Arnaldo Morace Pinelli
Avvocato in Roma e Professore Ordinario di Diritto privato
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

Maternità surrogata: le ragioni di un divieto che non confligge con l’insopprimibile esigenza di tutela di colui che nasce dalla pratica illecita*

 

Sommario: 1. I motivi del divieto. La maternità surrogata instaura sulla vita della gestante e del nato un inaccettabile potere privato di controllo in contrasto  con principi fondamentali dell’ordinamento − 2. Segue: la gestante è strumentalizzata al bisogno di genitorialità della coppia committente – 3. Il recente intervento delle Sezioni Unite – 4. L’esigenza di tutela di colui che nasce dalla pratica illecita.

 

 

 

  1. I motivi del divieto. La maternità surrogata instaura sulla vita della gestante e del nato un inaccettabile potere privato di controllo in contrasto con principi fondamentali dell’ordinamento

 

Secondo il nostro auspicio[1], le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, chiamate nuovamente a pronunciarsi, dopo brevissimo tempo[2], sulla legittimità della pratica della maternità surrogata sperimentata all’estero, hanno ribadito le persistenti ragioni del divieto espresso dall’art. 12 l. n. 40/2004 e la sua collocazione tra i principi d’ordine pubblico ostativi al riconoscimento e alla trascrizione nei registri dello stato civile in Italia dei provvedimenti che attribuiscono lo status filiationis, nel caso in cui la coppia sia ricorsa a tale pratica di PMA all’estero[3],

Il legislatore, collocandosi nella medesima posizione, ha in animo di ampliare l’ambito di operatività dell’art. 12, comma 6, l. n. 40/2004, affermando la perseguibilità del reato di surrogazione di maternità anche se commesso all’estero dal cittadino italiano[4].

L’illiceità della peculiare pratica procreativa – come vedremo – non interferisce in alcun modo con il distinto problema della salvaguardia di colui che nasce ricorrendo ad essa, che non ha colpa della violazione del divieto e – come rilevava un illustre Maestro − è «bisognoso di tutela come ogni altro e più di ogni altro», benché il legislatore, in questa materia, si sia limitato a vietare e sanzionare, mentre «avrebbe dovuto… regolare la sorte del nato malgrado il divieto»[5]. L’insopprimibile esigenza di tutela del minore non implica in alcun modo il superamento, diretto o indiretto, del divieto di maternità surrogata, ripetutamente affermato dalla Corte costituzionale e dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

Tale pratica procreativa si fonda su un contratto «con il quale una donna si presta ad essere fecondata artificialmente, per poi consegnare alla coppia committente il nato», contratto che, nel nostro ordinamento, non solo è vietato ma anche penalmente sanzionato (art. 12, n. 6, L. n. 40/2004)[6], in quanto − come è stato recentemente ribadito della Corte costituzionale − «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane»[7], «assecondando un’inaccettabile mercificazione del corpo, spesso a scapito delle donne maggiormente vulnerabili sul piano economico e sociale»[8].

La contrarietà all’ordine pubblico della maternità surrogata, ostativa al riconoscimento e alla trascrizione nei registri dello stato civile in Italia dei provvedimenti che attribuiscono lo status filiationis, nel caso in cui la coppia sia ricorsa a tale pratica di PMA all’estero, non riposa soltanto nell’art. 12, L. n. 40/2004, che introduce il reato di intermediazione commerciale in tale materia, ma affonda radici profonde nel diritto civile,[9] come dimostra il fatto che dottrina e giurisprudenza predicavano l’invalidità degli accordi di maternità surrogata ben prima dell’entrata in vigore della L. n. 40/2004[10].

In estrema sintesi, la maternità surrogata instaura sulla vita del bambino e della gestante un inammissibile potere privato di controllo. Essa si fonda su un contratto con cui si dispone di diritti inviolabili, efficace nei confronti di un soggetto estraneo all’accordo e vulnerabile: il nascituro. Il rapporto di filiazione origina da un contratto, sul presupposto che l’autodeterminazione procreativa dei committenti sia sufficiente a costituire lo status.

Il rilievo giuridico che si pretende di attribuire al progetto genitoriale dei committenti implica, necessariamente, l’assorbimento dell’interesse del figlio in quello dei genitori. Proprio ciò che finisce per affermare quella parte della giurisprudenza che, in questi casi, fa coincidere il preminente interesse del minore con la conservazione dello status filiationis, in qualsiasi modo acquisito all’estero[11]. Dalla condivisibile premessa che le conseguenze della «violazione delle prescrizioni e dei divieti posti dalla legge n. 40 del 2004 − imputabile agli adulti che hanno fatto ricorso ad una pratica fecondativa illegale in Italia − non possono ricadere su chi è nato», si fa discendere, alla stregua di un corollario, il principio per cui l’interesse del minore sarebbe tutelato attraverso un automatismo, ossia mediante il riconoscimento e la trascrizione nei registri dello stato civile in Italia del provvedimento che attribuisce lo status filiationis, validamente formato all’estero, indipendentemente dal fatto che i genitori siano ricorsi ad una pratica di p.m.a. vietata in Italia[12]. Agitando la formula del best interest of the child − di cui non si è mancato di sottolineare l’ontologica vaghezza − si finisce con l’ammettere la surrogazione di maternità[13], seppure circoscrivendo la mercificazione ai corpi di donne straniere e, soprattutto, si legittimano ex post le scelte degli adulti, al di fuori di qualsiasi valutazione in concreto dell’effettivo interesse del minore nato dalla pratica illecita[14]. Come è stato autorevolmente rilevato, l’indiscriminata tutela dei best interests of the child, «nella sua ambiguità, può in ultima analisi rivelare un profilo sconcertante: quello di servire da immagine pietosa e accattivante di realizzazione… di uno dei più inquietanti pretesi principi: il c.d. diritto alla genitorialità»,[15] che non trova, peraltro, asilo nel nostro ordinamento[16].

A ben vedere, dunque, la maternità surrogata postula un controllo proprietario dell’esistenza. L’accordo di surrogazione «ha come prestazione caratterizzante la generazione di un essere umano dotato di certe proprietà fisiche (costituzione genetica) e giuridiche (stato filiale) e come scopo la costituzione, modificazione estinzione di diritti e doveri genitoriali»[17]. Da questo punto di vista, l’invalidità dell’accordo sussiste indipendentemente dal fatto che esso sia stipulato a titolo oneroso o a titolo gratuito.

Questo potere degli adulti (i committenti) sulla vita del bambino (e della gestante) si pone in aperto conflitto con il diritto contemporaneo della filiazione, che procede in una direzione opposta, ossia quella del controllo del potere dei genitori sui figli[18]. L’autonomia privata si espande nei rapporti simmetrici [all’ampia facoltà di scelta degli adulti tra i modelli di convivenza (matrimonio, unioni civili, convivenze regolate dal diritto, mere convivenze eterologhe o omoaffettive), si affianca una significativa libertà nella determinazione di diritti e doveri e nello scioglimento del rapporto], mentre i rapporti tra figli e genitori sono presidiati da norme inderogabili e dal rilievo che assume lo status filationis, inteso quale sintesi di situazioni giuridiche indisponibili dai privati[19].

La riforma Bianca sulla filiazione del 2012 proietta definitivamente l’ordinamento sulla persona del minore. Il nuovo art. 315-bis c.c. enuncia lo statuto dei diritti fondamentali del figlio come persona, mentre in passato «la posizione giuridica del figlio veniva identificata solo relativamente ai doveri dei genitori e agli obblighi delle prestazioni alimentari»[20]. Il figlio viene posto al centro del sistema, ultimandosi il passaggio da una concezione del minore, quale soggetto debole da tutelare, a quella di individuo, titolare di diritti soggettivi, che l’ordinamento salvaguarda ed è chiamato a promuovere[21]. Ed i suoi diritti, scolpiti nell’art. 315-bis c.c. (il diritto ad essere mantenuto, educato, istruito ed assistito moralmente dai genitori, il diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti, il diritto all’ascolto) rientrano nel novero di quelli fondamentali della persona e sono garantiti dall’art. 2 Cost.

Questa visione minori-centrica si ripercuote anche nel rapporto con i genitori, focalizzato sulla persona del figlio e sulla prevalenza dei suoi diritti. Costituisce portato fondamentale della riforma del 2012 la sostituzione della nozione di potestà, evocativa di un potere sul minore, con quella di responsabilità genitoriale, che evidenzia invece l’impegno che l’ordinamento richiede ai genitori, non identificabile «come una ‘potestà’ sul figlio minore, ma come un’assunzione di responsabilità da parte dei genitori nei confronti del figlio»[22]. Questa sostituzione lessicale assume una valenza culturale profonda, segnando il radicale mutamento di prospettiva operato dalla riforma: nel rapporto genitori-figlio l’ordinamento si colloca dalla parte del minore, in virtù del superiore interesse di cui questi è portatore.

La centralità della posizione del minore, quale soggetto titolare di diritti fondamentali garantiti dall’art. 2 Cost., permea anche la legge sull’adozione. L’art. 1, L. n. 184/1983 proclama solennemente il suo diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia e l’inclusione di un siffatto diritto nello speciale statuto dell’art. 315-bis c.c. conferma che ci troviamo in presenza di un diritto fondamentale della persona, essendo la famiglia «un bene essenziale per la vita affettiva e per l’armoniosa formazione» del minore[23].

Quando la famiglia manca o l’ambiente familiare è irrecuperabile, «il minore abbandonato ha diritto ad essere adottato perché ha diritto ad una famiglia, come enunciato dal titolo della legge, e ha diritto ad una famiglia perché solo una famiglia può dargli quell’amore di cui ha fondamentalmente bisogno»[24]. Il diritto del minore alla propria famiglia si specifica, poi, nel diritto alla bigenitorialità, ossia alla doppia figura genitoriale, espressamente sancito, nel caso di crisi del rapporto che lega i genitori, dall’art. 337-ter c.c.

Il nostro ordinamento conosce, dunque, il diritto del figlio di crescere nella sua famiglia, mantenendo un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei suoi genitori e le essenziali relazioni affettive che instaura e − prima ancora − il suo diritto ad avere una famiglia e, dunque, ad essere adottato, ove si trovi in stato d’abbandono. Benché innegabilmente il progresso tecnologico sia capace «di offrire concreta e palpitante attuazione a una cultura del desiderio nel campo della procreazione umana»,[25] non esiste, un diritto dell’individuo ad avere figli (il c.d. “diritto alla genitorialità”) e, più segnatamente, un diritto ad adottare[26], che − anche nella sua teorica postulazione − svilisce la posizione e la dignità del figlio, riducendo la sua persona ad oggetto di un diritto altrui[27]. Ciò significa che l’interesse giuridicamente rilevante ad adottare, certamente configurabile, «può essere soddisfatto solo se e in quanto sia adeguatamente realizzato il diritto del minore ad essere adottato»[28].

Se questo è il sistema, non vi è spazio per un contratto, quale è quello di maternità surrogata, che instaura sulla vita del bambino (e della gestante) un potere privato di controllo esercitato dalla coppia committente.

 

  1. Segue: la gestante è strumentalizzata al bisogno di genitorialità della coppia committente

 

La maternità surrogata confligge, più in generale, con i valori fondamentali espressi dagli artt. 2 e 29 Cost. L’ordinamento guarda alla persona umana come a un valore in sé e non come a un semplice mezzo per il soddisfacimento dell’altrui interesse. La gestante non è strumentalizzabile ai bisogni di genitorialità della coppia committente.

Sotto tale profilo si coglie la lesione della dignità della donna, da declinarsi in termini oggettivi e non soggettivi. Anche quando la gestante è libera dal bisogno e mossa da animo solidale (ipotesi alquanto teorica e comunque eccezionale) ci troviamo in presenza di una maternità che non è liberamente desiderata: la fecondità personale è subordinata a un progetto di altri, titolari del prodotto (il bimbo), i quali dettano le condizioni della produzione (la gestazione).

Sempre, indipendentemente dal carattere oneroso o gratuito/solidale della singola pratica procreativa, si assiste ad una inammissibile oggettivazione/mercificazione del corpo della donna, strumentalizzato per appagare il desiderio di genitorialità dei committenti, e alla reificazione del minore, gestito alla stregua di un bene, il cui destino è segnato dalle clausole di un atto d’autonomia privata: il contratto di maternità surrogata.

È, dunque, lesa anche la dignità del nascituro. Senza addentrarci nell’ardua questione se l’embrione umano sia persona, soggetto di diritto o nulla di tutto ciò, è certo che, anche prima dell’impianto, ne viene riconosciuta la dignità, «quale entità che ha in sé il principio della vita»[29], valore «di rilievo costituzionale riconducibile al precetto generale dell’art. 2 Cost.»[30]. Per questo motivo l’embrione è fatto oggetto di precise tutele (artt. 13 e 14, L. n. 40/2004) e soltanto la necessità di salvaguardare il diritto alla salute della donna (che è già persona e dunque prevale sull’embrione, che persona ancora deve diventare) consente un affievolimento della tutela e, quindi, l’interruzione della PMA, con il rifiuto dell’impianto[31] (l’embrione non può però essere soppresso: art. 13, L. n. 40/2004), ovvero, ove questo sia avvenuto, con il ricorso all’aborto.

Se, poi, si ritiene che il rapporto materno sia creato dalla gestazione, la sottrazione del figlio alla madre uterina è anche lesiva dell’interesse del minore «a mantenere il rapporto materno già naturalmente costituito e vissuto»[32]. In effetti, nel caso di fecondazione eterologa la legge stabilisce chi è il padre e chi la madre (artt. 6, 8 e 9, L. n. 40/2004). Nulla dice, invece, con riguardo al nato da maternità surrogata e notoriamente la dottrina è divisa tra coloro che ritengono che madre sia la gestante[33] e coloro secondo i quali «paternità e maternità, e così lo stato del nato, debbano riportarsi a chi ha concorso alla fecondazione e quindi alla creazione dell’embrione»[34]. Un siffatto nodo può essere sciolto soltanto dal legislatore, chiamato anche a decidere il ruolo che deve essere assegnato al genitore d’intenzione.

 

  1. Il recente intervento delle Sezioni Unite

 

La Corte di Cassazione, nella pronuncia a Sezioni Unite del dicembre 2022,  ha confermato la persistenza del divieto di maternità surrogata e la sua assolutezza: qualsiasi forma di maternità surrogata, onerosa, gratuita o solidale, in quanto lesiva della dignità della gestante, è contraria all’ordine pubblico internazionale[35]. Diversamente dalle altre tecniche di PMA, essa postula «la collaborazione di una donna estranea alla coppia, che presta il proprio corpo per condurre a termine una gravidanza e partorire un bambino non per sé ma per un’altra persona… L’operazione che tende a cancellare il rapporto tra la donna e il bambino che porta in grembo, ignorando i legami biologici e psicologici che si stabiliscono tra madre e figlio nel lungo periodo della gestazione e così smarrendo il senso umano della gravidanza e del parto, riducendo la prima a mero servizio gestazionale e il secondo a atto conclusivo di tale prestazione servente, costituisce una ferita alla dignità della donna». Ne lede anche la libertà, giacché «durante la gravidanza essa è sottoposta a una serie di limiti e di controlli sulla sua alimentazione, sul suo stile di vita, sulla sua astensione dal fumo e dall’alcol e subito dopo il parto è oggetto di limitazioni altrettanto pesanti causate dalla privazione dell’allattamento e dalla rescissione immediata di ogni rapporto con il bambino».

Il divieto contenuto nell’art 12, comma 6, l. n. 40/2004 «esprime l’esigenza di porre un confine al desiderio di genitorialità ad ogni costo, che pretende di essere soddisfatto attraverso il corpo di un’altra persona utilizzato come mero supporto materiale per la realizzazione di un progetto altrimenti  irrealizzabile»[36].

Per tali motivi, come anche a noi pare ragionevole, le Sezioni Unite hanno affermato che la dignità della donna è lesa sempre dalla peculiare pratica procreativa, indipendentemente dalle motivazioni che la muovano al parto ed, in particolare, dalla natura gratuita o onerosa del contratto di maternità surrogata. Il legislatore italiano, infatti, «nel disapprovare ogni forma di maternità surrogata, ha inteso tutelare la dignità della persona umana nella sua dimensione oggettiva, nella considerazione che nulla cambia per la madre e per il bambino se la surrogazione avviene a titolo oneroso o gratuito. Indipendentemente dal titolo, oneroso o gratuito, e dalla situazione in cui versa la gestante (eventuale stato di bisogno), la riduzione del corpo della donna ad incubatrice meccanica, a contenitore di una vita destinata ad altri, ne offende la dignità… Nella maternità surrogata il bene tutelato è la dignità di ogni essere umano, con evidente preclusione di qualsiasi possibilità di rinuncia da parte della persona coinvolta».  

 

  1. L’esigenza di tutela di colui che nasce dalla pratica illecita

 

Occorre muovere da un punto fermo: la mancata trascrizione del provvedimento straniero non è lesiva del superiore interesse del minore. Innanzitutto – chiariscono le Sezioni Unite − nella non trascrivibilità del provvedimento si esprime la legittima finalità dell’ordinamento «di disincentivare il ricorso alla pratica della maternità surrogata, che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane, assecondando un’inaccettabile mercificazione del corpo, spesso a scapito delle donne maggiormente vulnerabili sul piano economico e sociale». In secondo luogo e soprattutto, il riconoscimento automatico del rapporto di filiazione con il genitore d’intenzione non risulta «funzionale alla realizzazione del miglior interesse del minore, attuando semmai quello degli adulti che aspirano ad avere un figlio a tutti i costi».

È, del resto, «difficile giustificare l’accertamento del rapporto di filiazione adducendo l’interesse del minore», quando manchi il nesso biologico, come avviene con riguardo al genitore d’intenzione.[37] Non entra in gioco, in tal caso, il diritto del nato ad avere una famiglia, giacché egli ha già un genitore biologico. Vi è piuttosto da tutelare il suo diritto a mantenere un legame per lui fondamentale e, in tale prospettiva, come correttamente riconoscono le Sezioni Unite, «l’instaurazione della genitorialità e il giudizio sulla realizzazione del miglior interesse del minore non si coniugano con l’automatismo e con la presunzione, ma richiedono una valutazione di concretezza», ossia «il riscontro del preminente interesse del bambino a continuare, con la veste giuridica dello status, un rapporto di cura e di affettività che, già nei fatti, si atteggia a rapporto genitoriale». Altrimenti l’acquisto della genitorialità verrebbe a fondarsi «sulla sola scelta degli adulti, anziché su una relazione affettiva già di fatto instaurata e consolidata»[38].

Secondo la giurisprudenza[39], l’obiettiva esigenza di salvaguardare colui che nasce dalla pratica illecita è soddisfatta consentendo al genitore d’intenzione il ricorso alla c.d. stepchild adoption, preservandosi in tal modo «la continuità della relazione affettiva ed educativa», eventualmente instauratasi con il minore[40], nell’esclusivo interesse di quest’ultimo. L’esistenza di siffatta relazione, giustificante l’adozione particolare, deve essere accertata in concreto, di volta in volta, dal Giudice minorile, verificando che il genitore d’intenzione sia diventato genitore sociale, avendo costruito con il minore un rapporto essenziale alla sua crescita ed allo sviluppo della sua personalità.

Siffatta soluzione, tuttavia, si è scontrata con la peculiare disciplina dell’adozione in casi particolari, istituto eccezionale inidoneo a tutelare con pienezza il minore,[41] come anche stigmatizzato dalla Corte costituzionale.[42] L’adozione particolare, nella sua formulazione originaria, non istituisce un rapporto di parentela tra l’adottato e la famiglia dell’adottante e neppure tra l’adottante e la famiglia dell’adottato (art. 300 c.c. e art. 55 l. adoz.). Inoltre, la costituzione del rapporto di filiazione giuridica è rimesso alla volontà dell’adottante e dipende dall’assenso del genitore biologico, che potrebbe non prestarlo, in caso di crisi della coppia (art. 46 l. adoz.).

La stessa Corte costituzionale, tuttavia, in un’importante pronuncia del 2022, ribadite le ragioni del divieto di maternità surrogata, ha posto in luce come la scelta operata dal diritto vivente del ricorso all’istituto dell’adozione in casi particolari abbia il pregio di «tenere in equilibrio molteplici istanze implicate nella complessa vicenda» e al contempo «di garantire una piena protezione all’interesse del minore»[43]. Lungi «dal dare rilevanza al solo consenso e dall’assecondare attraverso automatismi il mero desiderio di genitorialità», l’adozione particolare «dimostra una precipua vocazione a tutelare l’interesse del minore a mantenere relazioni affettive già di fatto instaurate e consolidate», presupponendo «un giudizio sul migliore interesse del minore e un accertamento sull’idoneità dell’adottante»[44].

Conscia, tuttavia, della necessità di un adeguamento dell’istituto, siffatta pronuncia ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 55 l. adoz., nella parte in cui, mediante il rinvio all’art. 300, comma 2, c.c., escludeva la parentela tra l’adottato e la famiglia dell’adottante, rimuovendo uno dei principali ostacoli all’effettività della tutela offerta dall’adozione in casi particolari. In tal modo il minore si avvantaggia delle garanzie personali e patrimoniali che discendono dal riconoscimento giuridico dei legami parentali ed è, al contempo, salvaguardata l’identità che gli deriva dall’inserimento nell’ambiente familiare adottivo.

La Corte costituzionale ha, dunque, indicato la strada, che non è quella della delibabilità/trascrizione dei provvedimenti stranieri, secondo un più o meno accentuato automatismo funzionale ad «assecondare … il mero desiderio di genitorialità” degli adulti, che ricorrono all’estero alla pratica vietata nel nostro ordinamento, ma di riformare l’adozione particolare, istituto per sua natura volto alla realizzazione del preminente interesse del minore (art. 57, comma 1, l. adoz.) e capace di tenere in equilibrio i molteplici valori in conflitto, garantendo la piena protezione di tale interesse»[45].

La Corte costituzionale ha lasciato al legislatore il difficile bilanciamento dei valori in gioco (disincentivazione della maternità surrogata e tutela del minore nato dal ricorso a tale pratica all’estero). Ha posto l’accento su questo secondo valore e, allo scopo di realizzare la migliore tutela del minore, si è concentrata sull’istituto dell’adozione particolare, la cui disciplina non implica alcun confronto con il divieto di surrogazione di maternità.

Su questa strada si sono correttamente collocate le Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Con la pronuncia del dicembre 2022, si sono concentrate sull’ulteriore profilo di inadeguatezza della disciplina dell’adozione particolare, rappresentato dall’impossibilità di costituire il rapporto adottivo in mancanza dell’assenso del genitore biologico, richiesto dall’art. 46 l. adoz. ai fini del perfezionamento della procedura; assenso che potrebbe mancare in situazioni di sopravvenuta crisi della coppia. Collegando – secondo un’impostazione dottrinale[46] − tale norma all’art. 57 l. adoz., che impone di valutare sempre, nell’adozione, il superiore interesse del minore, le Sezioni Unite hanno condivisibilmente affermato che «il dissenso alla costituzione del legame di filiazione adottiva da parte del genitore biologico esercente la responsabilità genitoriale non può essere espressione di un volere meramente potestativo, ma va collocato in una dimensione funzionale», dovendosi valutare l’effetto ostativo del dissenso dell’unico genitore biologico «esclusivamente sotto il profilo della conformità dell’interesse del minore, secondo il modello del dissenso al riconoscimento». Con la conseguenza che «il genitore biologico potrebbe negare l’assenso all’adozione del partner solo nell’ipotesi in cui quest’ultimo non abbia intrattenuto alcun rapporto di affetto e di cura nei confronti del nato, oppure abbia partecipato solo al progetto di procreazione ma abbia poi abbandonato il partner e il minore»[47].

Resta dunque aperta un’ultima questione: l’adozione muove dalla persona dell’adottante ed il minore non può rivendicare la costituzione del rapporto genitoriale, con evidente deficit di tutela.

Autorevolmente è stato da tempo sostenuto che, di fronte all’inerzia del genitore d’intenzione, il rimedio è rappresentato dal risarcimento del danno[48]. A nostro avviso, tuttavia, su questo punto, è indispensabile l’intervento del legislatore, invocato dalla Corte costituzionale[49]. Potrebbe, in ipotesi, essere riconosciuta al minore l’azione ex art. 279 c.c.[50], ovvero, nell’ottica di realizzare un ragionevole compromesso tra la tutela del nato ed il rispetto del divieto d’ordine pubblico di maternità surrogata, potrebbe essere introdotta una regola analoga a quella dell’art. 128, comma 2, c.c., in caso di matrimonio dichiarato nullo, che avrebbe il pregio di proteggere il minore senza favorire gli adulti che hanno agito violando la legge e ledendo i valori ad essa sottesi[51].

* Il presente lavoro riproduce, con l’aggiunta delle note, l’intervento al Convegno “La nuova stagione del diritto di famiglia”, tenutosi a Roma il 20 ottobre 2023, presso la Facoltà di giurisprudenza dell’Università Sapienza.

[1] A. Morace Pinelli, Le persistenti ragioni del divieto di maternità surrogata ed il problema della tutela di colui che nasce dalla pratica illecita. In attesa della pronuncia delle Sezioni Unite, in Fam. e dir., 2022, p. 1175 e ss. e in giustiziainsieme.it, 2022.

[2] Cass. SS.UU., 8 maggio 2019, n. 12193 già aveva affrontato compiutamente la questione.

[3] Cass. SS.UU., 30 dicembre 2022, n. 38162.

[4] Cfr. il Disegno di legge C.887, Varchi + altri, approvato dalla Camera dei Deputati il 26 luglio 2023, composto di un unico articolo del seguente tenore: «Al comma 6 dell’art. 12 della l. n. 40/2004, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Se i fatti di cui al periodo precedente, con riferimento alla surrogazione di maternità, sono commessi all’estero, il cittadino italiano è punito secondo la legge italiana”». Il Disegno di legge è attualmente all’esame del Senato della Repubblica (S824),

[5] G. Oppo, Procreazione assistita e sorte del nascituro, in G. Oppo, Scritti giuridici, VII, Padova, 2005, p. 49 ss.

[6] F. Gazzoni, La famiglia di fatto e le unioni civili. Appunti sulla recente legge, in www.personaedanno.it.

Osserva C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1, La famiglia, Milano, 2017, p. 445, che siffatto contratto è certamente invalido: «del concepito non si può infatti disporre già per l’assorbente rilievo che qui l’atto dispositivo avrebbe ad oggetto il futuro stato familiare del nascituro».

[7] Corte cost. 28 marzo 2022, n. 79; Corte cost. 9 marzo 2021, n. 33; Corte cost. 18 dicembre 2017, n. 272.

[8] Corte cost. 28 marzo 2022, n. 79, che richiama Corte cost. 8 marzo 2021, n. 33.

[9] Cfr. V. Calderai, Ordine pubblico internazionale e Drittwirkung dei diritti dell’infanzia, in Riv. dir. civ., 2022, p. 479 ss.

[10] M. Sesta, Norme imperative, ordine pubblico e buon costume: sono leciti gli accordi di surrogazione?, in Nuova giur. civ. comm., 2000, II, p. 203 ss.

[11] Cass. Civ. 30 settembre 2016, n. 19599.

[12] Cass. Civ. 30 settembre 2016, n. 19599.

[13] Corte App. Trento 23 febbraio 2017, in Foro it., 2017, I, p. 1034.

[14] G. Recinto, Le pericolose oscillazioni della Suprema Corte e della Consulta rispetto alla maternità surrogata, in Fam. e dir., 2021, p. 1009 ss.

[15] F.D. Busnelli, Immagini vecchie e nuove della tutela della salute del minore, in Studi in onore di Giuseppe Vettori, in www.personaemercato.it, p. 501 e ss.

[16] Corte cost. 9 marzo 2021, n. 33, precisa che «non è qui in discussione un preteso ‘diritto alla genitorialità’ in capo a coloro che si prendono cura del bambino»; Corte cost. 9 marzo 2021, n. 32, esclude propriamente «l’esistenza di un diritto alla genitorialità delle coppie dello stesso sesso»; Corte cost. 20 ottobre 2020, n. 230, secondo la quale «l’aspirazione della madre intenzionale ad essere genitore non assurge a livello di diritto fondamentale della persona nei sensi di cui al citato art. 2 Cost.». Corte Edu, Grande Camera, 24 gennaio 2017, Paradiso e Campanelli c./ Italia, in Foro it., 2017, IV, 105, afferma con cristallina chiarezza che la CEDU «non sancisce alcun diritto di diventare genitore» (par. 215).

Sul punto, cfr. il nostro Per una riforma dell’adozione, in Dir. fam., 2016, p. 720 ss. e, da ultimo, G. Recinto, Un diritto che ad oggi “non può trovare spazio”: il diritto alla genitorialità, in www.rivistadirittoereligioni.com, 2023.

[17] V. Calderai, Ordine pubblico, cit., p. 495.

[18] V. Calderai, Ordine pubblico, cit., p. 495 ss.

[19] M. Paradiso, Navigando nell’arcipelago familiare. Itaca non c’è, in Riv. dir. civ., 2016, p. 1306 ss., spec. par. 4. il figlio”.

[20] M. Bianca, Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico, in La riforma del diritto della filiazione (l. n. 219/12), in Nuove leggi civ., 2013, p. 509.

[21] Osserva C.M. Bianca, in Filiazione. Commento al decreto attuativo. Le novità introdotte dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a cura di M. Bianca, Milano, 2014, XVIII, che «l’art. 315 bis, ‘Diritti e doveri del figlio’, stabilisce il principio secondo il quale ‘il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni’. Viene introdotta una nuova prospettiva, ignota alla tradizionale nozione della potestà, che esalta il profilo dei diritti del figlio verso i genitori. Una nuova prospettiva in cui il richiamo al rispetto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio assume un significato più attento alla sua personalità».

[22] Così la Relazione illustrativa del D. Lgs. n. 154/2013.

[23] C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1, cit., p. 337.

[24] Così C.M. Bianca, Audizione alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati del 23 maggio 2016, nel corso dell’indagine conoscitiva diretta a verificare lo stato di attuazione delle disposizioni legislative in materia di adozioni ed affido.

[25] F.D. Busnelli, Immagini vecchie e nuove, cit., p. 501.

[26] Secondo la giurisprudenza della Corte Edu non esiste un diritto soggettivo di adottare. Cfr. Corte Edu 19 febbraio 2013, n. 19010, X c. Austria, in Corr. giur., 2013, 712; Corte Edu 27 aprile 2010, n. 16318; Corte Edu 22 gennaio 2008, n. 43546, E.D. c. Francia, in Dir. fam., 2008, 190; Corte Edu 26 febbraio 2002, n. 36515, Fretté c. Francia, in Familia, 2003, p. 521.

[27] La Corte costituzionale ha ribadito con la massima fermezza che già l’embrione umano in vitro non è una res ma un’«entità che ha in sé il principio della vita» e la cui «dignità… costituisce… un valore di rilevo costituzionale riconducibile al precetto generale dell’art. 2 Cost.» (Corte cost. 13 aprile 2016, n. 84; Corte cost. 6 ottobre 2015, n. 229).

[28] In tal senso, cfr. C.M. Bianca, Audizione, cit.

[29] Corte cost. 13 aprile 2016, n. 84; Corte cost. 11 novembre 2015, n. 229.

Cfr. pure Corte cost. 8 maggio 2009, n. 151.

[30] Corte cost. 13 aprile 2016, n. 84; Corte cost. 11 novembre 2015, n. 229.

[31] Corte cost. 8 maggio 2009, n. 151.

Cfr., in termini generali, Corte cost. 18 febbraio 1975, n. 27; Corte cost. 10 febbraio 1997, n. 35.

[32] C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1, cit., p. 445.

[33] C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1, cit., p. 445.

[34] G. Oppo, Procreazione assistita e sorte del nascituro, cit., p. 52.

[35] Cfr. Cass. SS.UU., 30 dicembre 2022, n. 38162, §§ 17 e 18.

[36] Ribadiscono, condivisibilmente, le Sezioni Unite che «il desiderio di una persona di avere un figlio, per quanto nobile, non può realizzarsi al costo dei diritti di altre persone».

[37] C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1, cit., p. 447.

[38] Cfr. Cass. SS.UU., 30 dicembre 2022, n. 38162, § 21.3.

[39] Cass. SS.UU., 8 maggio 2019, n. 12193.

[40] Così già Corte cost. 18 dicembre 2017, n. 272.

[41] Cfr. il nostro La filiazione da p.m.a. e gli spinosi problemi della maternità surrogata e della procreazione post mortem, in Foro it., 2019, I, 3357 ss.

[42] Corte cost. 9 marzo 2021, n. 33.

[43] Corte cost. 28 marzo 2022, n. 79.

[44] Corte cost. 28 marzo 2022, n. 79.

[45] Corte cost. 28 marzo 2022, n. 79.

[46] A. Morace Pinelli, Le persistenti ragioni del divieto di maternità surrogata, cit., p. 1183.

[47] Cfr. Cass. SS.UU., 30 dicembre 2022, n. 38162, § 11.

[48] M. Sesta, La maternità surrogata: il perfetto equilibrio delle sezioni unite, in Riv. dir. civ., 2023, p. 387 e ss., § 2 ed ivi ulteriori riferimenti a precedenti scritti dell’illustre Autore.

[49] Corte cost. 8 marzo 2021, n. 33.

[50] Così U. Salanitro, L’adozione e i suoi confini. Per una disciplina della filiazione da procreazione assistita illecita, in Nuova giur. civ., 2021, p. 948.

[51] In tal senso, cfr. A. Nicolussi, Famiglia e biodiritto civile, in Europa e dir. priv., 2019, p. 713 e ss.

Secondo U. Salanitro, L’adozione e i suoi confini, cit., 948, la regola dell’art. 128, comma 2, c.c. sarebbe già applicabile in via analogica. Analoga è la posizione di E. Bilotti, La tutela dei nati a seguito di violazione dei divieti previsti dalla l. n. 40/2004. Il compito del legislatore dopo il giudizio della Corte costituzionale, in Nuova giur. civ., 2021, p. 923.