomenti principali: 1) la libera disponibilità del proprio corpo da parte della madre gestante; 2) il libero esercizio del “potere” procreativo intrinsecamente legato al corpo della donna, presupposto di emancipazione sociale della stessa; 3) la libera interazione tra soggettività desideranti, ovvero il desiderio della madre gestante di corrispondere al desiderio di genitorialità della coppia committente[36].

Ora, proprio sul corpo visto come nudità biologica, organica, materiale, sembrano appuntarsi i desideri, le rivendicazioni, le aspirazioni dei soggetti coinvolti nella pratica della MS: il corpo gestante della madre surrogata; il legame biologico che deve esistere tra il padre, ed eventualmente, la madre committente e il figlio; il corpo del neonato, da assicurare immediatamente alle braccia della coppia appaltante una volta separato dal grembo della madre surrogata. In tutti questi casi, assistiamo ad una dazione commerciale, o almeno sinallagmatica − “Ti do, perché tu mi dia” − e dunque strumentalizzante del corpo umano, o almeno di alcune sue parti: il ventre, lo sperma, gli ovuli, il feto.

Nel caso della madre gestante, poi, l’indisponibilità a se stessa del suo proprio corpo, in vista della realizzazione dei desideri riproduttivi della coppia committente, l’impossibilità cioè di mettere a disposizione, a titolo oneroso o gratuito, il proprio utero per fini procreativi altrui, riposa su una visione del corpo umano da intendersi come totalità donata, prima ancora che donante: dal momento che nessuno può liberamente determinarsi nel nascere, ne segue che il corpo non dovrebbe mai considerarsi come oggetto di una proprietà personale, sul quale poter accampare diritti, ma essere visto come un quid ricevuto, come un dono offerto appunto[37]. La visione del corpo come dono fatto ad ogni persona in maniera sostanzialmente, non accidentalmente, identica, permette di parlare di “corpo personale”, da accettarsi nell’adesione ad un’etica della cura e della corresponsabilità, dimensioni che ci introducono all’idea del limite nella disponibilità del corpo stesso.

Contro l’idea della piena autonomia nella disposizione del corpo, la logica del dono ci impone di rifiutare tutto ciò che appare in distonia con le sue leggi, l’uso utilitaristico del corpo per fini di “produzione”, ad esempio, come nel caso della MS tanto commerciale, quanto solidaristica. Quando la generazione umana è assimilata alla produzione, quantunque non commerciale, di feti da scambiare o anche donare, il corpo viene necessariamente oggettificato, smarrendo quella determinante dimensione personale e soggettiva cui si accennava sopra, cosa che non si verifica nel caso io scegliessi di donare, in maniera veramente e pienamente gratuita, solo un mio organo – un rene, per esempio – in vista della necessità di tenere in vita una persona che diversamente non avrebbe possibilità di sopravvivere.

L’oggettificazione del corpo umano sottesa alla messa a disposizione degli organi di riproduzione ha un’immediata ricaduta in termini di perdita di valore assoluto della persona umana – la cui dignità è apparsa essere quella di una soggettività da intendersi nella duplice dimensione spiritual-corporale – e ciò perché solo gli oggetti, come insegnava Kant, possono essere scambiati dietro la corresponsione di un prezzo[38]. Nel caso della MS il processo di reificazione investirebbe tanto la madre gestante quanto il neonato, entrambi fatalmente attratti in una logica di riduzionismo oggettificante che attenta alla dignità morale di entrambi, come abbiamo avuto modo di acclarare sopra[39].

Dunque le preclusioni maggiori all’indiscriminata disponibilità del corpo umano – di quello della gestante nel caso di specie – crediamo riposino su: 1) l’esistenza di limiti previsti legislativamente, all’interno degli ordinamenti positivi delle civiltà giuridiche più avanzate, alla libera disposizione contrattuale del corpo umano[40]; 2) l’assenza di un consenso autenticamente libero all’accordo di surrogazione da parte della candidata alla gestazione, come visto sopra; 3) la latente ed ineludibile logica di reificazione che la pratica della MS porta con sé, reificazione che sembra investire tanto la gestante – portata a concepire il suo corpo come strumento per l’attuazione di finalità ri-produttive etero-indotte ed etero-dirette – quanto la creatura che darà alla luce – vista come oggetto del soddisfacimento dell’altrui desiderio di genitorialità.

 

  1. Il desiderio di genitorialità della coppia committente: quali confini?

 

La seconda argomentazione usata per giustificare la liceità dell’accesso alla MS fa leva, come visto, sulla presunta libertà di esercizio del “potere” procreativo, intrinsecamente legato al corpo della donna, da parte della madre gestante, libertà che assurgerebbe in tale pratica a presupposto di emancipazione sociale della medesima. La recente speculazione filosofico-politica, in particolare, ha riflettuto sull’opportunità di considerare la pratica della MS quale nuovo paradigma prestazionale nel bio-lavoro globale[41]. I mercati della riproduzione assistita sono, del resto, in costante crescita a livello globale, come prova il numero sempre maggiore di coppie che, intente a veder realizzato il loro desiderio di genitorialità, ricorre alla fecondazione in vitro come alla MS. Il lavoro clinico, in queste pratiche, sfrutta brevetti che sono tra i più redditizi dell’intera economia post-industriale, ma relega la forza-lavoro coinvolta in tali processi, la madre gestante in particolare, a livelli di inquadramento tra i più bassi e in-formalizzati, livelli che includono e attingono per lo più a classi sociali ed economiche marginalizzate[42].

La critica di due autrici, Cooper e Waldby, ha assunto come bersaglio polemico la caratteristica del bio-mercato globale di riprodurre i meccanismi di assoggettamento e soggettivazione che l’economia di stampo capitalista ha dimostrato di alimentare e perpetuare. Con il sistema del bio-lavoro globale, cioè, l’alienazione umana prodotta dal capitale non sparisce affatto, ma si trasforma: l’investimento si privatizza nella figura dell’imprenditrice di se stessa, ora impegnata nella valorizzazione della sua persona per mezzo dello sfruttamento di parti del suo corpo[43]. La proprietà del brevetto da parte delle cliniche, poi, del lavoro cioè non fisico ma intellettuale, garantisce il ritorno di un profitto che, lungi dall’essere socializzato, appare privatizzato, esclusivo, speculativo. Insomma, l’economa dei corpi ha portato alla creazione di cornici disciplinari e governamentali che riproducono meccanismi di s-oggettivazione nuovi, perché basati su elementi di assoggettamento bio-politico inediti, quali appunto l’ordine della salute, della privacy, dei ruoli di genere e delle strutture etero-normative in cui siamo immersi.

Una simile impostazione critica, postula, anche se non menziona, il dramma di una cultura antropologica nuova, che punta sempre più a normalizzare i processi di separazione simbolico-culturale e pratico-effettuale tra la donna e la sua capacità riproduttiva, legittimando letture riduzionistiche che, attentando alla sua dignità, alimentano forme sempre nuove di schiavitù, di assoggettamento, il superamento delle quali passa necessariamente per la riabilitazione di una visione che riproponga il dato dell’incommerciabilità ed inalienabilità di alcune funzioni propriamente femminili, oltre che autenticamente umane, quali quelle sessuali e riproduttive.

Uno sguardo integrale rivolto alla condizione ontologica della donna, ci introduce al mistero di un’unità profonda tra la sua corporeità, la sua sessualità e la sua capacità generativa. Ogni tentativo di separare queste dimensioni, favorendo l’assolutizzazione di una di esse a scapito delle altre, sarebbe causa di forzature strumentalizzanti che attentano alla sua dignità.

 

  1. Conclusioni

 

La terza ed ultima obiezione, inerisce alla possibilità che la madre gestante giustifichi la sua adesione ad un accordo di surrogazione con l’intenzione di voler corrispondere al desiderio genitoriale della coppia committente. È forse il caso di soffermarsi a considerare più da vicino la fisionomia di questo desiderio, che sembra implicare dinamiche di razionalità ed affettività che il ricorso alla tecnica e il prevalere dell’emotività hanno radicalmente pervertito. Il corto circuito dipende dal fare della paternità e della maternità essenzialmente un progetto della ragione, la realizzazione di una volontà libera, di un mero desiderio di genitorialità appunto, realizzabile attraverso una serie di atti ed espedienti tecnici in sequenza, da considerarsi quali altrettanti steps in vista del conseguimento del risultato atteso. È questa la mentalità spesso sottesa allo stesso desiderio di genitorialità, ad oggi sempre più vissuto come portato emozionale di un non meglio definito timore della diversità a causa di una mancanza – in questo caso di un figlio – o come supporto prospettico ad una relazione di coppia che difetta dei numeri necessari a rimanere in piedi e a camminare da sola, o ancora come volontà di riscatto e prevaricazione contro limiti che, posti dalla natura, sono scambiati per insopportabili tare culturali.

L’emotività autoreferenziale di questa volontà di omologazione spesso fonda un desiderio di genitorialità che, potendo contare on demand sul potere prometeico della tecnica, ripropone il corto circuito di una narrazione che non riuscendo più a scorgere i nessi profondi tra i poli di sessualità ed affettività, di concepimento e generazione, di maternità e femminilità, di capacità generativa e dignità, pensa di poterli porre, scomporre, ricomporre, eventualmente deporre, ad nutum, incurante del fatto che l’identità di ogni soggetto è plasmata all’interno di necessari legami di generazione e riconoscimento.

Introdurre logiche di corresponsione economica, logiche di scambio, di reciprocità valutabili, all’interno di tali dinamiche significa obbedire ad impulsi ispirati da una progettualità puramente autoreferenziale, soggettivista, sostanzialmente dimentica del fatto che la relazione tra soggettività ugualmente libere e degne non può essere resa asimmetrica da condizionamenti imposti iniquamente, sfruttando cioè posizioni di predominio che sempre finiscono col generare prevaricazioni, inautenticità, assoggettamenti. E questo sembra essere esattamente il caso del desiderio di genitorialità sotteso alla pratica della MS, solidale e non, dove i desideri personali ordiscono prevaricazioni ai danni dei più deboli e i singoli processi di soggettivazione, originati da preesistenti asimmetrie relazionali, producono stigmi esistenziali che segneranno per sempre la vita dei soggetti in essa coinvolti. Nella costellazione fatta di femminilità, maternità, generazione, famiglia, nella quale la pratica della MS ci proietta, si avverte la sistematica assenza dell’attenzione sensibile all’altro, l’algida freddezza di un proceduralismo bio-medico e tecnico che impone l’abdicazione cosciente al darsi conto della presenza dell’altro. Nella pratica della MS si assiste, cioè, ad un’interazione monadica tra le parti, che innesca un’accurata profilassi emotiva del vissuto altrui, presupposto irrinunciabile dell’efficacia disgregativa che è chiamata ad operare tra soggettività distinte, eppure rese prossime dalla profondità di legami biologici destinati ad essere soppiantati dall’artificialità dei vincoli giuridici[44].

La descritta esclusione della ragione empatica, l’adesione inopinata a modelli etici ispirati ad un emotivismo soggettivista, l’assunzione di una cornice di riferimento meta-morale di stampo utilitarista, funzionalista, edonista, come denunciato in apertura del presente contributo, annichiliscono il portato umano delle relazioni presenti nella pratica della MS, inaridendo la capacità di tutti i soggetti coinvolti di penetrazione introspettiva. Nella pratica della MS, l’assenza di uno sguardo empatico tra i soggetti tutti coinvolti genera cioè lacerazioni – tra madre gestante e bambino; tra madre gestante e coppia committente; tra questi soggetti e gli eventuali donatori esterni di gameti – che, occultate dai successi rivendicati dall’efficientismo della tecnica, ammantano di normalità pratiche di prevaricazione e assoggettamento, reificazione e spersonalizzazione, generando logiche inumane di sfruttamento e strumentalizzazione.

Né pare che questi rischi possano essere evitati, scongiurati, superati per mezzo di norme giuridiche più stringenti, le quali, per un lato finirebbero con il garantire la coercibilità di molte prestazioni incluse negli odierni contratti di surrogazione e ad oggi non esigibili (si pensi, ad esempio, all’obbligo di abortire feti malformati, o di consegnare il feto appena nato in ogni caso, anche quando la madre abbia maturato una scelta differente), per un altro lato offrirebbero una cornice legale di protezione e tutela giuridica e giudiziaria a quanti commettono abusi, vessazioni, prevaricazioni in danno delle parti contrattualmente più deboli, ossia la madre gestante e il feto appunto.

 

* Contributo sottoposto a valutazione.

 

[1] Cfr. J. Deleuze, F. Guattari, L’Anti-edipo, trad. it di A. Fontana, Einaudi, Torino, 2002.

[2] Cfr. S. Cotta, L’uomo tolemaico, Rizzoli, Milano, 1975.

[3] Cfr. Agostino di Ippona, Il libero arbitrio, Città Nuova, Roma, 2011.

[4] Cfr. F. Fiorentino, Temi di filosofia Aristotelico-tomista. Verità, Bellezza e Scienza, Vol. I, Editrice Domenicana Italiana, Napoli, 2008, pp. 153-154.

[5] L’espressione “gestazione per altri” è quella più ampia ed indica tutte le forme in cui si ha una donna che porta avanti la gravidanza per conto di quelli che saranno i genitori legali del nascituro. L’ovulo che le viene impiantato può essere sia di una donatrice terza alla coppia committente, sia della futura madre legale (come succede in caso di donne che non possono portare avanti una gravidanza). In tutti i casi di gestazione per altri, comunque, gli ovuli non sono mai quelli della donna che porta avanti la gravidanza. In altri termini il bambino che nascerà non ha mai legami genetici con lei. L’espressione “maternità surrogata” è sostanzialmente un sinonimo di gestazione per altri (è una traduzione del termine surrogacy, con cui si definisce la pratica in inglese). Tuttavia, la differenza è che viene usato il termine «maternità» anche per indicare la gestazione, mentre quest’ultima − come detto − non è legata ad un’ assunzione di responsabilità genitoriale da parte di chi si occuperà del nascituro. L’espressione “utero in affitto”, infine, allude espressamente all’idea che il corpo della donna possa venire usato per trarre profitti o essere sfruttato economicamente. In questa sede, le tre espressioni, per quanto adombrino le distinzioni semantiche or ora accennate, verranno usate sostanzialmente come sinonimi.

[6] Cfr., all’uopo, la Risoluzione del Parlamento Europeo del 17 dicembre 2015 sulla relazione annuale in tema di “Diritti umani e democrazia nel mondo nell’anno 2014”, e sulle politiche dell’Unione Europea in materia. In particolare nel par. 115, si legge: «Condanna la pratica della gestazione per sostituzione che è contraria a la dignità umana della donna, giacché il suo corpo e le sue funzioni riproduttive si utilizzano come una materia prima; considera che debba proibirsi questa pratica, che implica lo sfruttamento delle funzioni riproduttive e l’utilizzazione del corpo con fini economici o di altro tipo, in particolare nel caso delle donne vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo, e chiede che si esamini con urgenza nell’ambito degli strumenti dei diritti umani».

[7] Nella valutazione del fatto in sé del portare avanti una gravidanza per un’altra donna, possono essere desunti dalla Convenzione di Oviedo (Convenzione del Consiglio d’Europa sui diritti dell’uomo e la biomedicina del 4 aprile 1997), importanti principi in relazione al compimento di atti di disposizione del corpo, che devono caratterizzarsi per la assoluta gratuità, l’autodeterminazione del disponente e l’affidamento delle parti coinvolte. Secondo l’interpretazione corrente della Convenzione, i singoli casi di maternità surrogata devono garantire il rispetto della libertà e della consapevolezza del consenso liberamente espresso dalle parti, che richiede una puntuale informazione e una tendenziale revocabilità della volontà sino all’ultimo momento utile. Sulla base della Carta di Nizza (Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata nel corso del Consiglio Europeo di Nizza del 20 dicembre 2000), poi, gli atti dispositivi del corpo vengono ritenuti contrari ai principi fondamentali di dignità e libertà, sulla base di una valutazione di immoralità riferita prevalentemente al carattere oneroso, cioè compiuto dietro corrispettivo, dell’atto di disposizione (art. 3 comma 2).

[8] Cfr. A. Casciano, La subrogación en la maternidad. Fenomenología de una interacción humana despersonalizadora, in Cuadernos de Bioética. 2018, 29 (95), pp. 39-56.

[9] Il 15 marzo del 2016, la Commissione per gli Affari sociali, la salute e lo sviluppo sostenibile, rifiutava di adottare la relazione presentata dalla senatrice belga e membro dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa Petra de Sutter, intitolata: “Diritti umani e questioni etiche connesse con la surrogazione” e che puntava al riconoscimento legale e alla regolamentazione minima di questa pratica in Europa. La raccomandazione proponeva di affidare al Comitato dei Ministri il compito di «considerare l’opportunità e le possibilità di attuazione di linee guida a livello europeo per garantire i diritti dei bambini in relazione agli accordi di maternità surrogata”, nonché di “collaborare con la Conferenza dell’Aja di Diritto Internazionale Privato (HCCH) in punto di status giuridico dei bambini, inclusi i problemi relativi ai rapporti di genitorialità in relazione ad accordi internazionali di surrogazione, con lo scopo di portare e garantire la posizione del Consiglio d’Europa all’interno degli eventuali strumenti multilaterali elaborati dal HCCH».

[10] L’art. 4 comma 4 della proposta di legge qui discussa, così dispone: «La gestante è tenuta a sottoporsi ad accurati controlli medici, presso una struttura sanitaria, al fine di accertare l’assenza di patologie che rappresentino un rischio per la gravidanza, nonché per la salute della stessa gestante e tale condizione deve essere attestata per scritto, tramite il rilascio di una certificazione, da parte della struttura ove sono stati effettuati i controlli. Il trasferimento dell’embrione in utero può essere effettuato solo dopo l’avvenuto rilascio di tale certificazione e la verifica del possesso dei requisiti previsti dall’articolo 3. La gestante e la persona con cui la gestante è sposata, convivente o unita civilmente ai sensi dell’articolo 1, commi da 37 a 67, della legge 20 maggio 2016, n. 76, nonché la persona singola o la coppia sono tenuti a sottoporsi, prima del trasferimento dell’embrione in utero, a tutti gli esami clinici previsti dalla normativa vigente per i donatori di gameti, ferma restando la valutazione medica circa l’opportunità di effettuare ulteriori esami clinici, nel rispetto del benessere delle parti».

[11] L’art. 5 comma 6 della proposta di legge qui discussa, così dispone: «La gestante si impegna ad astenersi dall’assumere qualsiasi condotta che possa essere considerata pregiudizievole o non idonea al suo stato di gravidanza e, dunque, potenzialmente dannosa per la salute del feto e a sottoporsi a tutti gli accertamenti medici previsti nel corso di una gravidanza».

[12] J. Damelio, K. Sorensen, Enhancing autonomy in paid Surrogacy, in Bioethics, 5, 2008, pp. 269-270.

[13] L’art. 5 comma 7 della proposta di legge qui discussa, così dispone: «L’accordo di gravidanza per altri solidale esclude qualsiasi relazione giuridica tra la gestante e i nati, ad eccezione dell’ipotesi in cui, al verificarsi di una controversia in merito al riconoscimento del rapporto di genitorialità con i nati, ai sensi dell’articolo 7, comma 8, il tribunale del luogo in cui sono state effettuate le procedure mediche di fecondazione in vitro adito dalle parti decida di riconoscere la genitorialità in favore della gestante».

[14] L’art. 5 comma 1 della proposta di legge qui discussa, così dispone: «La gestante esprime il consenso alla rinuncia della maternità con conseguente riconoscimento dei diritti genitoriali nei confronti del nascituro in favore della persona singola o della coppia. Tale rinuncia deve essere espressa, in forma scritta, prima dell’avvio delle procedure mediche di fecondazione in vitro, e controfirmata anche della persona con cui la gestante è eventualmente sposata».

[15] A. Donchin, Reproductive tourism and the quest for global justice, in Bioethics, 24, 2010, pp. 323-332.

[16] A. Aparisi Miralles, El principio de la dignidad humana como fundamento de un bioderecho global, in Cuadernos de Bioética, XXIV, 2013/2ª, pp. 201-221.

[17] A. Trabucchi, Il figlio, nato o nascituro, inaestimabilis res, e non soltanto res extra commercium, in Rivista di diritto civile, 1, 1992, p. 218.

[18] Così nell’art. 5 comma 8 della Proposta di legge in discussione.

[19] Così nell’art. 5 comma 3 della Proposta di legge in discussione.

[20] Così nell’art. 5 commi 10 e 11 della Proposta di legge in discussione.

[21] R.A. Posner, The Ethics and Economics of Enforcing Contracts of Surrogate Motherhood, in Journal of Contemporary Health Law and Policy, 21, 1989, p. 24.

[22] Cfr. M. Mauss, Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, (trad. it. di F. Zannino), Einaudi, Torino, 2002.

[23] Cfr. Agostino di Ippona, Il libero arbitrio, Città Nuova, Roma, 2011.

[24] Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 13, a. 1

[25] G.G. Grisez, The way of Lord Jesus. Christian Moral Principles, Vol. I, Franciscan Herald Press, Chicago, 1983, p. 41.

[26] Ivi, p. 59.

[27] E. Lévinas, Totalità e Infinito. Saggio sull’esteriorità, (trad. it. di A. Dell’Asta), Jaca Book, Milano, 1980, p. 202.

[28] A. Dworkin, Right-wing Women, Perigee Book, New York, 1983, p. 184.

[29] M.J. Radin, Market-Inalienability, in Harvard Law Review, 8, 1987, p. 1849.

[30] A. Wood, Exploitation, in Social Philosophy and Policy, 12, 1995, p. 137.

[31] S. Wilkinson, The exploitation argument against commercial surrogacy, in Bioethics, 2, 2003, p. 186.

[32] Sulla “dignità” come concetto fondamentale della biogiurdica, si veda A.M. González, La dignidad de la persona, presupuesto de la investigación científica, in J. Ballesteros, A. Aparisi (a cura di), Biotecnología, dignidad y derecho: bases para un dialogo, EUNSA, Pamplona, 2004, pp. 17-42.

[33] M.C. Nussbaum, Objectification, in Philosophy and Public Affairs, Fall. 1995, 24, 4, in Research Library Core, pp. 249-291, e spec. p. 257. Nostra la traduzione.

[34] Ivi, p. 258. Nostra la traduzione.

[35] A. Wertheimer, Two Questions About Surrogacy and Exploitation, in Philosophy and Public Affairs, 21, 1992, pp. 71-92.

[36] C. Shalev, Birth Power: The Case for Surrogacy, Yale University Press, New Haven, 1991.

[37] A. Malo, Il corpo umano tra indisponibilità e autodeterminazione: un caso di giustizia asimmetrica, in Metodologia, Didattica e Innovazione Clinica – Nuova Serie, 19, 2011, p. 12.

[38] I. Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, (trad. it. di F. Gonnelli), Laterza, Roma-Bari, 1997, p. 103.

[39] N. Lopez Moratalla, El cigoto de nuestra especies es cuerpo humano, in Persona y Bioética, 12, 2010, p. 122.

[40] A. Musumeci, Costituzione e bioetica, Aracne Editrice, Roma, 2005, pp. 78-81.

[41] M. Cooper, C. Waldby, Biolavoro globale. Corpi e nuova manodopera, (trad. it. di A. Balzano), DeriveApprodi, Roma, 2015.

[42] Ivi, pp. 157-159.

[43] Ivi, p. 139.

[44] Sull’aspetto creativo dell’artificio giuridico in tema di procreazione assistita, si veda G. Durante, L’artificio giuridico e il fantasma della natura, in A. Catania, F. Mancuso (a cura di), Natura e artificio. Norme, corpi e soggetti, tra diritto e politica, Mimesis, Milano, 2011, pp. 143-158; M. Iacub, Dal buco della serratura. Una storia del pudore pubblico dal XIX al XXI secolo, (trad. it. di G. Durante), Dedalo, Bari, 2010, in particolare pp. 5-37.