Stefano Nitoglia
Avvocato in Roma

  

I contratti di maternità surrogata. Nozione, problemi di esecuzione, clausole abortive, diritto di recesso*

 

 

Sommario: 1. La procreazione medicalmente assistita − 2. La maternità surrogata − 3. I contratti di maternità surrogata − 4. I contratti di maternità surrogata sono validi? − 5. La giurisprudenza in materia − 6. Recesso e revoca del consenso − 7. Clausole abortive − 8. Considerazioni finali.

 

 

 

  1. La procreazione medicalmente assistita

 

La questione della maternità surrogata si inserisce in quella della procreazione medicalmente assista. Questa, in Italia è regolata dalla legge 19 febbraio 2004, n. 40 intitolata “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”, che è stata oggetto di diverse pronunce della Corte costituzionale e di numerosi interventi della magistratura cosiddetta “creativa”.

In attuazione della suddetta normativa sono stati emanati, ex art. 7 della legge citata, diversi decreti: il decreto del Ministero della Salute 21 luglio 2004, recante “Le linee guida in materia di procreazione medicalmente assistita”, successivamente sostituito dal decreto del Ministero della Salute dell’11 aprile 2008 e, infine, dal decreto del Ministero della Salute del 1° luglio 2015.

Secondo l’articolo 1 della legge cit., il ricorso alla procreazione medicalmente assistita è ammesso quando non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità.  Il carattere residuale del procedimento emerge ancor meglio dall’articolo 4, primo comma, legge cit., secondo il quale tale ricorso è consentito solo se sia accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritto «ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico».

A seguito di diverse pronunce della Corte costituzionale è caduto il divieto originario di ricorso a tecniche di procreazione di tipo eterologo, nella quale, cioè, si utilizzano gameti di donatori esterni alla coppia. Tale possibilità ora è espressamente riconosciuta anche dalle linee guida elaborate dal Ministero della Salute con il decreto del 1° luglio 2015, di cui sopra.

 

  1. La maternità surrogata

 

Diversamente dalla fecondazione eterologa, nella quale il procedimento si risolve all’interno della coppia con il solo ausilio di donatori esterni, nella surrogazione di maternità si ha l’intervento di una donna estranea alla coppia, la quale presta il proprio corpo alla coppia medesima (o anche a persone singole), provvedendo alla gestazione e al parto, ma rinunciando a ogni diritto nei confronti del nato. Tale pratica per questo è anche volgarmente denominata “utero in affitto”.

La maternità surrogata è un genus che si esplicita in diverse tipologie di procedure (species), nelle quali vengono tecnicamente usati termini crudi di tipo economico, quali “committenti”, “mettere a disposizione”, “noleggio”, eccetera.

Alcuni distinguono tra surrogazione tradizionale e surrogazione gestazionale[1].

  1. a) Maternità surrogata per concepimento e gestazione o surrogazione tradizionale.

In essa la gestante mette a disposizione dei committenti non solo il proprio utero ma anche il proprio gamete o ovulo. Essa sarà sempre eterologa, in quanto l’ovulo appartiene alla madre uterina. Può essere eterologa parziale o totale. Parziale: quando il gamete maschile proviene da uomo (o uomini) della coppia committente; totale: quando il gamete maschile proviene da terzo donatore estraneo.

  1. b) Maternità surrogata per sola gestazione o surrogazione gestazionale.

In essa la gestante mette a disposizione dei committenti il solo utero. Essa può essere omologa: impianto di embrione formato da gameti maschili e femminili della coppia committente; oppure eterologa la quale, a sua volta, si divide in: parziale, quando un gamete proviene dalla coppia committente e un gamete da terzo donatore; totale, quando entrambi i gameti sono estranei sia alla coppia committente sia alla madre uterina.

Tutte le suddette pratiche in Italia sono espressamente vietate dall’art. 12, comma 6, della legge 40 del 2004, che dispone: «chiunque, in qualsiasi forma realizza organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro».

Tale articolo ha superato il vaglio della Corte costituzionale la quale, nella sentenza 272 del 2017, nel rigettare le censure mosse alla norma ha stabilito che la pratica della sostituzione «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane». La stessa Corte costituzionale, chiamata a decidere nuovamente sulla disciplina della legge 40 del 2004, con sentenza n. 33 del 2021 ha rigettato nuovamente le censure contro il divieto di maternità surrogata.

Anche il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB), con la mozione intitolata “Maternità surrogata a titolo oneroso” del 18 Marzo 2016[2], sulla base dell’assunto che «il corpo umano e le sue parti non debbono essere, in quanto tali, fonte di profitto» e che «la maternità surrogata è un contratto lesivo della dignità della donna e del figlio sottoposto come un oggetto a un atto di cessione» ha ritenuto, con la sola dissenting opinion del prof. Carlo Flamigni, che la fattispecie di «commercializzazione e di sfruttamento del corpo della donna nelle sue capacità riproduttive», indipendentemente dalla forma del pagamento, sia in «netto contrasto con i principi bioetici fondamentali».

C’è, tuttavia, chi «ha negato l’illeceità morale della predetta pratica, ove sia mossa dal fine benefico della nascita di un nuovo essere umano, e da motivazioni oblative»[3], senza considerare tutte le importanti questioni pratiche ed etiche che una tale nascita comporta.

Per aggirare il divieto posto nei confronti della procedura di maternità surrogata in Italia, diverse coppie sono ricorse e ricorrono a tale tipo di procedura all’estero, dove, invece, essa è consentita.  Alla fine del procedimento, però, queste coppie si trovano di fronte all’impossibilità di trascrivere nei registri di stato civile italiani il rapporto di filiazione con il cosiddetto “genitore di intenzione”, ovvero colui il quale non ha contribuito con il proprio patrimonio genetico (gamete) a concepire il minore, ma che con esso ha intenzione di instaurare un rapporto familiare.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione (sentenza n. 12193 del 2019), infatti, hanno ritenuto che il divieto, previsto dal sesto comma dell’art 12 legge citata, sia qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità della gestante e l’istituto dell’adozione.

 

  1. I contratti di maternità surrogata

 

Pur essendo, come detto, espressamente vietata tale pratica in Italia, pur tuttavia, per l’esistenza di una campagna mediatico-culturale in favore della maternità surrogata e di diversi progetti di legge in materia giacenti in Parlamento, nonché per il comune riconoscimento della pratica all’estero, il problema dei contratti di maternità surrogata non può essere eluso.

Vi è chi definisce l’accordo di maternità surrogata quello nel quale: «una donna, per soddisfare esigenze di maternità e di paternità altrui, dietro corrispettivo, o a titolo gratuito, contrattualmente noleggia, con il richiesto consenso del marito se sposata, il proprio utero ad una coppia di coniugi impossibilitata ad avere figli per sterilità della partner, impegnandosi a farsi fecondare artificialmente con il seme del marito di quest’ultima, a condurre a termine la gravidanza, nel rispetto di determinate norme di comportamento, ed a consegnare alla predetta coppia di coniugi committenti il figlio così concepito, rinunciando ad ogni diritto su di esso»[4]. Questa nozione, però, riguarda solo una delle modalità di effettuazione della maternità surrogata.

Secondo altri «l’accordo di surrogazione è (…) un esercizio del diritto alla procreazione da parte di più soggetti, che determina la costituzione di un rapporto parentale riconosciuto dal diritto già in epoca anteriore al concepimento, e benché la paternità sociale non possa essere assunta dai genitori committenti prima del momento della nascita, costoro hanno già con il feto un legame giuridico, formalizzato dal rapporto contrattuale con la madre surrogata»[5].

A tale proposito vi è chi osserva, però, «che il diritto preminente nel rapporto tra genitori e figli non è quello del genitore ad avere un legame parentale col figlio, ma quello del figlio ad avere il rapporto col genitore. In via esemplificativa, in questo senso, si ricorda che l’adozione è un istituto la cui finalità è quella di tutelare i bambini e offrire loro una soluzione a eventuali mancanze da un punto di vista famigliare e genitoriale. Il genitore, quindi, non può disporre di un diritto – del quale peraltro è non solo discutibile, ma esclusa, la reificabilità e disponibilità – che sta in capo al figlio. Il prezzo di questa lettura invertita del rapporto genitore-figlio, de facto, sarebbe la reificazione del figlio, che da soggetto di diritto diverrebbe un oggetto di diritto. A nulla vale l’argomentazione che tale diritto starebbe sì in capo al bambino una volta nato, ma non in capo al concepito»[6].

 

  1. I contratti di maternità surrogata sono validi?

 

A nostro sommesso avviso occorre inquadrare la questione nel sistema codicistico del nostro ordinamento, basato su norme ben precise e stabilite, diversamente da quello dei Paesi anglosassoni, caratterizzati dal common law, nel quale assumono importanza preminente i precedenti e l’elaborazione giurisprudenziale; anche se, sia detto per inciso, con la cosiddetta “giurisprudenza creativa” anche noi stiamo certamente debordando verso quest’altro sistema, con tutti i gravi problemi che derivano dall’innesto di un sistema “alterato” dalla detta creatività in un corpo giuridico completamente estraneo.

Si può parlare, nel nostro sistema, di contratti di maternità surrogata e, se sì, essi sono leciti, quindi validi, oppure illeciti e, pertanto, nulli o annullabili?

Va preliminarmente detto che il contratto si inserisce nella più ampia figura del negozio giuridico. L’art.1321 del cod. civ. italiano, lo definisce un «accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale». Caratteristica del contratto è, quindi, la patrimonialità, ovvero esso è un accordo avente sempre natura patrimoniale.

Sempre secondo il nostro sistema codicistico, il contratto ha degli elementi essenziali e degli elementi accessori. Come dice la parola, gli elementi essenziali sono quelli che, se mancano o sono illeciti, rendono invalido e inefficace il contratto. Gli elementi essenziali sono definiti dall’articolo 1325 cod. civ. e sono: l’accordo, la causa, l’oggetto e la forma, quando essa è richiesta ad substantiam. Ai fini di questo studio è sufficiente soffermarsi sugli elementi essenziali del contratto e, tra questi, sull’oggetto e sulla causa.

Per oggetto si intende la cosa o il comportamento oggetto, appunto, dello scambio, della promessa o del conferimento dell’una all’altra parte. A norma dell’art. 1346 del cod. civ. l’oggetto del contratto deve essere possibile: ciò significa che se si tratta di una cosa deve essere esistente, anche solo potenzialmente, mentre laddove si tratti di un comportamento umano questo deve essere compatibile con le caratteristiche di chi è chiamato ad attuarlo. La possibilità, oltre che naturale deve essere anche giuridica, cioè legittimamente realizzabile secondo i canoni dell’ordinamento. L’oggetto deve essere altresì lecito, nel senso che non deve essere contrario a norme imperative, ordine pubblico e buon costume; Deve inoltre essere determinato o determinabile, vale a dire che deve essere certo, individuato o quantomeno individuabile nel momento di esecuzione del contratto.

La causa è la funzione economico-sociale del contratto (ad esempio nella compravendita è lo scambio tra bene e prezzo, nella locazione è il godimento del bene contro un corrispettivo). Essa deve essere lecita, cioè non contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume (art. 1343 cod. civ.); si reputa altresì illecita la causa quando il contratto costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa (cosiddetto contratto in frode alla legge, art. 1344 cod. civ.).

Abbiamo quindi gli elementi per dare una risposta all’interrogativo che ci siamo posti.

In proposito si può dire che il contratto di maternità surrogata è nullo perché va a confliggere per molteplici aspetti con l’art. 1418 cod. civ. e non solo, per come vedremo.

In primo luogo, perché esso è contrario a norme imperative di legge (art. 1418, comma 1, cod. civ.) stabilite, in particolare, dal citato art. 12, comma 6, della legge 40 del 2004, presidiato da una sanzione di carattere penale; nonché dall’art. 269, comma 3, cod. civ., nella parte in cui stabilisce che madre è colei che partorisce (v. infra Cassazione civile n. 24001/2014), essendo tale norma posta dal legislatore a presidio della certa identità del nato sin dai tempi antichi (mater semper certa est).

In secondo luogo, per illeceità della causa (art. 1418, comma 2, cod. civ.), in quanto contraria, come detto, a norme imperative e all’ordine pubblico (come riconosciuto dalla citata sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione n. 12193 del 2019).

In terzo luogo, per mancanza dei requisiti di possibilità dell’oggetto (1418, comma 2, cod. civ. e 1346 cod. civ.), atteso che non possono essere oggetto di un contratto le parti del corpo, il nascituro o il suo status, che non sono beni in senso giuridico (v. anche art. 5 cod. civ., infra).

Infine, per essere il contratto in frode alla legge (1344 cod. civ.), essendo diretto a eludere le norme sulla adozione.

A ciò si aggiunga che l’art. 5 del cod. civ. vieta gli atti di disposizione del proprio corpo quando contrari alla legge, al buon costume o all’ordine pubblico; ulteriore motivo per ritenere attualmente impossibile in Italia la pratica della maternità surrogata.

 

  1. La giurisprudenza in materia

 

Se per il Tribunale di Roma «il contratto atipico di maternità surrogata, con cui una donna si assume l’obbligazione di portare a termine una gravidanza per conto di una coppia che riceverà e terrà come proprio il neonato, persegue un interesse meritevole di tutela della coppia stessa all’autorealizzazione genitoriale, ed è valido se la madre “surrogata” non sia spinta da motivi di lucro, ma dall’intento solidale di soddisfare il bisogno di maternità dell’altra donna»[7], la Cassazione a Sezioni Unite ha, invece, recentemente stabilito che tale pratica, «quali che siano le modalità della condotta e gli scopi perseguiti, offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane»[8]; mentre, con un arresto più risalente nel tempo, sempre la Suprema Corte aveva statuito: «L’ordinamento italiano per il quale madre è colei che partorisce, secondo quanto disposto dall’art. 269, comma 3, c.c. contiene, all’art. 12, comma 6, l. n. 40 del 2004 un espresso divieto, rafforzato da sanzione penale, della surrogazione di maternità, ossia della pratica secondo cui una donna si presta ad avere una gravidanza e a partorire un figlio per un’altra donna; tale divieto non è stato travolto dalla declaratoria d’illegittimità costituzionale parziale dell’analogo divieto di fecondazione eterologa, di cui all’art. 4, comma 3, della medesima legge, pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 162 del 2014. Il divieto di pratiche di surrogazione di maternità è di ordine pubblico e non si pone in contrasto con la tutela del superiore interesse del minore, atteso che il legislatore ha considerato che tale interesse si realizzi attribuendo la maternità a colei che partorisce e affidando all’istituto dell’adozione, realizzata con le garanzie proprie del procedimento giurisdizionale, piuttosto che al semplice accordo della parti, la realizzazione di una genitorialità disgiunta dal legame biologico»[9].

 

  1. Recesso e revoca del consenso

 

Da quanto affermato poc’anzi sulla invalidità di un siffatto tipo di accordo, deriva la possibilità, per le parti, di recedere da esso in qualsiasi momento, senza incorrere in alcun tipo di responsabilità contrattuale, mentre, nell’interesse del nascituro, i genitori committenti non potranno revocare il consenso alla maternità surrogata, una volta formatosi l’embrione, in base a quanto stabilito dal terzo comma dell’articolo 6 della citata legge 40 del 2004 («La volontà può essere revocata da ciascuno dei soggetti indicati dal presente comma fino al momento della fecondazione dell’ovulo»). Al contrario, la madre surrogata potrà rifiutare l’impianto dell’embrione, anche se il rifiuto sia successivo ad un precedente consenso, ciò in quanto non è ipotizzabile un trattamento sanitario obbligatorio in tale senso.

 

  1. Clausole abortive

 

Cosa succede se i committenti o la gestante vogliono rinunciare al frutto del concepimento? I motivi di tale rinuncia possono essere molteplici: un figlio in esubero, ho “commissionato” un bambino ma la gestante aspetta due gemelli; uno scambio di materiale genetico; una diagnosticata sindrome di down o anche altre malformazioni genetiche, ed altri. Sono valide eventuali clausole abortive stabilite dalle parti?

Anche se la questione, almeno per il momento, è soltanto accademica, a motivo della nullità dei contratti di maternità surrogata, come sopra rappresentata, nondimeno essa va affrontata.

Riportiamo alcune considerazioni in merito trattate dalla giurisprudenza, la quale, ovviamente, si inserisce, purtroppo, nella ormai ritenuta liceità giuridica di tale pratica moralmente illecita e contraria al diritto naturale.

La prima decisione in merito, della quale si ha notizia, è quella stabilita nel 1979 dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, nella causa Bellotti vs. Baird, nella quale si è decretato che la decisione relativa all’aborto spetta esclusivamente alla donna gestante, nonostante ogni normativa in senso contrario che prescriva il consenso dei committenti, la quale sarebbe invalida[10]. In questa decisione, come in tutte le questioni legate al triste fenomeno dell’aborto, l’unica prospettiva considerata è stata quella della madre, senza alcun riferimento ai diritti del nascituro, il soggetto più debole del rapporto, che viene declassato da soggetto a oggetto di diritto.

Diversamente altri sostengono che nel «caso della (…) anomalia del feto (…) il potere giuridico di decidere debba essere riconosciuto alle persone committenti, in quanto sono costoro che saranno responsabili per la cura del bambino dopo il parto»[11].

Nel caso di contrasto tra le parti committenti e la parte gestante sul destino del nascituro si aprirebbe la questione della possibilità o meno della esecuzione forzata della clausola abortiva nonché quella del risarcimento del danno a favore dei committenti. «Una impostazione del genere, laddove avallata nella parte relativa alla possibilità di esecuzione forzata del contratto, configurerebbe la maternità surrogata come una vera e propria forma di servitù volontaria, perché per via contrattuale la madre rinuncia ai diritti sul proprio corpo»[12].

La possibilità dell’esecuzione forzata del contratto di maternità surrogata, sebbene ripugnante, perché considera una cosa il prodotto del concepimento, viene, nondimeno, giustificata da alcuni, tra i quali l’economista e giudice federale statunitense Richard Posner, «da un lato in una lettura economicista del diritto e dall’altro in una visione storicista della vita, tale per cui non bisogna preoccuparsi, perché quello che oggi sembra a noi strano o innaturale, domani sarà accettato dalle prossime generazioni»[13].

Tale aberrante ipotesi è stata giustamente criticata da Aldo Rocco Vitale, giurista bioeticista, che sostiene che, nel nostro diritto, una clausola che prevedesse la possibilità di esecuzione forzata del contratto di maternità surrogata sarebbe inficiata per nullità di due elementi essenziali, la causa e l’oggetto del contratto, nonché confliggerebbe anche con la Costituzione italiana, che in forza dell’art. 32 garantisce l’impossibilità di trattamenti coattivi in tal senso[14].

 

  1. Considerazioni finali

 

Al di là di ogni problematica giuridica, che lascia il tempo che trova in quanto una successiva legge potrebbe abrogare il divieto, di carattere imperativo, della surrogazione di maternità, lasciando così cadere ogni questione di nullità del relativo contratto per i motivi sopra esaminati, la questione che ci occupa, a mio sommesso avviso, è eminentemente antropologica e culturale.

Nel nostro sistema, improntato fortemente al positivismo giuridico, che considera unico diritto quello posto dal legislatore, indipendentemente da ogni questione morale o di diritto naturale, va da sé che ogni battaglia basata esclusivamente su un punto di vista giuridico è perdente in partenza.

Fino a quando si riterrà che tutto è lecito e che ogni desiderio, seppur proveniente da una infima minoranza di persone, meriti accoglimento e, quindi, si possa tradurre in disposizioni normative cogenti (e di esempi di tale fatta in questi ultimi tempi ne abbiamo a bizzeffe), ci si può aspettare di tutto. Basta guardarsi intorno e vedere quello che accade in diversi Paesi.

Per limitarsi a uno dei tanti esempi che viene dagli Stati Uniti, lasciamo parlare il sito on line TGCOM 24 del 27 marzo 2023[15], che riferisce di «una nota agenzia della California che offre ai futuri genitori, meglio definiti “genitori intenzionali”, la possibilità di scegliere etnia, colore degli occhi e dei capelli, altezza delle donatrici pronte a offrire i propri ovuli per la gravidanza per altri. Un’opzione da subito visibile sul sito: “Se sei un futuro genitore che sta cercando un donatore di ovociti e / o una madre surrogata per aiutarti a completare la tua famiglia − si legge sulla homepage − fai clic qui sotto per registrarti per visualizzare i nostri donatori e surrogati disponibili”. – L’agenzia in questione è Extraordinary Conceptions. Stando alla ricostruzione del Messaggero (che con i suoi cronisti ha finto di essere una coppia per sperimentare l’iter) è tutto molto semplice e veloce. Ci si iscrive compilando dei moduli online e poi si viene contattati da un referente che così spiega ai genitori intenzionati cosa fare.  “La nostra agenzia vanta più di tremila donatrici” − dice una responsabile dell’agenzia – “per il vostro futuro bambino potete scegliere il colore dei capelli, quello degli occhi, della pelle; addirittura, vi possiamo aiutare a prevedere le attitudini di vostro figlio: il nostro database include informazioni sulla personalità del nostro donatore. Che tu stia cercando una donatrice che ami ridere, che dia la priorità all’istruzione o che abbia un’abilità musicale, possiamo aiutarti a trovarla”.

I viaggi organizzati in Italia. Extraordinary Conceptions si trova a San Diego e porta avanti questa tecnica dal 2005. La società periodicamente organizza dei tour in Italia. Almeno una volta l’anno degli incontri per lo più segreti in hotel di lusso a cinque stelle nei pressi della Stazione Termini per spiegare quali servizi offre. La sua agenzia offre il pacchetto completo: visite mediche, prelievo dello sperma, test di fertilità, cliniche di donatrici di ovuli con tanto di schedario e infine le mamme surrogate. Una commercializzazione punita dalla legge 40 con pene che vanno dai tre mesi a due anni di detenzione.

Le donatrici. Il sito dell’agenzia americana offre anche due percorsi separati per chi vuole diventare donatrice di ovuli o madre surrogata.  Nel primo caso è richiesta un’età tra i 18 e i 29 anni e bisogna rispondere a un questionario che prevede − oltre a quesiti attinenti il quadro sanitario − domande del tipo: “Hai in famiglia qualcuno con sindrome di Down? Hai subito stupri o molestie sessuali? Se tutte le risposte escludono l’evenienza di qualunque tipo di malattia allora bisogna inviare 15 fotografie tra cui − obbligatoriamente − alcune che risalgono al periodo dell’infanzia così che, spiega l’agenzia, i futuri genitori possano immaginare come diventerà il loro bambino”. Per diventare donatore si firma un contratto che prevede un trattamento a base di iniezioni giornaliere per aiutare a stimolare lo sviluppo delle uova. Dieci giorni dopo il prelievo viene effettuato il primo bonifico. In totale riceverà seimila dollari (se è donatore per la prima volta).

I compensi. La pratica della maternità surrogata (o utero in affitto) è ovviamente la più costosa e ha un costo che parte dai centoquarantamila euro e può lievitare oltre i duecentocinquantamila euro in caso di gravidanza gemellare. Anche le caratteristiche della madre sono diverse. L’età della donna deve essere compresa tra i ventuno e i quarantacinque anni, deve essere americana, non aver subito più di cinque cesarei ed essere finanziariamente stabile. Una volta incontrata la domanda con l’offerta si stipula un contratto tra i genitori intenzionali e la gestante. È previsto un bonifico pre-gravidanza e, dopo la conferma del battito cardiaco del bimbo, iniziano gli emolumenti mensili da parte dei genitori intenzionali per un totale che oscilla tra i quarantanovemila e i settantacinquemila dollari a cui vanno aggiunti rimborsi spese fino a ventisettemila dollari e una polizza assicurativa sulla vita. Per un parto gemellare si superano i duecentomila euro. La referente contattata da Il Messaggero assicura che gli embrioni sono testati geneticamente per cui “molte anormalità vengono viste in questa fase ma c’è sempre un margine di errore”. Per questo anche l’evenienza di un aborto è regolata per contratto.

La consulenza legale. Uno dei passaggi più delicati, a gravidanza conclusa, è far rientrare in Italia i figli nati da maternità surrogata visto che da noi è una pratica illegale. A richiesta, l’agenzia americana offre anche la consulenza legale che si paga a parte. In America l’avvocato incaricato dai genitori intenzionali deve chiedere un “parentage order” ossia un’ordinanza con cui il tribunale conferma che i genitori previsti sono anche i genitori legali di un bambino che alla nascita risulta americano. Al rientro in Italia il certificato dovrebbe essere trascritto nei registri dell’Anagrafe del comune di residenza ma non tutti i municipi lo consentono. In caso di diniego della trascrizione viene riconosciuto solo il genitore biologico mentre l’altro genitore “intenzionale” dovrà ricorrere all’adozione in casi particolari».

Questo orribile scenario è quello che potrebbe verificarsi anche in Italia, se non si impostasse la questione non solo sul piano giuridico ma anche sul significato e sui valori della vita. Quindi, ben venga una battaglia sul piano dei princìpi legali, che va certamente e doverosamente combattuta, come si fa anche con questo scritto e con altri analoghi, ben consci, però, che la vera battaglia è quella antropologica e culturale.

 

* Contributo sottoposto a valutazione.

 

[1] Cfr. M. P. Faggioni, La Maternità surrogata, in E. Sgreccia, A. Tarantino, Enciclopedia di Bioetica e Scienza Giuridica, vol. VIII, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli-Roma, 2015, pp. 251-266.

[2] Comitato Nazionale per la Bioetica, mozione Maternità surrogata a titolo oneroso, 18 Marzo 2016. Il testo del parere è reperibile al seguendo indirizzo: http://bioetica.governo.it/media/1408/m17_2016_surroga_materna_it.pdf.

[3] G. Bonilini, Manuale di diritto di famiglia, decima edizione aggiornata, Utet, Torino, 2022, p. 321.

[4] A. B. Faraoni, La maternità surrogata. La natura del fenomeno, gli aspetti giuridici, le prospettive di disciplina, Giuffrè, Milano, 2002, p. 21.

[5] C. Shalev, Nascere per contratto, Giuffrè, Milano, 1992, p. 139.

[6] Cfr. M. Di Benedetto, La maternità surrogata: le principali questioni bioetiche, in https://www.diritto.it/la-maternita-surrogata-le-principali-questioni-bioetiche/#_ftn10.

[7] Cfr. Per leggere il provvedimento, si veda la rivista Famiglia e diritto, 2000, p. 151; la rivista Giust. civ., 2000, I, p. 1157.

[8] Cfr. Cass. civ. SS. UU., sentenza n. 38162 del 30 dicembre 2022, in Diritto & Giustizia, 2014, 12 novembre e in Guida al diritto, 2015, 2, p. 34.

[9] Cfr. Cass. civ, sez. I , sentenza n. 24001 dell’11 novembre 2014, in Giustizia Civile Massimario, 2023.

[10] Cfr. Corte Suprema degli Stati Uniti nel 1979, Bellotti vs Baird, reperibile al seguente indirizzo: https://caselaw.findlaw.com/us-supreme-court/443/622.html.

[11] C. Shalev, op. cit.

[12] Cfr. M. Di Benedetto, op. cit.

[13] Vedi R.A. Posner, The Ethics and economics of enforcing contracts of surrogate motherhood, in Journal of Contemporary Health Law and Policy, n. 5, University of Chicago Law School Chicago Unbound, Chicaco, 1989, pp. 21-31., cit. in M. Di Benedetto, op. cit.

[14] A. R. Vitale, Escursioni biogiuridiche in tema di maternità surrogata, p. 181; cit. in M. Di Benedetto, op. cit.

[15] Cfr. https://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/utero-in-affitto-maternita-surrogata-usa-catalogo-online_62744770-202302k.shtml.