Carlo Introvigne
Sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Vercelli

La maternità surrogata è un crimine contro la dignità dell’uomo, ovunque sia commesso. Estendere la punibilità delle condotte, anche se commesse all’estero, è l’unica via per non rassegnarsi ipocritamente alla logica del fatto compiuto*

 

 

Sommario: 1. Introduzione  − 2. Non esiste il diritto ad avere figli – 3. Le pronunce della Corte di Cassazione in tema di maternità surrogata – 4. La maternità surrogata è vietata, ma il divieto viene aggirato: cosa fare? – 5. Conclusioni.

 

 

 

  1. Introduzione

 

Il presente contributo si propone di approfondire la tematica della maternità surrogata – c.d. “gestazione per altri” (GPA) – da un punto di vista del diritto penale. Molti ed autorevoli autori hanno affrontato il tema da un punto di vista etico, politico e squisitamente amministrativo, anche commentando le pronunce della recente giurisprudenza che si sono occupate dei problemi relativi alla trascrizione dell’atto di nascita formato all’estero e dell’iscrizione anagrafica del minore nato da maternità surrogata. In questo contributo invece si tenta un approccio dal punto di vista del diritto penale, sia de iure condito (cioè a legislazione vigente) che de iure condendo (cioè con riferimento ad eventuali novità che potrebbero venire dal legislatore).

L’argomento è di estrema attualità ed urgenza, trovandoci di fronte al paradosso di una condotta che sulla carta è vietata, e penalmente sanzionata, ma nei fatti è sostanzialmente consentita o quanto meno fuori controllo.

Facendo un brevissimo passo indietro, occorre premettere che per maternità surrogata si intende quella pratica che, in applicazione di un malinteso ed inesistente “diritto alla genitorialità”, consente ad una coppia – indifferentemente omo oppure eterosessuale – di avere un figlio, dietro pagamento del corrispettivo della prestazione o delle spese sostenute, a favore di una donna che si presta a nove mesi di gestazione per altri.

 

  1. Non esiste il diritto ad avere figli

 

È già stato da più parti ed autorevolmente osservato come in realtà non esista – né da un punto di vista morale né da un punto di vista giuridico – il “diritto ad avere un figlio”, per cui una tale pretesa, da realizzare anche andando forzatamente contro le leggi naturali, è lungi dall’essere un bene giuridico meritevole di tutela da parte dell’ordinamento. Anzi, al contrario, le leggi dello Stato italiano vietano il ricorso alla maternità surrogata, pratica disumana nel cui contesto un bambino viene fatto oggetto di un contratto ed il suo preminente interesse alla salute, così come quello della madre, divengono soccombenti rispetto al preteso ed in realtà inesistente diritto dei committenti alla genitorialità.

La gestazione per altri è stata definita da fonti autorevolissime – si pensi alla Corte di Cassazione e al Comitato nazionale di bioetica – come pratica gravemente lesiva della dignità della donna e del figlio sottoposto come un oggetto ad un atto di cessione. È dunque del tutto logico che il ricorso a tale pratica sia penalmente sanzionato, dovendosi ricordare come il diritto penale sia posto dagli ordinamenti a presidio e divieto di quelle condotte che il legislatore ritiene maggiormente lesive del bene comune.

L’art. 12 comma 6 della legge 40 del 2004 recita: «chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro».

La norma è di chiarezza adamantina; dunque, come è possibile che si verifichi il paradosso per cui la GPA è vietata sulla carta, ma consentita nei fatti? La risposta è da ricercare nei limiti di applicazione territoriale del diritto penale riflessi nella timidezza palesata dalla giurisprudenza che sinora si è espressa in merito.

 

  1. Le pronunce della Corte di Cassazione in tema di maternità surrogata

 

Le pronunce della Corte di Cassazione che finora sono state rese in materia, hanno ritenuto improcedibile in Italia – in assenza di apposita richiesta del Ministro della Giustizia – l’azione penale nei confronti di chi aveva fatto ricorso alla GPA in Paesi dove la pratica è ammessa, come ad esempio l’Ucraina.

Secondo gli ermellini (sentenza Sez. III, n. 5198 del 28 ottobre 2020) «Il divieto di realizzare, in qualsiasi forma, la surrogazione di maternità, previsto dall’art. 12, comma 6, legge 19 febbraio 2004, n. 40, comprende le condotte antecedenti ed eziologicamente collegate e funzionali alla maternità surrogata, che si perfeziona con la nascita a gestazione terminata» – il che significa che sarebbe punibile, ad esempio, la condotta di chi dovesse siglare in Italia il contratto per la GPA; tuttavia, nel caso di specie portato all’attenzione della Suprema Corte, i Giudici hanno ritenuto che la vicenda si fosse realizzata per intero in Ucraina, non rilevando i contatti prodromici intrattenuti via e-mail al fine di valutare le possibili soluzioni, in quanto non ancora dimostrativi della decisione di ricorrere alla pratica vietata.

Per altro verso, la giurisprudenza non ha sinora ritenuto punibile ai sensi dell’art. 567 comma 2 cod. pen. – che incrimina con pene molto severe l’alterazione di stato[1] − la condotta di chi presenti all’ufficiale di stato civile in Italia un certificato di nascita redatto all’estero che indichi come genitori quelli c.d. “d’intenzione” senza riferimenti alla madre naturale (Cass., Sez. VI, n. 31409 del 13 ottobre 2020, che conferma una pronuncia già resa dalla stessa Sezione nell’ottobre 2016, la n. 48696 ed altra ancora resa dalla Sezione V, n. 13525 del 10 marzo 2016). Secondo gli ermellini: «Ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’art. 567, comma secondo, cod. pen., è necessaria un’attività materiale di alterazione di stato che costituisca un “quid pluris” rispetto alla mera falsa dichiarazione e si caratterizzi per l’idoneità a creare una falsa attestazione, non potendosi considerare ideologicamente falso il certificato conforme alla legislazione del paese di nascita del minore, neppure nel caso in cui la procreazione sia avvenuta con modalità non consentite in Italia». E questo nonostante la sentenza delle Sezioni Unite civili n. 12193 del 2019, che come noto, senza toccare il tema della sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi del reato, ha ritenuto la contrarietà all’ordine pubblico del riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero che abbia accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato in Ucraina mediante il ricorso alla maternità surrogata e il genitore cittadino italiano.

Con le stesse pronunce la Suprema Corte lascia intendere che neppure il ricorso alla contestazione ex art. 495[2] cod. pen. ‒ falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri – sarebbe ritenuta fondata, mentre è interessante osservare che nel 1967 la stessa Corte di Cassazione non aveva dubbi in proposito ed affermava in modo lapidario, nella pronuncia n. 919 del 9 giugno che «costituisce delitto di falsità ex art. 495 cod. pen. la falsa dichiarazione resa all’ufficiale di stato civile intesa alla formazione di un atto di nascita, nel quale si faccia apparire come madre persona diversa da quella vera».

 

  1. La maternità surrogata è vietata, ma il divieto viene aggirato: cosa fare?

 

Tirando le fila, l’incriminazione della GPA in Italia esiste ma non funziona; il ricorso alla maternità surrogata è reato, ma di fatto – a legislazione e giurisprudenza invariate – non lo si punisce. A fronte del problema, le soluzioni percorribili sono numerose e l’obiettivo del presente contributo è quello di vagliarle.

Certamente la situazione contingente vede l’attuale Governo del nostro Paese potenzialmente propenso ad una tale scelta ‒ si veda in proposito il messaggio inviato dalla premier Meloni in occasione del convegno organizzato dal Centro Studi Livatino a proposito della crisi della natalità in Italia e negli Usa[3] ‒ mentre molto più ardua sarebbe l’intesa con altri Paesi, con governi di altra ispirazione, soprattutto in tema di difesa della vita e della famiglia, in vista della creazione di una fattispecie di reato c.d. “universale” o quanto meno sovra nazionale.

Vediamo dunque quali potrebbero essere le soluzioni prospettabili.

1) L’utilizzo in Italia di un’altra fattispecie incriminatrice, diversa da quelle di cui all’art. 12 comma 6 del D. Lgs. 159/2001, all’art. 495 cod. pen. e all’art. 567 comma 2 cod. pen.: sarebbe interessante una verifica di resistenza del ricorso alla maternità surrogata a fronte di contestazione ai sensi dell’art. 601[4] cod. pen. o 602[5] cod. pen.: sono norme immaginate ed applicate per il contrasto al fenomeno della tratta di persone, eppure sembrerebbero attagliarsi bene al caso del ricorso alla GPA, dove effettivamente il nascituro viene fatto oggetto di una compravendita e trattato alla stregua di un bene commerciabile. Peraltro, l’art. 604 cod. pen. stabilisce che le norme precedenti sono applicabili anche quando il fatto è commesso all’estero da cittadino italiano.

Tuttavia, nell’esercitare l’azione penale per il ricorso alla GPA ai sensi dell’art. 601 o 602 cod. pen. si porrebbero forse tre ordini problemi: il primo, quello della specialità della norma ex art. 12 comma 6 legge 40 del 2004; il secondo, quello dell’equiparazione tra persona e nascituro, essendo vietata l’interpretazione estensiva analogica delle norme incriminatrici; il terzo, difficilmente superabile, quello del dolo specifico richiesto dalla fattispecie di cui all’art. 601 del codice penale.

2) Il ricorso ad una nuova figura di reato universale o sovranazionale, in sede convenzionale: si tratterebbe della soluzione più semplice e che garantirebbe i risultati più certi, ma evidentemente richiederebbe il ricorso ad un accordo con altri Stati in sede convenzionale che appare difficilmente percorribile, per il fatto che in alcuni paesi la maternità surrogata è già normata e considerata (a diverse condizioni a seconda dello Stato straniero di cui si tratta) lecita, nonché per un problema di opzione culturale di fondo di numerosi governi europei e non.

Vale la pena in questa sede ricordare che la normazione in materia penale, in sede convenzionale, non è stata devoluta all’Unione dagli Stati facenti parte dell’Unione Europea: dunque, ammesso ed evidentemente non concesso che in sede euro-unitaria vi fosse l’intenzione di perseguire in modo efficace le pratiche di maternità surrogata, rebus sic stantibus non sarebbe possibile la creazione di una fattispecie di “reato europeo”.

3) la modifica in senso migliorativo delle fattispecie esistenti: una terza possibilità ‒ verosimilmente quella più immediatamente praticabile ‒ è quella di intervenire sulle fattispecie esistenti, essenzialmente gli articoli 12 legge 40 del 2004 e/o 567 cod. pen., modificandole per adattarle ai segnali che sono pervenuti della giurisprudenza, che le ha ritenute finora inapplicabili.

Per andare in tale direzione sarebbe necessario dare rilievo a condotte commesse all’estero, ed in linea generale va osservato che l’idea della punibilità di un reato commesso all’estero non è estranea al nostro ordinamento. In tal senso si muove la proposta di legge n. 887, presentata alla Camera dei Deputati, che vede come prima firmataria l’on. le Carolina Varchi.

Innanzi tutto, ci sono le regole generali degli artt. 8-10 del codice penale che riguardano il “delitto politico commesso all’estero” (art. 8 cod. pen.), il “delitto comune del cittadino all’estero” (art. 9 cod. pen.)[6], il “delitto comune dello straniero all’estero” (art. 10 cod. pen.); nel caso sopra citato portato all’attenzione della Suprema Corte nel 2020, si discuteva appunto di un delitto comune, quello dell’art. 12 co. 6 legge 40 del 2004, commesso da cittadini italiani in Ucraina, ed il caso era stato ritenuto improcedibile in mancanza di apposita richiesta del Ministro della Giustizia.

Ma vi sono anche norme della parte speciale del codice penale – la mente corre all’art. 604 cod. pen. già citato, all’art. 574 bis che incrimina la sottrazione e trattenimento di un minore all’estero, e nella c.d. legislazione speciale, sopra tutto in materia di immigrazione ed in materia fiscale, che incriminano tout court azioni commesse dal cittadino all’estero.

4) Il ricorso ad una fattispecie nuova nel contesto del diritto penale italiano: un’ulteriore soluzione, pure percorribile, è quella dell’abrogazione dell’art. 12 comma 6 legge 40 del 2004 e della scrittura di una nuova norma incriminatrice. L’ipotesi meriterebbe un lungo approfondimento, una riflessione ad hoc ed un contributo specificamente dedicato, ma in sintesi potrebbe trattarsi di un nuovo art. 567 bis cod. pen. da inserire nel codice penale nel capo III del Titolo XI – “dei delitti contro lo Stato di famiglia”.

Si tratterebbe di una norma finalizzata alla repressione penale del ricorso alla maternità surrogata da costruire, a parere di chi scrive, come fattispecie a dolo specifico. Dal punto di vista della condotta, la norma dovrebbe essere incentrata non tanto sul commercio di gameti ed embrioni o sul generico ricorso alle pratiche di maternità surrogata – com’è oggi l’art. 12 comma 6 legge 40 del 2004 – ma sul momento dell’introduzione in Italia, con seguente tentativo di iscrizione anagrafica o di altre pratiche amministrative comunque finalizzate all’esercizio di attribuzioni corrispondenti alla responsabilità genitoriale, del minore generato da madre estranea e previo accordo commerciale o non – in modo da coprire anche le pratiche di GPA asseritamente a titolo gratuito e liberale.

In questo modo risulterebbe irrilevante il fatto, attualmente ostativo ad una concreta repressione del fenomeno, che l’accordo economico, la fecondazione e la gestazione siano eventi interamente esauriti all’estero.

L’ipotetica norma di nuova introduzione dovrebbe a mio parere poi essere dotata di un capoverso, id est di un secondo comma, specificamente dedicato all’incriminazione delle pratiche di intermediazione e sponsorizzazione – evidentemente commesse in Italia – del ricorso alla maternità surrogata.

 

  1. Conclusioni

 

Il ricorso alla maternità surrogata oggi in Italia è previsto come reato, ma non è efficacemente punibile e perseguibile a causa di limiti delle norme esistenti che sono intrinseci (per come sono scritte, per i limiti di territorialità del diritto penale, per il generale divieto di interpretazione analogica in malam partem) ed estrinseci (l’interpretazione giurisprudenziale, la ritrosia finora palesata dai Ministri della Giustizia a muovere la richiesta di cui all’art. 9 co. 2 codice penale).

Le possibili soluzioni al problema sono molteplici e variamente percorribili, sol che ci sia la volontà politica di rendere efficace la repressione del fenomeno, sgombrando il campo dagli equivoci di fondo che consentono l’esistenza di un articolato dibattito sul tema. C’è infatti chi propugna e sostiene il ricorso alla maternità surrogata, sostanzialmente adottando il punto di vista errato e cioè quello dei diritti del bambino nato da tecniche di maternità surrogata. È evidente che di fronte al fatto compiuto il nato ha gli stessi diritti di ogni altro essere umano e non deve crescere additato come figlio della colpa; ma è altrettanto evidente che la tutela del minore – di certo da garantire, eventualmente come ha indicato la Cassazione con il ricorso allo specifico strumento giuridico dell’adozione in casi particolari – nulla ha a che fare con la liceità del ricorso alla maternità surrogata.

Del resto, se ci si ponesse unicamente dal punto di vista del minore che eventualmente è cresciuto con quelli che ritiene i suoi genitori e magari ci si è affezionato, non sarebbe diversa la situazione di chi non sa di essere stato rapito da neonato; eppure, non sussistono dubbi sull’illiceità del rapimento.

La repressione penale ha una specifica finalità general preventiva e dunque le norme vengono scritte ed applicate per evitare a monte che i comportamenti incriminati vengano messi in pratica.

Nel caso specifico si tratta di reprimere una pratica che, come hanno scritto i Giudici della Suprema Corte, «quali che siano le modalità della condotta e gli scopi perseguiti, offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane».

Insomma, si tratta di abbandonare ogni ipocrisia e vivere fino in fondo il difficile mestiere di uomini.

 

* Contributo sottoposto a valutazione.

 

[1] «…omissis Si applica la reclusione da cinque a quindici anni a chiunque, nella formazione di un atto di nascita, altera lo stato civile di un neonato, mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsità».

[2] «chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni. La reclusione non è inferiore a due anni: 1) se si tratta di dichiarazioni in atti dello stato civile…omissis».

[3] Scrive la premier Giorgia Meloni: «… vogliamo una nazione in cui non sia più scandaloso dire… che la maternità non è in vendita, gli uteri non si affittano, i figli non sono prodotti da banco…». Il testo integrale del messaggio è reperibile su https://www.centrostudilivatino.it/convegno-sulla-famiglia-tra-italia-e-stati-uniti-i-messaggi-di-meloni-la-russa-e-fontana/.

[4] «È punito con la reclusione da otto a venti anni chiunque recluta, introduce nel territorio dello Stato, trasferisce anche al di fuori di esso, trasporta, cede l’autorità sulla persona … omissis …  mediante inganno, violenza, minaccia, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità fisica, psichica o di necessità, o mediante promessa o dazione di denaro o di altri vantaggi alla persona che su di essa ha autorità, al fine di indurle … omissis… al compimento di attività illecite che ne comportano lo sfruttamento o a sottoporsi al prelievo di organi».

[5] «chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo 601, acquista o aliena o cede una persona che si trova in una delle condizioni di cui all’articolo 600 è punito con la reclusione da otto a venti anni».

[6] «Il cittadino, che, fuori dei casi indicati nei due articoli precedenti, commette in territorio estero un delitto per il quale la legge italiana stabilisce l’ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni, è punito secondo la legge medesima, sempre che si trovi nel territorio dello Stato. Se si tratta di delitto per il quale è stabilita una pena restrittiva della libertà personale di minore durata, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della giustizia ovvero a istanza o a querela della persona offesa… omissis».