Aldo Rocco Vitale

Avvocato e Dottore di ricerca in Storia e Teoria generale del diritto europeo
Università degli Studi di Roma Tor Vergata

 

Sommario: 1. Introduzione – 2. Onerosità o gratuità? – 3. Echi teologici – 4. Conclusioni

 

  1. Introduzione

«Non c’è più niente di normale da quando l’anormale è diventato la norma»:[1] così lamentava il protagonista della celebre opera “Il re muore” di Eugène Ionesco, quasi riassumendo icasticamente tutta l’essenza del mondo contemporaneo, cioè quello in cui si sgretolano e si sfaldano non solo e non tanto le fondamenta antropologiche fino ad ora considerate (per esempio l’idea stessa che vi sia una normalità, o meglio, una normatività), ma soprattutto quello in cui si rimodella l’intera figura umana nella globalità della sua esistenza.

Dopo che gli dei sono andati in esilio,[2] dopo il crepuscolo degli idoli,[3] l’uomo, già homo ludens,[4] divenuto homo oeconomicus,[5] poi homo videns,[6] immerso nella modernità liquida,[7] incamminato verso un altrettanto liquido futuro,[8] ridotto a soggetto di desiderio,[9] dimentico di essere anche homo juridicus,[10] dapprima forgiato ad immagine e somiglianza di se stesso secondo il paradigma dell’homo homini Deus est,[11] viene plasmato infine ad homo faber secondo il paradigma della potenza tecnica come ha notato Nikolaj Berdjaev per il quale, infatti, «la macchina storpia l’uomo e vuole plasmarlo a sua immagine e somiglianza».[12]

In un tale scenario di vera e propria decomposizione metafisica dell’esistenza, in cui emerge imponente l’idea per cui i valori supremi si svalutano in quanto tutto è in ultima analisi privo di senso,[13] in cui il senso delle cose e del mondo è radicalmente scisso dalla verità senza avvertire razionalmente che si tratta di un grave non-senso,[14] anche il diritto, inevitabilmente, viene ad essere rappresentato come dimensione a-veritativa,[15] come tale rimesso esclusivamente alla pura volontà individuale,[16] cioè determinato, kantianamente, da quell’arbitrio bestiale che è la mera inclinazione soggettiva.[17]

In tale cornice si inscrivono e si inseriscono le problematiche bioetiche e biogiuridiche in generale venute alla ribalta negli ultimi decenni ed in special modo quella della maternità surrogata.[18]

Già dalla sua definizione si incontrano le prime difficoltà.

Rinviando alla differenziazione concettuale, soprattutto dal punto di vista giuridico, tra surrogazione totale e parziale e tra donna surrogata e donna surrogante (cioè gestante) altrove tempestivamente proposta,[19] occorre riconoscere che al di là della semplice modulazione distintiva tra “maternità surrogata” da un lato,[20] e “utero in affitto” dall’altro (a seconda che si ponga l’attenzione sulla sostituzione di maternità o sul rapporto economico-obbligazionario sottostante alla medesima),[21] si assiste ad un vero e proprio fenomeno di rimodellazione semantica che traduce il tentativo di una più profonda ristrutturazione concettuale della pratica in questione tramite l’utilizzo della locuzione “gestazione per altri”, con lo scopo verosimile di renderla più accettabile evidenziandone l’aspetto altruistico che dovrebbe sopportarne e supportarne la legittimità morale e giuridica.[22]

La questione, come ben si comprende, non è soltanto la riproposizione moderna e aggiornata della antica e nobile disputa sugli universali che ha visto contrapposti gli schieramenti dei nominalisti da un lato e dei realisti dall’altro, ma è, invece, il prodromico riflesso problematico afferente alla maternità surrogata poiché esprime la volontà del pensiero tecnico, come tale sempre totalizzante,[23] di impossessarsi della maternità cominciando dalla stessa dimensione lessicale.

La formula “gestazione per altri”, dunque, non solo non può essere effettivamente preferita in quanto espressione del totalitarismo tecnico che cerca di dominare la realtà nella sua interezza, ma soprattutto perché non riesce a dar contezza della rilevanza giuridica dell’intera operazione che appunto mutua la propria “economia” dall’istituto civilistico della surrogazione, facendo sì che soltanto la locuzione “maternità surrogata” possa essere quella concretamente calzante per definire l’operazione in analisi in questa sede.

“Maternità surrogata”, dunque, proprio perché in grado di rivelare il sostrato giuridico che caratterizza la pratica bio-medica e medico-legale in cui essa consiste traduce la sua verità di fondo, aderendo al noto principio per cui veritas sequitur esse rerum e dimostrando così che non si tratta soltanto di una banale preferenza tassonomica, di mero flatus vocis, ma di una vera e propria esigenza di rigore lessicale e concettuale che come tale è afferente al linguaggio, cioè a ciò che per natura è deputato a mostrare, e non già a celare, l’essere della realtà secondo la brillante intuizione di Martin Heiddegger per il quale, infatti, «il linguaggio è la casa dell’essere»,[24] dimostrandosi l’unica locuzione congrua e adatta a descrivere il fenomeno oggetto delle presenti riflessioni.

Non si tratta, quindi, di “gestazione per altri”, ma di maternità surrogata che, a sua volta, può essere a titolo oneroso o a titolo gratuito pur essendo in entrambi i casi “per altri”, cioè diretta alla conduzione della gravidanza per consegnarne ad altri il frutto al momento del parto.

In questo senso Sylviane Agacinski ha giustamente notato che «mais le nom de gestatrice et le formule gestation pour altrui, ou GPA, tendent de plus en plus à s’imposer. Ces trois lettres semblent faites pour inspirer confiance, comme le silge d’une compagnie d’assurences, mais elles contribuent largement à masquer la nature de cette inquiétante nouveauté […]. Les trois petite lettres GPA sont sans doute rassurantes, mais elles constituent une mystification et maquillent une forme inédite de servitude et d’abaissement des femmes».[25]

Occorre, dunque, preliminarmente ad ogni ulteriore analisi, secondo l’insegnamento di Confucio, «ridare ai nomi il loro vero significato».[26]

 

 

 

 

  1. Onerosità o gratuità?

Un aspetto problematico e senza dubbio rilevante della maternità surrogata riguarda la sua determinazione economico-giuridica e specificamente in merito alla sua onerosità o gratuità.

La maternità surrogata a titolo oneroso, nonostante ciò che una parte della dottrina ritiene,[27] è oramai una realtà che si è venuta definendo come una vera e propria industria a livello globale che fattura diversi miliardi di dollari all’anno.[28]

Mentre in Italia essa è vietata dalla legge 40/2004,[29] così come riconosciuto anche dalla giurisprudenza,[30] e di recente dal CNB,[31] una parte della più recente dottrina ritiene che «dal punto di vista della mera possibilità economica e/o giuridica non ci sono limiti che impediscano tali contratti, si può fare tutto, il punto è se ci piace ciò che facciamo».[32]

Il problema è proprio questo: si può contrattualizzare la maternità? Si può disporre a titolo oneroso del proprio corpo o delle parti di esso? La genitorialità è contrattualmente cedibile? Vi sono limiti giuridici – metanormativi – ed etici alla contrattualizzazione dell’esistenza? Anche se vi è il consenso della donna gestante, il contratto di maternità surrogata lede la dignità della donna? Perché? Non si tratta dell’ulteriore espressione concreta dell’autodeterminazione?

Rispondere esaustivamente a tutti i suddetti e ad altri connessi quesiti (chi stabilisce il prezzo? Il SSN dovrebbe incaricarsi di coprire simili spese per le coppie committenti non abbienti? Le donne che ricorressero alla surrogazione come attività redditizia dovrebbero pagare le imposte sul reddito?)[33] sarebbe impossibile in un così breve spazio, ma si possono tracciare i confini della questione per percepirne la portata.

Il mercato mondiale della maternità surrogata,[34] del resto, si sostiene anche grazie al mercato di gameti anch’esso diffuso a livello globale,[35] scoprendosi che i “donatori” di gameti prestano le proprie risorse biologiche quasi sempre per motivi di carattere lucrativo.[36]

Debora Spar ricorda l’ampiezza dell’industria della fertilità,[37] che Susan Markens stima in quasi 2 miliardi di dollari all’anno,[38] il tutto in totale contrasto con i più elementari principi etici e giuridici che vietano di trarre profitto economico dal corpo umano e dalle sue parti, come sanciscono, del resto, l’art. 21 della Convenzione di Oviedo sui diritti umani e sulla biomedicina del 1997,[39] e l’art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 2000.[40]

Mentre, tuttavia, Carol Sanger reputa che il mercato della surrogazione sia in sé qualcosa di positivo e che debba essere sviluppato, poiché garantisce che la donna possa essere sia madre che rimane in casa, sia lavoratrice retribuita per la propria attività,[41] le dinamiche socio-economiche e medico-legali tramite cui viene in essere la maternità surrogata lasciano intendere che queste forme di “biolavoro”,[42] come è stato definito, sono giuridicamente ed eticamente problematiche.

Ad una prima approssimazione, considerando che le donne surroganti sono nella maggior parte dei casi soggetti socio-economicamente svantaggiati sia dei Paesi occidentali che a maggior ragione dei Paesi meno sviluppati,[43] si può ritenere che la pratica della maternità surrogata  a titolo oneroso, sfruttando la predetta condizione di disagio, sia da ascrivere in quella ben più ampia del mercato di organi e,[44] quindi, come tale, da considerare non solo in violazione della Dichiarazione di Istanbul del 2008,[45] ma anche e soprattutto della dignità umana.[46]

La legalizzazione della maternità surrogata, dunque, con la conseguente abolizione del divieto assoluto, come da taluni auspicato,[47] soffre della medesima debolezza etica e giuridica di chi, esplicitamente e da tempo,[48] desidera legalizzare la vendita degli organi umani per far venire meno il mercato degli stessi.[49]

E sebbene secondo una certa dottrina, nell’ambito dei contratti di maternità surrogata e delle relative prestazioni (cioè consegna del nato contro consegna del denaro), si dovrebbe distinguere il pagamento per i servizi di gestazione, dal pagamento dell’acquisto dell’infante, ritenendo, eticamente e giuridicamente, ammissibile il primo e inammissibile il secondo,[50] la maternità surrogata a titolo oneroso è considerata una vera e propria forma di baby business.[51]

Per Gostin, insomma, se il danaro è previsto soltanto per compensare o rimborsare la donna surrogante per le fatiche del suo “lavoro gestazionale”, retribuzione comunque lesiva della dignità della donna per altra parte degli studiosi,[52] esso non appare essere in contrasto con i principi dell’ordinamento che richiedono una retribuzione per il lavoro svolto; se, invece, il pagamento è effettuato direttamente per l’acquisto del frutto del parto, allora si tratta di un accordo che viola la dignità umana e come tale non meritevole di tutela, anche se, secondo la Corte Suprema del Kentucky, una simile distinzione non è sempre agevole da effettuare.[53]

Se, dunque, la necessità economica in cui versano le donne surroganti illumina l’intrinseca antigiuridicità della maternità surrogata a titolo oneroso, non riesce ancora a spiegare fino in fondo il perché sia antigiuridica anche quella maternità surrogata a titolo oneroso che è determinata dalla mera scelta della donna surrogante che vi si sottopone esercitando la propria autodeterminazione.[54]

Posto che occorre non fraintendere il concetto di autodeterminazione, discostandosi da certa pur autorevole dottrina che tuttavia sul punto appare filosoficamente fragile,[55] evitando così ogni ingenua tentazione di assolutismo volontaristico,[56] e riconoscendo quindi che è autentica autodeterminazione soltanto quella che riconosce i limiti posti all’agire umano,[57] poiché, con le parole di Albert Camus, «dire di sì a tutto implica che si dica sì all’omicidio»,[58] occorre altresì distinguere almeno tre prospettive, in senso orizzontale, e tre dimensioni, in senso verticale, che danno ragione dell’antigiuridicità della maternità surrogata.

Le tre prospettive in senso orizzontale, tali perché tutte razionalmente paritarie, sono quella femminista, quella marxista e quella personalista e, sebbene tutte in grado di dimostrare l’antigiuridicità della maternità surrogata, ciascuna appare più profonda dell’altra e dunque in grado di percepire sempre meglio il contrasto della maternità surrogata con la dignità umana.

Da un punto di vista femminista, infatti, sebbene vi sia chi ritiene che la maternità surrogata costituisca una tappa dell’emancipazione femminile,[59] o che comunque non sia del tutto contraria alla prospettiva della suddetta emancipazione,[60] c’è invece chi ritiene che proprio la maternità surrogata costituisca la forma più recente e sofisticata di sfruttamento e sottomissione della donna in totale contrapposizione ad ogni sua emancipazione,[61] poiché, in definitiva, la riconsegna al dominio dell’uomo che ne può sfruttare, anche economicamente, le capacità riproduttive.

Non a caso, tra i molteplici esempi citabili, Julie Bindel scrive che «our society has not faced up to the implications of commercial surrogacy or the cruel side of this growing industry […]. It is time for a bit of honesty. The accelerating boom in surrogacy for gay couples is no victory for freedom or emancipation. On the contrary, it represents a disturbing slide into the brutal exploitation of women who usually come from the developing world and are often bullied or pimped into selling their wombs to satisfy the selfish whims of wealthy gay or lesbian westerners. This cruelty is accompanied by epic hypocrisy. People from Europe and the USA who would shudder at the idea of involvement in human or sex trafficking have ended up indulging in a grotesque form of “reproductive trafficking”[…]. This kind of artificial baby farming is now a major international business[…]. Studies have shown that the dangers to women include ovarian cysts, chronic pelvic pain, reproductive cancers, kidney disease and strokes, while women who become pregnant with eggs from another woman are at a higher risk of pre-eclampsia and high blood pressure[…].There is nothing homophobic about criticising this vile, unbalanced trade where the rich exploit the bodies of the poor and desperate. On the contrary, to do so represents a service to humanity».[62]

Il contratto di surrogazione di maternità, infatti, proprio da un punto di vista femminista rappresenta una nuova forma di dominazione e soggezione della donna come ha notato Carole Pateman: «Oggi la maternità è stata separata dalla femminilità e tale separazione espande il diritto patriarcale. Qui c’è un’altra variante della contraddizione della schiavitù. Una donna può essere una madre surrogata soltanto perché la sua femminilità è considerata irrilevante, e lei viene definita un individuo che effettua un servizio […]. La soggezione contrattuale delle donne è irta di contraddizioni, paradossi e ironie. Forse l’ironia più grande di tutte deve ancora arrivare. Di solito si ritiene che il contratto abbia sconfitto il vecchio ordine patriarcale, ma, eliminando gli ultimi residui del vecchio mondo dello status, il contratto potrebbe inaugurare una nuova forma di diritto paterno».[63]

Il punto di vista marxiano è ancor più capace di scrutare l’essenza del problema in profondità in quanto esprime, rispetto a quello femminista che risulta essere meramente descrittivo, una forma di umanesimo, quello socialista,[64] che per quanto legato alle dinamiche sociali tenta tuttavia di difendere la dignità dell’essere umano dai meri interessi della speculazione economica.

Sebbene il marxismo non costituisca più la odierna chiave di lettura dominante, specialmente dopo che si è compreso che il paradiso socialista promesso in terra non è realizzabile,[65] occorre ammettere, con Gunter Rohrmoser, che «il potere trasformante che il marxismo ha esercitato ed esercita ancora è così grande che, nel mondo in cui viviamo, ogni singolo individuo è investito direttamente o indirettamente, dal destino del marxismo»,[66] soprattutto per la lotta di liberazione dell’uomo dallo sfruttamento economicistico.

L’intento di Marx, infatti, era quello di liberare l’uomo dal dominio dell’altro uomo, lo schiavo dal padrone, il dominato dal dominante, l’oppresso dall’oppressore.[67]

La maternità surrogata si offre quale tipico esempio di alienazione ed estraniazione del lavoro in senso marxiano, poiché si fonda proprio su una dinamica di dominazione dell’essere umano sull’altro essere umano, ad almeno due livelli: il primo livello è quello della coppia committente nei confronti della donna surrogante, in quanto questa sarà tenuta a cedere il prodotto del proprio lavoro; il secondo livello è quello di tutti i soggetti coinvolti nei confronti del nascituro, in quanto quest’ultimo è costretto a venire al mondo in un tale contesto e con una tale pratica che spodesta l’etica dell’atto procreativo con l’utile dell’atto (ri)produttivo.

Nonostante la presenza di un contratto, o, marxianamente, proprio a causa di ciò (ovvero di una mera apparenza di libertà), cioè della estrinsecazione del potere monetario che segna il passaggio dalla semplice proprietà a quella capitalistica con cui il capitalista si impadronisce del lavoro altrui sfruttandolo,[68] la donna surrogante, come più sopra visto, diviene colei che presta un servizio, una prestazione lavorativa estraniata in quanto destinata a non godere del frutto del proprio (bio)lavoro, cioè della propria gravidanza, per farne beneficiare, invece, altri, ovvero i committenti: «L’essere estraneo, a cui appartengono il lavoro e il prodotto del lavoro, che si serve del lavoro e gode del prodotto del lavoro, non può essere che l’uomo. Se il prodotto del lavoro non appartiene all’operaio, e un potere estraneo gli sta di fronte, ciò è possibile soltanto per il fatto che esso appartiene ad un altro uomo estraneo all’operaio. Se la sua attività è per lui un tormento, deve essere per un altro un godimento, deve essere la gioia della vita altrui. Non già gli dèi, non la natura, ma soltanto l’uomo stesso può essere questo potere estraneo al di sopra dell’uomo».[69]

La maternità surrogata del resto, sempre in chiave marxiana, si spiega come espressione del dominio della classe dominante nell’ambito del controllo dei fattori di produzione che si traduce in un controllo delle coscienze e dei fattori di produzione del pensiero medesimo da parte di chi ha il potere socio-economico per gestire un tale potere.[70]

La maternità surrogata a titolo oneroso, in quanto consiste nella dazione del frutto della gravidanza contro la dazione di una somma di denaro, come già Gramsci aveva a suo modo profeticamente denunciato in qualità di ultima frontiera dello sfruttamento delle ricche signore a discapito delle povere fanciulle,[71] rappresenta, insomma, la liberazione totale del potere del denaro del dominante (la coppia committente) che, rovesciando i valori e le forze in gioco e i vincoli sociali (oltre che familiari e giuridici), mercifica la vita e l’essere stesso del dominato (la donna surrogante).[72]

Non a caso un ortodosso interprete attuale del marxismo come Diego Fusaro nota che «il capitale, che un tempo si arrestava ai cancelli delle fabbriche, oggi si è impadronito della nuda vita: utero compreso. L’economia si è impadronita della vita, facendosi bioeconomia: ha rimosso il confine tra ciò che è merce e ciò che non lo è né può esserlo […]. La pratica dell’utero in affitto rivela l’usuale sporcizia di cui gronda il capitale: mercificazione dei corpi, offesa della dignità umana, riduzione della generazione della vita a mercimonio».[73]

La maternità surrogata a titolo oneroso, dunque, esprime il trionfo dell’utilità sulla libertà, del potere del più economicamente forte contro il più svantaggiato, del sovvertimento dei rapporti per cui non è più la produzione per l’essere umano, ma l’essere umano per la produzione, potendosi concludere con Marx che «il denaro, questa astrazione vuota ed estraniata della proprietà, è stato fatto signore del mondo. L’uomo ha cessato di essere schiavo dell’uomo ed è diventato schiavo della cosa; il capovolgimento dei rapporti umani è compiuto; la servitù del moderno mondo di trafficanti, la venalità giunta a perfezione e divenuta universale è più disumana e più comprensiva della servitù della gleba dell’era feudale».[74]

Se la prospettiva marxiana riesce a dare contezza delle dinamiche socio-economiche a queste per l’appunto si limita senza riuscire a scandagliare il cuore del problema come, invece, riesce a fare la terza e ultima prospettiva, cioè quella personalista.

Mentre la prospettiva femminista ha considerato la questione soltanto nei termini “biologistici” della contrapposizione culturale tra uomo e donna, e mentre la prospettiva marxiana ha considerato la questione soltanto nei termini “socio-economicistici” della contrapposizione tra classe dominante e classe dominata, percependo entrambe un frammento del mosaico, soltanto la prospettiva personalista, incentrata sulla dimensione ontologica, riesce a focalizzare la problematicità etica e giuridica della maternità surrogata a titolo oneroso non solo e non tanto perché espone il conflitto tra la potenza tecnica e la fragilità della vita che in essa tragicamente si consuma,[75] ma soprattutto perché rivela il lato più oscuro di una simile pratica, tale in quanto diretta contro l’essere dell’essere umano.

In questa terza prospettiva, infatti, la maternità surrogata (per certi aspetti anche quella a titolo gratuito) appare intrinsecamente antigiuridica in quanto, al di là delle differenze socio-culturali tra i sessi e oltre le dinamiche socio-economiche che si succedono nella storia delle lotte di potere tra classi sociali, l’essere della donna è strumentalizzato, da sé o da altri, a scopo economico, e l’essere del nascituro è reificato come oggetto di un contratto, a prestazioni corrispettive, che segue lo schema della compravendita,[76] messo in essere per soddisfare il desiderio della coppia committente, dimenticando che, come ha notato Emmanuel Mounier, «la persona non è l’oggetto più meraviglioso del mondo».[77]

A ben guardare, tuttavia, anche l’essere dei committenti viene violato dalle operazioni di maternità surrogata, e sia nel caso in cui essi non hanno contribuito (fecondazione eterologa) a prestare il materiale biologico in vista della gravidanza della donna surrogante, poiché appunto privano se stessi e soprattutto il nascituro del legame genitoriale naturale, ma anche se hanno messo a disposizione i propri gameti, poiché non essendo la madre naturale a condurre la gravidanza si sono (auto)ridotti a mere dispense di materiale biologico da utilizzare all’occorrenza, dimenticando la caratteristica essenza dell’essere umano che come tale non è uno qualunque degli altri enti della natura,[78] possedendo una sua dignità costitutiva che lo sottrae ad ogni strumentalizzazione e manipolazione poiché, come ha giustamente osservato Nikolaj Berdjaev, la persona «non è una categoria biologica o psicologica, ma una categoria etica e spirituale».[79]

Date le premesse sempre più “profonde” delle tre suddette prospettive, non si può fare a meno, a questo punto, di considerare che la maternità surrogata a titolo oneroso appare del tutto illegittima sotto tre dimensioni: dal punto di vista economico, dal punto di vista giuridico, dal punto di vista etico.

Dal punto di vista economico occorre precisare, infatti, che non perché un contratto è economicamente possibile debba per ciò stesso essere stipulato specialmente se lede e viola la dignità dell’essere umano.

Ritenere che un contratto economicamente possibile sia di per se stesso stipulabile anche in caso di lesione della dignità umana, significa negare radicalmente non solo la dignità in sé, ma la pensabilità stessa di una tale dignità, poiché significa ribaltare la relazione tra dimensione economica e umana, facendo di quest’ultima il mezzo per cui non è più l’economia per l’uomo, ma l’uomo per l’economia,[80] sacrificando così, nell’ambito di un individualismo economico che inevitabilmente sfocia in una forma di non-cognitivismo etico, l’essere umano all’altare del “dio contratto”, quello per cui «solo il mio benessere individuale è misura e fondamento dei fatti morali»,[81] poiché, con le parole di Friedrich Nietzsche, «non ci sono affatto fenomeni morali; c’è solo una interpretazione morale dei fenomeni».[82]

La seconda dimensione è quella più strettamente giuridica, intendendo con ciò non già la mera accezione normativa e ordinamentale del diritto, ma la sua radice più intima, la sua stessa anima, il trascendentale della regola giuridica,[83] cioè la giustizia.

Come già intuito dalla più risalente e nobile tradizione gius-filosofica occidentale,[84] un diritto – anche quello contrattuale – senza giustizia, cioè contrario alla ragione naturale,[85] è una perversione del diritto,[86] come del resto hanno dimostrato le applicazioni novecentesche delle dottrine kelseniane che sacralizzano una tale “purificazione” del diritto,[87] i contratti di maternità surrogata a titolo oneroso nel momento in cui, come ampiamente visto, violano la dignità delle persone coinvolte volontariamente (donna surrogante e coppia committente) o meno (nascituro), si dimostrano radicalmente opposti alla giustizia poiché tramite essi non si riconosce agli altri ciò che a loro spetta (per esempio la definizione certa dello status parentale secondo i criteri naturali),[88] e, soprattutto, perché si sostituisce la relazionalità naturale dei rapporti famigliari con quella artificiale proveniente dall’incrocio tra la volontà delle parti e gli strumenti tecnici da esse utilizzati.

Anche il diritto dei contratti, dunque, deve essere un diritto giusto, come dimostrano alcuni limiti posti all’autonomia contrattuale delle parti, come, tra i tanti esempi possibili, il divieto di patto leonino o il divieto di patto commissorio rispettivamente riconosciuti e cristallizzati dagli articoli 2265 e 2744 del Codice Civile italiano.

Perfino il “contrattualismo mercatista”, insomma, incontra dei limiti, poiché, come ha ben insegnato Cicerone «non su una convenzione, ma sulla natura è fondato il diritto».[89]

In questo senso a ragione Michael Sandel può scrivere: «Nella realtà i contratti non sono strumenti etici autosufficienti: il puro e semplice fatto che voi e io concludiamo un accordo non basta a renderlo sicuramente equo; su qualunque contratto del mondo reale si potrà sempre porre l’interrogativo: – Ma le condizioni su cui si sono accordati, sono giuste? – […]. Prendiamo la Costituzione americana del 1787: nonostante i molti aspetti positivi, era segnata da una grave pecca che fu eliminata solo dopo la guerra civile, quella di ammettere la schiavitù. L’essere stata concordata e approvata – dai delegati riuniti a Filadelfia e poi dai singoli Stati – non bastò a renderla giusta».[90]

Infine, la terza dimensione che è quella più propriamente etica e che chiama in causa il principio tutto di ragione, di scoperta kantiana, per cui non solo si deve riconoscere l’impossibilità di trattare l’umanità del prossimo come mezzo piuttosto che come fine,[91] ma soprattutto non si può attribuire un prezzo all’essere umano, come invece accade nella maternità surrogata a titolo oneroso sia per quanto riguarda la donna surrogante che soprattutto il nascituro, poiché la persona umana ha una dignità che come tale non la rende economicamente valutabile: «Nel regno dei fini tutto ha un prezzo o una dignità. Ciò che ha un prezzo può anche essere sostituito da qualcos’altro, equivalente; invece, ciò che non ha alcun prezzo, né quindi consente alcun equivalente, ha una dignità».[92]

Ecco in che senso Sergio Cotta a ragione ritiene che il principio persona «significa che ogni individuo ha titolo, per la comune struttura di io sintetico-relazionale, al riconoscimento della sua qualità ontologica di uomo, ossia di soggetto (e non di mero oggetto) di rapporto. Questo riconoscimento è la condizione fondamentale d’ogni possibile forma di esistenza veracemente umana, perciò non tollera eccezioni; fuori di esso infatti si ha la riduzione, in tutto o per qualche verso, dell’individuo a cosa e quindi il disconoscimento della ontologica uguaglianza quanto a egoità fra gli individui umani. È questa la ragione per cui il principio persona mette in luce l’infondatezza di schiavitù, razzismi e classismi di vario genere, che fanno prevalere delle determinatezze empiriche sulla uguaglianza ontologica».[93]

Proprio per ovviare a simili inconvenienti c’è chi ipotizza non solo il trapianto di utero nei corpi degli uomini,[94] ma soprattutto auspica l’avvento dell’utero artificiale,[95] cioè la terza era della riproduzione umana, ovvero l’ectogenesi,[96] che dovrebbe condurre ad almeno tre benefici immediati secondo i suoi sostenitori: in primo luogo, liberare le donne dall’oppressione della gravidanza (anche ovviamente di quella surrogata); in secondo luogo, assicurare una totale e definitiva uguaglianza di genere tra maschi e femmine, non essendo più demandato in esclusiva a queste ultime il gravoso compito della riproduzione e della gravidanza; in terzo e ultimo luogo consentire finalmente a tutti (eterosessuali e omosessuali, coppie e single) di poter avere figli senza ulteriori “complicazioni” fisiche, giuridiche, sentimentali, relazioni ed esistenziali.

Una tale eventualità se per un verso, probabilmente, potrebbe risolvere i problemi etici e giuridici della maternità surrogata, per altro verso, sicuramente, ne creerebbe di altri, come il sopravvento totalizzante della tecnica sulla natura umana negando l’essere stesso dell’essere umano,[97] la separazione della procreazione dall’unione umana, l’elisione totale del ruolo materno, la sostituzione della procreazione stessa con un atto di produzione meccanica e industrializzata di esseri umani (chi gestirebbe gli uteri artificiali? Sarebbero a pagamento? Si tratterebbe di un servizio privato o pubblico?) avverandosi quanto giustamente temuto da Elisabeth Badinter per la quale «se l’umanità di domani accetterà di veder nascere dei bambini da una macchina o da un uomo, probabilmente scatenerà una mutazione della specie. Supponendo che tali bambini non siano dei mostri, l’estrema somiglianza dei sessi e l’individualismo radicale che essa presuppone ci sembrano a priori una minaccia per la nostra sopravvivenza […]. Come immaginare il rapporto dei sessi e la sopravvivenza delle società, dal momento che tutti i vincoli di dipendenza obbligata fra l’uomo e la donna sarebbero infranti?».[98]

Tutto ciò considerato sulla maternità surrogata a titolo oneroso non si può non avanzare qualche riflessione anche in merito alla maternità surrogata a titolo gratuito.

La mancanza di un corrispettivo, infatti, non fa venir meno le difficoltà giuridiche ed etiche che sottostanno alla pratica della maternità surrogata.

Come per la donazione di gameti, infatti, anche la donazione dell’utero costituisce una pratica che, pur in mancanza di ogni intento lucrativo o azione economicamente valutabile o rilevante, non è giuridicamente ed eticamente accettabile.

Nella donazione di gameti, infatti, interviene una figura esterna alla coppia che ne disintegra l’unità;[99] parimenti, nella maternità surrogata a titolo gratuito l’intervento della donna surrogante disintegra l’unità del rapporto genitoriale alterando, come già visto, la dimensione della relazionalità naturale dei legami famigliari.

Non si può, del resto, ricorrere nemmeno allo schema della “donazione samaritana”, cioè a quel tipo di donazione di parti del corpo che viene in essere allorquando non vi sia alcun legame biologico, famigliare o affettivo tra donatore e ricevente, poiché anche in questo caso acquistano validità le riflessioni di Francesco D’Agostino nella postilla al relativo documento del CNB: «I fautori della donazione samaritana sono soliti giustificare tale forma di donazione come una variante del supremo principio di solidarietà nella sua forma più nobile: un principio indubbiamente molto suggestivo, ma che trova il suo spazio tipico in esperienze che non hanno di per sé rilievo bioetico (come molte forme di volontariato, oppure l’adozione, l’affiliazione o forme similari) e nelle quali non esiste quel rischio della strumentalizzazione di sé, che Kant rilevava, giungendo a condannare perfino la compravendita o la donazione di un dente […]. Non esiste alcuna tecnica giuridica convincente per accertare l’autenticità di una donazione samaritana. Il carattere obiettivamente estremo di questa donazione indurrebbe a pensare che solo pochissime persone, dotate di un senso morale assolutamente eroico, potrebbero dichiararsi disposte a tanto; ma il diritto non è in grado di regolamentare e garantire pratiche così nobili (perché di questo si tratta e questo la legge pretende di fare), pratiche che lo proietterebbero in un’atmosfera così straordinariamente rarefatta, da apparire più pensabile che esperibile (quando mai, ragionevolmente, ci capiterà di conoscere un donatore samaritano?). Non si tratta evidentemente di negare che queste possibilità estreme possano darsi. Mi limito solamente ad osservare che compito del diritto non è quello di gestire situazioni estreme, ma situazioni ordinarie».[100]

Anche la maternità surrogata a titolo gratuito, quindi, non si sottrae a quel pericolo di lesione della dignità umana, già visto nel caso di surrogazione a titolo oneroso, in quanto anch’essa costituisce una forma di impossessamento e strumentalizzazione di se stessi con la conseguente violazione della propria dignità di persona, poiché, con le parole di Romano Guardini, «persona significa che non può essere presa in possesso, non può essere usata come mezzo, non può essere subordinata ad uno scopo […]. Non posso afferrare neppure me stesso».[101]

In fondo, proprio un maestro della scienza giuridica come Francesco Santoro-Passarelli ha così osservato: «Non esiste e non è neppure concepibile, malgrado ogni sforzo dialettico, un diritto sulla propria persona o anche su se medesimo, o sul proprio corpo, stante l’unità della persona, per la quale può parlarsi soltanto di libertà, non di potere rispetto a se medesima».[102]

 

  1. Echi teologici

Prima di giungere alle conclusioni sembra opportuno sfatare il mito circa la presunta legittimazione che la maternità surrogata riceverebbe dall’Antico Testamento in genere e specialmente dall’episodio che riguarda Abramo, la anziana e sterile moglie Sara e la schiava di quest’ultima, cioè la giovane e fertile Agar, come da parte di molti incauti ermeneuti delle Sacre Scritture erroneamente si ritiene,[103] narrato dal libro della Genesi.[104]

Sara vuole assicurare una discendenza ad Abramo, e così decide di offrire al marito la propria schiava Agar.

Abramo si congiunge con la schiava Agar, ma poco dopo Sara pretende soddisfazione dal marito Abramo inducendo quest’ultimo a scacciare Agar e il figlio da questa partorito; appena Agar viene allontanata dalla casa di Abramo il Signore concede a Sara di ottenere una gravidanza propria e assicurare una discendenza legittima al marito Abramo.

I motivi per cui non si tratta di maternità surrogata sono molteplici e tutti molto evidenti.

In primo luogo: non è maternità surrogata in quanto non viene reclamato un presunto diritto al figlio, ma semmai un dovere alla discendenza che Sara come moglie di Abramo rispondente al precetto divino deve assicurare al proprio marito, a tal punto da accettare che il proprio marito si congiunga con un’altra donna.

In secondo luogo: più che di maternità surrogata si tratta, semmai, dunque, di adulterio,[105] poiché il seme di Abramo, sposato con Sara, si congiunge con l’ovulo di Agar, come in qualunque rapporto extra-coniugale, dando vita ad una prole naturale e non legittima.

In terzo luogo: non è maternità surrogata poiché non c’è né un contratto, né soprattutto una libera volontà della madre surrogante, cioè Agar che, in quanto schiava, è tenuta ad obbedire all’ordine ricevuto dalla propria padrona Sara.[106]

In quarto luogo: tanto è sicuramente adulterio che la stessa Sara subito dopo ripensa al mal fatto e chiede ad Abramo di scacciare la schiava Agar con il figlio frutto dell’adulterio.[107]

In quinto luogo: non si tratta di maternità surrogata poiché il rapporto tra Agar e, come si dice oggi, “il prodotto” del concepimento, cioè il figlio nato, non viene mai reciso, anzi, proprio perché questo rapporto sussiste Sara insiste che Agar venga allontanata dalla casa di Abramo.

Secondo il diritto e la morale dell’epoca, infatti, diversamente dalla maternità surrogata odierna, Agar non avrebbe mai potuto essere separata dal figlio che aveva partorito.

Come ha precisato il noto giurista Daniel Friedmann, infatti, «la serva che diventava madre surrogata poteva essere liberata dalla schiavitù e mandata via, ma avrebbe ovviamente obbligato a mandare via con lei il figlio, come in effetti fece Abramo con Agar. La regola probabilmente proteggeva la madre surrogata. Assicurava che lei non fosse abbandonata. La conseguenza fu che la madre surrogata manteneva un legame emotivo con suo figlio, con potenziale attrito con la padrona di casa, a causa della rivalità per il figlio e il suo status, all’interno della famiglia».[108]

Da tutto ciò si deducono, senza nemmeno eccessivi sforzi ermeneutici, le seguenti considerazioni.

Il racconto biblico di Abramo, Sara e Agar non costituisce l’esaltazione della maternità surrogata, ma, al contrario, la condanna della medesima che si inscrive, nell’ambito del codice morale vetero-testamentario (e quindi anche cristiano), sotto la fattispecie dell’adulterio, specialmente se viene messa in opera con il seme del marito.

L’episodio, inoltre, costituisce una condanna della “maternità surrogata”, poiché si evince tutta la carica di disvalore che l’operazione orchestrata da Sara possiede: in quanto essa è adottata come misura estrema per assicurare la discendenza di Abramo confidando solo nelle capacità umane; in quanto Sara stessa comprende l’illecito morale compiuto richiedendo ad Abramo di scacciare Agar; in quanto Agar viene senza indugio cacciata da Abramo; in quanto dopo essere stata allontanata, di Agar nulla più si sa.

L’intreccio di Sara, Abramo e Agar serve anche come momento di riflessione sulla natura del rapporto coniugale che non può essere equiparato ad altri rapporti o ad altre unioni, come quelle di fatto, o come quelle adulterine, specificando così quanta distorsione subisca la natura umana, quella della coppia unita nel rapporto di coniugio, e quella della famiglia in sé considerata allorquando si inserisce l’elemento della artificialità tecnica che sovverte tutte le relazioni in quanto in grado di deturpare la dimensione dell’essere.

Infine, l’episodio biblico possiede, ovviamente, un preciso significato teologico e non può dunque essere ridotto alla banale logica odierna fondata sulla presunta esistenza di diritto al figlio o ad altre prometeiche illusioni tipiche del delirio di onnipotenza del tecnomorfismo contemporaneo.

Quando Sara e Abramo, infatti, confidano soltanto nelle proprie forze, senza abbandonarsi alla divina Provvidenza, hanno un rapporto sterile e condannato a non procreare nulla di buono, cioè o nessuna discendenza, o, peggio, una discendenza illegittima nata da adulterio. Soltanto quando Sara ha abbandonato il proprio egoismo, ha respinto il peccato, e ha fatto spazio nella propria vita e nella propria anima alla divina Provvidenza, allora il Signore ha donato a lei e ad Abramo una discendenza legittima e benedetta. [109]

Non riuscire a cogliere il senso teologico e l’effettivo senso morale dell’episodio di Abramo, Sara e Agar, del resto, è un tipico portato e una necessaria conseguenza di una cultura ipersecolarizzata, come quella contemporanea non più adusa a scorgere il senso della realtà in quanto schiacciata dalla avverata profezia delineata dal lungimirante Max Horkheimer che così ebbe saggiamente a scrivere descrivendo in anticipo i tempi attuali: «La dimensione teologica sarà soppressa. E, con essa, scomparirà dal mondo ciò che noi chiamiamo senso».[110]

 

  1. Conclusioni. 

Da tutto ciò fin qui considerato emergono sufficienti elementi che lasciano trasparire quanto la maternità surrogata traduca una specifica visione del diritto che, avendo perduto la propria autonomia non solo etica, ma anche epistemica, si ritrova ridotto a mero strumento statale di regolarizzazione del calcolo economico, e dunque eterodeterminato dagli interessi economici personali o collettivi.

In quest’ottica di riduzionismo economicistico del diritto ogni bisogno diventa un desiderio ed ogni desiderio si trasforma in diritto,[111] così che, nonostante ciò che alcuni ritengono senza riuscire a cogliere la visione d’insieme,[112] la maternità surrogata è proprio esattamente l’espressione dell’ideologia mercatista che si impossessa del diritto traviandone la natura, il funzionamento e gli scopi in quanto, come già ampiamente visto, rende l’altro (il donatore di gameti, la donna gestante, il figlio, la coppia committente) lo strumento della soddisfazione dei propri bisogni inverandosi quello sfruttamento reciproco così tipico della società capitalistica in cui,[113] per di più, si assiste al ribaltamento del rapporto mezzo-fine già denunciato da Karl Marx: «Né le cose potrebbero andare in maniera diversa in un modo di produzione che contempla l’esistenza dell’operaio in funzione delle esigenze di valorizzazione di valori esistenti, e non invece la ricchezza materiale in funzione delle esigenze di sviluppo dell’operaio».[114]

In una simile prospettiva, cioè quella in cui «il desiderio diventa bisogno, diventa anche malattia e dunque ci si scopre anche più accomodanti nel trovare una soluzione»,[115] il diritto viene inteso come pura ratificazione legale e formale del bisogno personale che rende l’altro, soprattutto la donna surrogante, merce,[116] e che dunque trasforma il diritto in diritto della società economica, cioè subordinato agli interessi economici degli individui ed alla logica funzionalistica dell’equivalenza che caratterizza le interazioni tra consociati come evidenziato da Alexandre Kojève.[117]

Anche e soprattutto in tema di maternità surrogata, allora, acquista un senso la critica, ad una suddetta visione economicistica del diritto, mossa da Ronald Dworkin per il quale, infatti, «la questione da decidere non è se una società che segua l’analisi economica del diritto produrrà mutamenti che sono esclusivamente miglioramenti della ricchezza. La questione da decidere è se un tale mutamento sarebbe un miglioramento di valore. Si tratta quindi di una questione di filosofia morale».[118]

Il diritto, per essere davvero tale, non può che tendere alla giustizia e non alla mera efficienza economica in base al calcolo dei costi e dei benefici di una determinata azione o di un determinato contratto o scambio, poiché è questa l’unica risposta di senso alla domanda se sia «l’utile o la giustizia che struttura il diritto e governa il mondo?».[119]

Il diritto, infatti, è molto più della banale ratificazione legale del bisogno personale o dell’interesse economico, non solo perché l’economia che umilia, come nel caso della maternità surrogata, l’interesse altrui si trasforma in violenza,[120] ma anche e soprattutto perché «il diritto non può violare il principio della inviolabilità dell’innocente senza negare la propria essenza di regola giusta per trasformarsi in violenza».[121]

A ragione, dunque, John Finnis può dichiarare disinnescato dall’interno il funzionamento di ogni logica utilitaristica o proporzionalistica in quanto «l’argomentazione che fa appello al bilanciamento dei beni e dei mali pre-morali è impotente a dimostrare la falsità di alcuno degli assoluti morali tramandatici dalla tradizione».[122]

In conclusione, allora, la maternità surrogata è costitutivamente antigiuridica in quanto ibridazione di una concezione economicistica del diritto e di un possibilismo tecnico sganciato da ogni limite di carattere etico, risolvendosi per essere una pratica sostanzialmente diretta alla lesione della dignità umana e quindi alla violazione della natura stessa del diritto.

Abstract

 

Aldo Rocco Vitale, Rilievi biogiuridici su onerosità e gratuità della maternità surrogata

 

L’articolo affronta il tema della maternità surrogata sia a titolo oneroso, sia a titolo gratuito.  Da questa pratica, infatti, sorgono molti dubbi etici e giuridici: si può contrattualizzare la maternità? Si può disporre a titolo oneroso del proprio corpo o delle parti di esso? La genitorialità è contrattualmente cedibile? Dopo aver analizzato il problema, anche alla luce del pensiero femminista, si sofferma brevemente l’attenzione sui riflessi teologici che spesso inopportunamente vengono riferiti al problema della maternità surrogata.

 

Parole chiave: maternità surrogata; bioeconomia; vendita organi; Abramo, Sara e Agar

 

Aldo Rocco Vitale, Comments bio legal about onerousness and gratuity of surrogate motherhood

 

The article addresses the issue of surrogacy is paying, both for free. From this practice, in fact, there are many ethical and legal concerns: can be covered the motherhood by contracts? Can we arrange for paying of one’s body or parts of it? Parenthood is contractually transferable? After analyzing the problem, even in light of feminist thought, focuses attention briefly on theological reflections which often are inappropriately referred to the issue of surrogacy.

 

Key words: surrogate motherhood; bioeconomy; organs selling; Abraham, Sara and Agar

 

*Contributo sottoposto a valutazione.

 

[1] E. ionesco, Il re muore, Torino, 1963, p. 23.

[2] H. Heine, Gli dei in esilio, Milano, 1978.

[3] F. Nietzsche, Il crepuscolo degli idoli ovvero come si filosofa col martello, Milano, 1983.

[4] J. Huizinga, Homo ludens, Torino, 1979.

[5] R. Michels, Homo oeconomicus, Roma, 2001.

[6] G. Sartori, Homo videns, Bari, 2007.

[7] Z. Bauman, Modernità liquida, Bari, 2011.

[8] Z. Bauman, Futuro liquido. Società, uomo, politica e filosofia, Milano, 2014.

[9] J. Butler, Soggetti di desiderio, Bari, 2009.

[10] A. Supiot, Homo juridicus. Saggio sulla funzione antropologica del diritto, Milano, 2006.

[11] L. Feuerbach, L’essenza del cristianesimo, Milano, 1996.

[12] N. Berdjaev, L’uomo e la tecnica, Rapallo, 2005, p. 35.

[13] «Tutto è privo di senso»: F. Nietzsche, La volontà di potenza, Milano, 2008, p. 7.

[14] «Un senso che non fosse al contempo anche verità, sarebbe non-senso»: J. Ratzinger, Introduzione al Cristianesimo, Brescia, 2005, p. 69.

[15] N. Irti, Diritto senza verità, Bari, 2011.

[16] «Il diritto è ormai consegnato alla solitudine della volontà umana»: N. Irti, Nichilismo giuridico, Bari, 2004, p. 23.

[17] «Quello che può essere determinato soltanto dall’inclinazione sarebbe l’arbitrio bestiale»: I. Kant, La metafisica dei costumi, Bari, 1973, p. 14.

[18] Di seguito alcuni dei principali riferimenti bibliografici consultati a fini delle presenti riflessioni: AA.VV., Verso nuove forme di maternità?, Milano, Giuffrè, 2002; AA.VV., La maternità surrogata. Riflessioni medico-legali in tema di tutela dell’embrione, del nascituro, delle due madri e della dignità della persona umana, in Medicina e Morale, 2/2000, pp. 261-318; H. Braho, La maternità surrogata come problema biogiuridico, UniversItalia, Roma, 2013; M. Di Masi, Maternità surrogata: dal contratto allo status, in Rivista critica del diritto privato, 4/2014, pp. 615-646; M. Faggioni, Maternità surrogata: un nuovo impedimento?, in Periodica, 102/2013, pp. 279-305; A. Faraoni, La maternità surrogata, Milano, Giuffrè, 2002; S. Mancuso, Riflessioni biomediche sulla fecondazione eterologa e sulla maternità surrogata, in Quaderni di diritto mercato tecnologia, 1/2012, pp. 102-107; M. Mori, Perché tanto zelo contro la gravidanza surrogata?, in Bioetica, 4/2000, pp. 681-684; A.M. Princigalli, Maternità surrogata nella esperienza francese: frode alla legge e interesse dei figli, in Rassegna critica di giurisprudenza, 4/2005, pp. 519-531; M. Simone, Il caso della maternità surrogata, in La Civiltà Cattolica, 3594/2000, pp. 604-611; E. Sgreccia, Manuale di bioetica, Vita&Pensiero, Milano, 2007; P. Zatti, Maternità e surrogazione, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 2000/3, pp. 193-202.

[19] A. R. Vitale, Escursioni biogiuridiche in tema di maternità surrogata, in Medicina e Morale, 2/2016.

[20] M. Faggioni, voce “Maternità surrogata”, in Enciclopedia di bioetica e scienza giuridica, Napoli, 2015, Vol. VIII.

[21] G. Milano, voce “Utero in affitto”, in Bioetica. Dalla A alla Z, Milano, 1997, pp. 173-174.

[22] Significativo in questo senso un passaggio, tra i tanti simili estrapolabili, della Carta Etica delle Famiglie Arcobaleno, disponibile presso il seguente sito internet http://www.famigliearcobaleno.org/userfiles/file/Posizioni%20FA%20su%20temi%20eticamente%20sensibili.pdf, in cui tanto si legge: «La GPA può e deve essere raccontata, e deve essere motivo d’orgoglio per chi la porta a termine. Occorre che le donne possano con orgoglio raccontare il “regalo” (perché nessun compenso potrà mai risarcire adeguatamente o sciogliere il debito del dono fra lei e la famiglia ricevente) di una vita messa al mondo per altri; occorre che le coppie infertili possano raccontare con orgoglio il viaggio verso l’altro che ha portato alla loro famiglia».

[23] «Non c’è altro rapporto dell’uomo con la natura, tutto l’insieme di legami, complesso e fragile, che l’uomo aveva pazientemente tessuto, poetico, magico, mitico, simbolico scompare: rimane solo la mediazione tecnica che si impone e diventa totale»: J. Ellul, Il sistema tecnico. La gabbia delle società contemporanee, Milano, 2009, p. 56.

[24] M. Heidegger, Lettera sull’umanismo, Milano, 1995, p. 60.

[25] S. Agacinski, Corps en miettes, Flammarion, Paris, 2013, pp. 89-92.

[26] Citato in V. Possenti, Le ragioni della laicità, Soveria Mannelli, 2007, p. 5.

[27] «La previsione di un versamento di somme a titolo di rimborso anticipato delle spese necessarie per l’intero processo (si pensi al mancato guadagno nel periodo in cui la gestante deve interrompere il lavoro) non muterebbe il titolo gratuito dell’accordo»: A Valongo, La gestazione per altri: prospettive di diritto interno, in Rivista di biodiritto, 2/2016, p. 143.

[28] Si pensi, tra i numerosissimi esempi citabili, che nella sola India il mercato della maternità surrogata fattura circa 2,3 miliardi di dollari ogni anno (http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/01/26/utero-in-affitto-in-india-e-boom-clienti-anche-dallestero-ma-madri-no-hanno-tutele/454192/).

[29] «Chiunque in qualsiasi forma realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità, è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a 1.000.000 di euro»: Art. 12, comma 6.

[30] «Il ricorso all’utero in affitto è contrario alla legge italiana per motivi di ordine pubblico e tale limite non è stato messo in discussione dalla sentenza 162/2014 della Corte costituzionale sulla fecondazione eterologa. La l. n. 40 del 2014 esclude infatti la possibilità di ricorrere alla maternità surrogata, che consiste nel portare a termine una gravidanza su committenza. L’unico modo per realizzare progetti di genitorialità priva di legami biologici con il minore è quindi quello dell’adozione»: Corte di Cassazione n. 24001/2014.

[31] «Il CNB ricorda che la maternità surrogata è un contratto lesivo della dignità della donna e del figlio sottoposto come un oggetto a un atto di cessione. Il CNB ritiene che tale ipotesi di commercializzazione e di sfruttamento del corpo della donna nelle sue capacità riproduttive, sotto qualsiasi forma di pagamento, esplicita o surrettizia, sia in netto contrasto con i principi bioetica fondamentali che emergono anche dai documenti sopra citati»: CNB, Maternità surrogata a titolo oneroso, 18 marzo 2016.

[32] S. Pozzolo, Gestazione per altri (ed altre), in Rivista di biodiritto, 2/2014, p. 101.

[33] «Vogliamo una società in cui ogni cosa è in vendita? Oppure ci sono certi beni morali e civici che i mercati non onorano e che i soldi non possono comprare?»: M. Sandel, Quello che i soldi non possono comprare. I limiti morali del mercato, Milano, 2013, p. 202.

[34] Mercato alimentato dal sempre più vasto riconoscimento legale delle coppie del medesimo sesso come si evince dalla prestigiosa testata economica Forbes: http://www.forbes.com/sites/kateharrison/2015/07/07/the-supreme-courts-ruling-on-same-sex-marriage-opens-up-the-surrogacy-market

[35] R. Almeling, Sex cells. The medical market for eggs and sperm, University of California Press, 2011.

[36] R. Almeling, op. cit., p. 112.

[37] D. Spar, The baby business. How money, science and politics drive the commerce on conception, Harvard Business School Press, 2006, pp. 32-33.

[38] S. Markens, Surrogate motherhood and the politics of reproduction, University of California Press, 2007, pp. 180-181.

[39] «Il corpo umano e le sue parti non debbono essere, in quanto tali, fonte di profitto».

[40] «Ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica. Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati:

– il divieto delle pratiche eugenetiche, in particolare di quelle aventi come scopo la selezione delle persone;

– il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro».

[41] «In this way surrogacy uniquely serves the preference of some women to be traditional stay-at-home moms while engaging in paid labor at the same time. It recognizes the value of reproductive work by women who, in the never-ending schism between career and home, often feel undervalued»: C. Sanger, Developing markets in baby-making, in Harvard Journal of law and gender, 30/2007, pp. 77-78.

[42] «Con la diffusione delle tecnologie di riproduzione assistita, la vendita di tessuti come oociti e spermatozoi, o di servizi riproduttivi come la maternità surrogata, appare sempre più come un fiorente mercato del lavoro, in cui la manodopera viene prodotta e selezionata secondo linee di classe e di razza. Il risultato, per noi, si chiama lavoro clinico»: M. Cooper – C. Waldby, Biolavoro globale. Corpi e nuova manodopera, Roma, 2015, p. 32; cfr. anche C. Lafontaine, Le corps-marché: La marchandisation de la vie humaine à l’ère de la bioéconomie, Parigi, 2014.

[43]Cfr. in questo i preziosi reportage della giornalista Julie Bindel: https://www.theguardian.com/global-development/2016/apr/01/outsourcing-pregnancy-india-surrogacy-clinics-julie-bindel; https://www.theguardian.com/commentisfree/2015/feb/20/commercial-surrogacy-wombs-rent-same-sex-pregnancy

[44] N. Scheper-Hughes, Il traffico di organi nel mercato globale, Verona, 2004.

[45] «Il traffico di organi e il turismo del trapianto violano i principi di equità, di giustizia e di rispetto per la dignità umana e dovrebbero essere vietati. Dal momento che il commercio di trapianti colpisce donatori impoveriti e altresì vulnerabili, conduce inesorabilmente a iniquità e ingiustizia, e dovrebbe essere vietato. Con la risoluzione 44.25, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha invitato gli Stati a impedire l’acquisto e la vendita di organi umani per trapianti», Art. 6.

[46] «La compravendita di organi e di tessuti, ancorché regolamentata a livello legislativo, rappresenterebbe in ogni caso una tentazione per le classi più povere e per quelle socialmente svantaggiate, che a fortiori potrebbero subire maggiormente una sorta di ricatto per fronteggiare le esigenze dei figli o di altri familiari»: Comitato Nazionale per la Bioetica, Mozione del Comitato Nazionale per la Bioetica sulla compravendita di organi a fini di trapianto, 18 giugno 2004.

[47] «L’assolutezza del divieto non risponde, infatti, alle esigenze diffuse nella società contemporanea e alla variabilità e peculiarità delle fattispecie concrete»: A Valongo, op. cit., p. 138.

[48] M. Friedlaender, The right to sell or buy a kidney, in Lancet, 16 marzo 2002, pp. 971-973; A. Griffin, Kidneys on demand, in British medical journal, 10 marzo 2007, pp. 502-505.

[49] «Introdurre un mercato legale sotto il controllo dello Stato o di enti designati si tradurrebbe in un prolungamento dell’attesa per coloro che offrissero o facessero richiesta di organi, in virtù dei controlli e delle procedure da eseguire. Mentre l’elemento che contribuisce ad alimentare la clandestinità è l’estrema rapidità con cui un ricevente può, talvolta nel giro di poche ore, essere trapiantato a migliaia di chilometri dalla propria sede di residenza. Potrebbe mai un sistema regolato competere a tal punto da scoraggiare trafficanti e contrabbandieri di organi? Crediamo di no»: F. Filipponi, Santi o schiavi?, Milano, 2010, p. 93.

[50] L. Gostin, A civil liberties analysis of surrogacy arrangements, in Law Medicine & Health Care, 16/1988, pp. 7-17.

[51] N. Ben-Asher, The curing law: on the legal evolution of baby-making markets, in Columbia public law & legal theory working papers, 19-02-2008, pp. 1-66; J. Bindel, Commercial surrogacy is a rigged market in wombs for rent, in The Guardian, 20 febbraio 2015; L. Exton, The baby business. What’s happened to maternity care in New Zeland, 2008; J. Margulis, The business of baby, Scribner, 2013, pp. 82-83; D. Spar – A. Harrington, Building a better baby business, in Minnesota Journal of law science & technology, 10/2009, pp. 41-69.

[52] E. Anderson, Is women’s labor a commodity?, in Philosophy and Public Affairs, 1/1990, pp. 71-92.

[53] Surrogate parenting v. Com. Ex Rel. Armstrong disponibile al seguente indirizzo internet: http://ky.findacase.com/research/wfrmDocViewer.aspx/xq/fac.19860206_0040273.KY.htm/qx

[54] C. Lalli, Nessuno scelga al posto delle donne sulla maternità surrogata, in L’internazionale, 10 novembre 2015.

[55] «L’autodeterminazione è tutta prospettica, vuole impadronirsi di un futuro che contiene l’imprevedibile, e quindi deve rimanere sempre “disponibile” per la persona interessata»: S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Bari, 2012, p. 276.

[56] «La volontà è l’elemento primo e originario […]. Ciascun uomo è quindi quel ch’egli è, per la sua volontà, e il suo carattere è originario; essendo il volere la base del suo essere»: A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, Bari, 1979, II, 69, p. 388.

[57] «Esistono limiti al diritto all’autodeterminazione? […]. Se la domanda viene posta in un contesto politico, la risposta sarà questa: esiste un solo limite: la non maleficenza. Se la domanda viene posta in un contesto bioetico, la risposta dovrà essere un’altra: il limite al rispetto dell’autodeterminazione è quello stesso del rispetto per la vita umana fragile e malata. Questa vita va rispettata in modo inderogabile, perché essa veicola un valore simbolico essenziale: tutte le vite sono parimenti degne e la dignità di ciascuna vita non può essere incrinata, diminuita o a maggior ragione tolta da qualsivoglia handicap, da qualsivoglia patologia, da qualsivoglia situazione di fragilità»: F. D’Agostino, Bioetica e biopolitica. Ventuno voci fondamentali, Torino, 2011, p. 15.

[58] A. Camus, L’uomo in rivolta, Milano, 2009, p. 89.

[59]http://espresso.repubblica.it/attualita/2016/02/01/news/michela-murgia-non-chiamatela-maternita-surrogata-1.248420

[60] «Da un punto di vista morale, sebbene possa destare perplessità, sviluppare una gravidanza e una maternità per un’altra donna, uomo, famiglia, non mi pare sia di per sé una pratica condannabile. Voglio dire, sebbene possa essere difficile separare i soggetti del binomio madre-biologica/madre-sociale in un contesto che vede il passaggio di un bambino/a dalle mani di una donna a quelle di un’altra, non mi pare che la GPA si caratterizzi come una pratica sempre negativa»: S. Pozzolo, op. cit., p. 98.

[61] E. Anderson, Why commercial surrogate motherhood unethically commodifies women and children, in Health care analysis, 8/2000, pp. 19-26; H. Krimmel, The case against surrogate parenting, in Hastings Center Report, 10/1983, pp. 35-39.

[62] J. Bindel, Surrogacy and gay couples, in New Feminism, 2 giugno 2015.

[63] C. Pateman, Il contratto sessuale, Bergamo, 2015, pp. 319-321.

[64] I. Svitak, Le origini dell’umanesimo socialista, in L’umanesimo Socialista, a cura di Erich Fromm, Bari, 1971.

[65] J. Muravchik, Il paradiso in terra. Ascesa e caduta del socialismo, Torino, 2005.

[66] G. Rohrmoser, Marxismo e umanità, Brescia, 1976, p. 15.

[67] «Marx volle essere un liberatore… Il suo scopo era la definitiva abolizione del dominio dell’uomo sull’uomo»: C. Antoni, Ciò che è vivo e ciò che è morto nella dottrina di Carlo Marx, Roma, 1944, p. 254.

[68] «La proprietà privata fondata sul lavoro personale, che si basa, per così dire, sulla intima connessione tra la singola e autonoma individualità lavoratrice e le sue condizioni di lavoro viene soppiantata dalla proprietà privata capitalistica, basata sullo sfruttamento di lavoro che in sostanza è di altri, ma che da un punto di vista formale è libero»: K. Marx, Il capitale, Roma, 1996, Libro I, 24, p. 548.

[69] K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Torino, 2004, p. 77.

[70] «Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, la classe che è la potenza materiale dominante è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale. Le idee dominanti non sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee: sono dunque l’espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio. Gli individui che compongono la classe dominante posseggono fra l’altro anche la coscienza, e quindi pensano; in quanto dominano come classe e determinano l’intero ambito di un’epoca storica, è evidente che essi lo fanno in tutta la loro estensione, e quindi fra l’altro dominano anche come pensanti, come produttori di idee che regolano la produzione e la distribuzione delle idee del loro tempo; è dunque evidente che le loro idee sono le idee dominanti dell’epoca»: K. Marx, L’ideologia tedesca, Milano, 1996, pp. 248-249.

[71] «Il dottor Voronof ha già annunziato la possibilità dell’innesto delle ovaie. Una nuova strada commerciale aperta all’attività esploratrice dell’iniziativa individuale. Le povere fanciulle potranno farsi facilmente una dote. A che serve loro l’organo della maternità? Lo cederanno alla ricca signora infeconda che desidera prole per l’eredità dei sudati risparmi maritali. Le povere fanciulle guadagneranno quattrini e si libereranno di un pericolo. Vendono già ora le bionde capigliature per le teste calve delle cocottes che prendono marito e vogliono entrare nella buona società. Venderanno la possibilità di diventar madri: daranno fecondità alle vecchie gualcite, alle guaste signore che troppo si sono divertite e vogliono ricuperare il numero perduto. I figli nati dopo un innesto? Strani mostri biologici, creature di una nuova razza, merce anch’essi, prodotto genuino dell’azienda dei surrogati umani, necessari per tramandare la stirpe dei pizzicagnoli arricchiti. La vecchia nobiltà aveva indubbiamente maggior buon gusto della classe dirigente che le è successa al potere. Il quattrino deturpa, abbrutisce tutto ciò che cade sotto la sua legge implacabilmente feroce. La vita, tutta la vita, non solo l’attività meccanica degli arti, ma la stessa sorgente fisiologica dell’attività, si distacca dall’anima, e diventa merce da baratto; è il destino di Mida, dalle mani fatate, simbolo del capitalismo moderno»: A. Gramsci, Scritti 1913-1926, Torino, 1984, p. 88.

[72] «Il denaro, possedendo la caratteristica di comprar tutto, di appropriarsi di tutti gli oggetti, è dunque l’oggetto in senso eminente. L’universalità di questa sua caratteristica costituisce l’onnipotenza del suo essere […]. Già in base a questa determinazione il denaro è dunque l’universale rovesciamento delle individualità, rovesciamento che le capovolge nel loro contrario e alle loro caratteristiche aggiunge caratteristiche che sono in contraddizione con quelle.
Sotto forma della potenza sovvertitrice qui descritta il denaro si presenta poi anche in opposizione all’individuo e ai vincoli sociali, ecc., che affermano di essere entità per se stesse. Il denaro muta la fedeltà in infedeltà, l’amore in odio, l’odio in amore, la virtù in vizio, il vizio in virtù, il servo in padrone, il padrone in servo, la stupidità in intelligenza, l’intelligenza in stupidità. Poiché il denaro, in quanto è il concetto esistente e in atto del valore, confonde e inverte ogni cosa, è la universale confusione e inversione di tutte le cose, e quindi il mondo rovesciato, la confusione e l’inversione di tutte le qualità naturali ed umane
»: K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Torino, 2004, pp. 144-149.

[73] D. Fusaro, «Utero in affitto. Il corpo che diventa merce», in Il Fatto Quotidiano, 15 gennaio 2016.

[74] K. Marx, citato in A.R. Vitale, Gender. Questo sconosciuto, Verona, 2016, p. 94.

[75] «V’è da pensare che lo sviluppo ad oltranza della tecnica tende a sovrapporre quest’ultima alla vita»: G. Marcel, L’uomo contro l’umano, Roma, 1963, pp. 76-77.

[76] «La causa del contratto di vendita, ossia la sua funzione economico-sociale, viene indicata nello scambio di un diritto verso un corrispettivo pecuniario (prezzo)»: AA.VV., Dei singoli contratti, Milano, 2005, p. 11.

[77] E. Mounier, Il personalismo, Roma, 2004, p. 30.

[78] «Dignità è dunque connessa sia al fatto che l’uomo si differenzia dal resto della natura, perché è l’unico animal rationale»: P. Becchi, Il principio dignità umana, Brescia, 2013, p. 8.

[79] N. Berdjaev, Schiavitù e libertà dell’uomo, Milano, 2010, p. 105.

[80] Contro una simile deriva la dottrina sociale della Chiesa, branca della teologia morale, è molto chiara: «La gerarchia dei valori, il senso profondo del lavoro stesso esigono che sia il capitale in funzione del lavoro, e non il lavoro in funzione del capitale»: Giovanni Paolo II, Laborem exercens, n. 23.

[81] P. Perulli, Il dio contratto, Torino, 2012, p. 28.

[82] F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, Milano, 1996, n. 108, p. 115.

[83] S. Cotta, Il diritto nell’esistenza. Linee di ontofenomenologia giuridica, Milano, 1991, p. 219.

[84] «Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri?»: S. Agostino, La città di Dio, Roma, 2000, IV, 4, p. 171.

[85] «Una legge tirannica, essendo difforme dalla ragione, non è una legge in senso assoluto, ma è piuttosto una perversione della legge»: S. Tommaso D’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 92, a. 1, ad 4

[86] «Lex esse non videtur quae iusta non fuerit»: S. Agostino, De libero arbitrio, I,5.

[87] «Ridotto ad un insieme di norme tecniche […] il diritto viene pensato dai positivisti alla stregua di uno degli strumenti sistemici dell’ordine sociale, il che indubbiamente esso è, purché però non si dimentichi che un ordine, in quanto tale, può anche essere, al limite, atrocemente ingiusto, come quello concentrazionario di un Lager. La dottrina giuspositivistica potrà anche ritenere che il regolamento interno di un campo di concentramento sia autentico diritto, ma dovrà pur riconoscere come sensata l’opinione assolutamente contraria di tutti coloro che sono in esso incarcerati»: F. D’Agostino, Corso breve di filosofia del diritto, Giappichelli, Torino, 2011, p. 53.

[88] «Il giusnaturalismo attribuisce all’uomo dei diritti che sono inalienabili, riconosce, cioè, nella coscienza dell’individuo una sovrana dignità e autorità morale, cui non può abdicare»: C. Antoni, La restaurazione del diritto di natura, Venezia, 1959, pp. 35-36.

[89] Cicerone, Delle leggi, Bologna, 1972, I, X, p. 37.

[90] M. Sandel, Giustizia. Il nostre bene comune, Milano, 2010, p. 163.

[91] «L’imperativo pratico sarà dunque il seguente: agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia nella persona di ogni altro, sempre anche come scopo, né mai come semplice mezzo»: I. Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, Milano, 1995, pp. 169-171.

[92] I. Kant, op. cit., p. 183.

[93] S. Cotta, op. cit., p. 209.

[94] «Lord Robert Winston, un luminare della fertilità, ha affermato che la gravidanza maschile sarebbe senz’altro possibile, e non sarebbe diversa da una gravidanza ectopica femminile, solo che per portarla avanti si dovrebbe riempire l’uomo di ormoni femminili. In questo caso, il feto verrebbe impiantato nell’addome di un uomo zeppo di ormoni, con una placenta artificiale collegata ad un organo interno come l’intestino»: A. Prasad, Storia naturale del concepimento. Come la scienza può cambiare le regole del sesso, Torino, 2015, pp. 214-215.

[95] «E se invece rappresentasse uno strumento di uguaglianza? []. L’utero artificiale, un progetto lontano dall’essere ancora realizzabile, potrebbe consentire quell’uguaglianza che la biologia – e non solo, ovviamente – ostacola […]. Le donne potrebbero scegliere di ricorrere all’utero artificiale, allargando il loro spazio di libertà. Quella libertà non sarebbe solo fisica. Il peso sociale della gestazione e della riproduzione ha effetti anche sul lavoro (alle donne è richiesto di scegliere tra carriera e famiglia molto più che agli uomini) e sul paternalismo medico […]. L’utero artificiale non è certo una bacchetta magica, ma potrebbe essere un modo per attenuare la disparità di genere, quelle regole che sembrano uscire dall’età vittoriana e i pregiudizi che rendono spesso più difficile per le donne il rifiuto del loro destino»: C. Lalli, L’utero artificiale renderà le donne più libere, in L’Internazionale, 16 maggio 2016 (http://www.internazionale.it/opinione/chiara-lalli/2016/05/16/utero-artificiale-donne-liberta).

[96] AA.VV., Ectogenesis, in European journal of medical technologies, 3/2015; H. Atlan, L’utero artificiale, Giuffrè, Milano, 2006; S. Welin, Reproductive ectogenesis: the third era of human reproduction and some moral consequences, in Science and engineering ethics, 10/2004.

[97] «Per sua essenza la Tecnica è disintegrazione della struttura delle cose al fine di ridurle, prive di forma propria, a pura energia quantitativa consegnabile alla piena disponibilità dell’uomo; la Tecnica allora è espressione radicale dell’oblio dell’essere, presente anche nell’essere e nel destino delle cose […]. L’individuo si ritrova perciò consegnato all’universo della separazione: separato dalla natura, dagli altri, dall’essere»: S. Cotta, L’ uomo tolemaico, Milano, 1975, pp. 140-141.

[98] E. Badinter, L’uno e l’altra. Sulle relazioni tra l’uomo e la donna, Milano, 1986, p. 268.

[99] «La donazione dei gameti, anche se animata dal solo scopo di liberalità non può ricevere un giudizio etico positivo poiché è la stessa presenza del donatore che frantuma l’unità familiare operando uno sdoppiamento delle figure genitoriali innaturale […]. Il fatto che venga prospettato l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita anche alle coppie omosessuali o alle donne single è la chiara dimostrazione che tali tecniche hanno come loro finalità primaria la soddisfazione del desiderio degli adulti, indipendentemente da ogni ulteriore considerazione»: B. Fisso, Donazione di gameti, in Enciclopedia di bioetica e scienza giuridica, Napoli, 2011, Vol. IV, pp. 758-759.

[100] CNB, La donazione da vivo del rene a persone sconosciute (c.d. donazione samaritana), 23 aprile 2010, pp. 17-18.

[101] R. Guardini, Persona e personalità, Brescia, 2006, pp. 46-48.

[102] F. Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 2002, p. 51.

[103] Cfr. Michela Murgia su “L’Espresso” (http://espresso.repubblica.it/attualita/2016/02/01/news/michela-murgia-non-chiamatela-maternita-surrogata-1.248420); Carlo Flamigni su “Il fatto quotidiano” (http://tv.ilfattoquotidiano.it/2016/02/16/unioni-civili-carlo-flamigni-ai-cattodem-maternita-surrogata-primo-esempio-e-nella-bibbia/480505/); Umberto Veronesi su “Il Corriere della Sera” (http://27esimaora.corriere.it/articolo/veronesi-il-mio-si-allutero-in-affitto/).

[104] Gn., 21,8-21.

[105] Cfr. il caso deciso in Illinois nel 1954 Doornbos v. Doornbos.

[106] Sul punto illuminante la spiegazione offerta da S. Agostino nel libro XV del suo De civitate Dei.

[107] «La rabbia e l’amarezza di Sara un bel giorno scoppiarono violente. In uno scatto d’ira e di vendetta, a lungo represse, ella pretese soddisfazione da Abramo»: L. Kolakowski, La chiave del cielo, Brescia, 1982, p. 63.

[108] D. Friedmann, Diritto e morale nelle storie bibliche, Milano, 2008, p. 345.

 

[109] «La storia di Abramo e Sara insegna, con schietto realismo, che la tentazione di far da sé è inevitabile e può anche avere la meglio. Nondimeno, essa racconta di una promessa, quella di Dio, che pazientemente si ripropone alla coppia affinché, al venir meno delle attese sperate, non si rinchiuda nell’incredulità, ma si apra alla vera speranza di Colui che non delude»: A. Fumagalli, E Dio disse loro… Storie d’amore nella Bibbia, Cinisello Balsamo, 2013, p. 16.

[110] M. Horkheimer, La nostalgia del totalmente altro, Brescia, 2008, p. 103.

[111] «Credo che occorrerebbe lavorare su più fronti, per esempio anche su quello dell’adozione, della maggior consapevolezza della genitorialità, della produzione dei desideri che divengono bisogni, e credo che non vada  sottovalutata la performatività del diritto, soprattutto da parte di chi propone una regolamentazione della GPA, giacché, anche senza volerlo, si può incentivarne la normalizzazione e la diffusione, dandole un’aura positiva solo perché regolata, senza alcuna seria riflessione e discussione sui valori e i soggetti coinvolti»: S. Pozzolo, Gestazione per altri (ed altre), in Rivista di biodiritto, 2/2014, pag. 107.

[112] «Il “bisogno di genitorialità” (e il relativo diritto, che trasforma il bisogno in una pretesa giuridicamente tutelata) non è figlio della società dei consumi e della conseguente mercificazione della vita e dei suoi misteri, come troppo spesso si è portati a credere»: R. Bin, Maternità surrogata: ragioni di una riflessione, in Rivista di biodiritto, 2/2014, p. 1.

[113] «La società, quale appare all’economista, è la società civile, in cui ogni individuo è un insieme di bisogni, ed è per l’altro, cosi come l’altro è per lui, soltanto nella misura in cui diventano reciprocamente mezzi l’uno dell’altro»: K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Torino, 2004, p. 135.

[114] K. Marx, Il capitale, Roma, 1996, Libro I, 24, p. 450.

[115] S. Pozzolo, ult. op. cit., pp. 109-110.

[116] «La merce è una cosa che mediante le sue qualità soddisfa bisogni umani di qualunque specie»: K. Marx, ult. op. cit., p. 53.

[117] A. Kojève, Linee di una fenomenologia del diritto, Milano, 1989, p. 497.

[118] R. Dworkin, Questioni di principio, Milano, 1990, p. 277.

[119] S. Cotta, Il diritto come sistema di valori, Cinisello Balsamo, 2004, p. 49.

[120] F. D’Agostino, Corso breve di filosofia del diritto, Torino, 2011, p. 38.

[121] S. Cotta, Perché il diritto, Brescia, 1979, p. 100.

[122] J. Finnis, Gli assoluti morali, Milano, 1993, p. 35.