Stefano Nitoglia
Avvocato in Roma

Covid-19 e libertà religiosa*

 

Sommario: 1. La successione delle norme eccezionali – 2. Verso il superamento della democrazia parlamentare? – 3. La sospensione delle cerimonie religiose: un vulnus al regime concordatario? ‒ 4. Può lo Stato disporre unilateralmente in materie concordatarie? ‒ 5. Accordi bilaterali per regolare in futuro situazioni analoghe? ‒ 6. Il Protocollo per la graduale ripresa delle celebrazioni liturgiche con il popolo ‒ 7. Il diritto alla libertà religiosa ‒ 8. Domande finali.

 

  1. La successione delle norme eccezionali

 

In questo breve saggio analizzerò, senza l’ambizione di dare una risposta definitiva, i problemi che si sono venuti a creare in seguito alle norme eccezionali emanate in Italia per far fronte alla pandemia del Covid-19, rispetto ai rapporti tra Stato e Chiesa, con particolare riferimento alla libertà religiosa, quella libertà definita da Alexis de Tocqueville come «la prima, la più santa, la più sacra di tutte le libertà umane»[1].

In materia si sono succedute diverse norme, tra d.l., d.p.c.m. e circolari. Tutto è principato con il d.l. n. 6/2020 del 23 febbraio, che prevede in termini generali misure di contenimento contro la diffusione del contagio e rinvia per la loro specificazione a successivi atti del Governo.

In questo solco si è quindi inserito il d.p.c.m. 8 marzo 2020, norma di rango secondario nella gerarchia delle fonti, definito senza precedenti nella storia repubblicana[2], il quale, all’art. 2, comma 1, lett. v, disponeva che «l’apertura dei luoghi di culto è condizionata all’adozione di misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi, e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro di cui all’allegato 1, lettera d). Sono sospese le cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri».

Questo d.p.c.m. è stato criticato da più parti. Sabino Cassese, giudice emerito della Corte costituzionale, ha ricordato che la profilassi internazionale spetta esclusivamente allo Stato (art. 117 comma 2, lettera q, della Costituzione), il quale in questa materia agisce con leggi. Queste leggi possono delegare al governo compiti e definirne i poteri. E già questo è un primo motivo di illegittimità di questo decreto, di natura amministrativa e non legislativa. Altri profili di illegittimità Cassese ha ravvisato nella mancata fissazione di un termine, nella non tipizzazione dei poteri, elencati solo esemplificativamente, e nella omessa definizione delle modalità di esercizio degli stessi[3].

Secondo l’ex giudice costituzionale, sarebbe stato meglio e più opportuno, in un’ottica di garanzia costituzionale, invece di abusare dei decreti del presidente del Consiglio dei ministri, ricorrere a decreti presidenziali, atteso che il presidente della Repubblica è, insieme al Parlamento e alla Corte costituzionale, uno degli «organi di garanzia più diretti». In un’altra intervista, il giurista ha rincarato la dose: «i Dpcm violano la libertà e sono frutto di poteri illegittimi. (…) Il Governo ha agito in maniera confusa e contro alcuni principi base della Costituzione (…) neppure la più terribile delle dittature ha limitato la libertà di andare e venire, di uscire di casa, per di più selettivamente limitata per categorie di persone o a titolo individuale indicate in atti amministrativi»[4].

Di “sbrego costituzionale”, a proposito del d.l. n. 6/2020, che “sorregge” il d.p.c.m dell’8 marzo 2020, ha invece parlato Nicola Colaianni[5]. Altri, al contrario, volendo cercare una logica nelle scelte del governo, hanno sostenuto che la cornice giuridica nella quale si situava la citata normativa eccezionale era quella del Codice di protezione civile[6] (il d.lgs. n. 1/2018), in base al quale il presidente del Consiglio dei ministri «detiene i poteri di ordinanza in materia di protezione civile» (art. 5); il Consiglio dei ministri può deliberare lo «stato di emergenza di rilievo nazionale» (art. 24), e, quindi, autorizzare l’adozione di ordinanze di protezione civile, «in deroga ad ogni disposizione vigente» (art. 25).

Senza entrare nel merito del problema, va detto che l’art. 25 del Codice di protezione civile, consentendo l’adozione di ordinanze in deroga alla legge, presenta elevati profili di incostituzionalità perché, essendo le dette ordinanze semplici atti amministrativi, non possono limitare diritti soggettivi, e a maggior ragione diritti costituzionali. Lo stesso dicasi per i d.p.c.m.

A coloro che hanno sostenuto che i d.p.c.m. sono stati “sorretti” dalla normativa primaria costituita dai vari decreti-legge ex art. 77 Cost.,  che si sono succeduti nel tempo di emergenza, c’è chi ha ricordato che «l’art. 77, già con l’emergenza terroristica, aveva mostrato i suoi limiti quanto alla tipizzazione delle fattispecie criminali introdotte, poi ricondotte a razionalità e legalità, nei limiti del possibile, da molteplici interventi della giurisprudenza»; e ha altresì sostenuto che «davanti all’emergenza sanitaria, da affrontare con un diritto di ampia discrezionalità come quello amministrativo, l’art. 77 ha ceduto piuttosto il campo all’art. 78, il quale prevede che, deliberato lo stato di guerra, le Camere diano al governo i ‘poteri necessari’»[7].

 

  1. Verso il superamento della democrazia parlamentare?

 

La normazione eccezionale si è inserita nella (relativamente) nuova tendenza dell’esecutivo a divenire “dominus” della politica[8], operando uno «schiacciamento della rappresentanza politica sui poteri demiurgici della ‘tecnica’ e sull’esaltazione delle relative modalità di decisione, con un conseguente atteggiamento di indulgenza per i costi che ne derivano in termini  di democrazia costituzionale»[9] con «la rimozione della costituzione dall’orizzonte dell’azione di governo e la riduzione delle promesse ‘eccessive’ della democrazia costituzionale»[10].

Questa nuova tendenza giunge al punto di sostenere che nelle situazioni di emergenza il regime democratico potrebbe dimostrarsi «inadatto a rispondere alle esigenze di un ambiente più orientato alla rapidità e alla tempestività delle decisioni, (…) disfunzionale rispetto alle pressioni esterne” per cui sarebbe auspicabile un “adattamento (…) tramite una limitazione contingente del paradigma decisionale democratico»[11]. Si tratta di una tendenza assai pericolosa, che presenta profili di dubbia costituzionalità[12].

La stessa presidente della Consulta, Marta Cartabia, nella relazione annuale sul funzionamento della Corte, ha messo in guardia dalla sospensione dei diritti fondamentali mediante il ricorso alla legislazione speciale, pur in tempi eccezionali e di crisi: «La  nostra  Costituzione  non  contempla  un  diritto  speciale  per  lo  stato  di emergenza sul modello dell’art. 48 della Costituzione di Weimar o dell’art. 16 della Costituzione francese, dell’art. 116 della Costituzione spagnola o dell’art. 48 della Costituzione   ungherese. Si tratta di una scelta consapevole. Nella Carta costituzionale non si rinvengono clausole di sospensione dei diritti fondamentali da attivarsi nei tempi eccezionali, né previsioni che in tempi di crisi consentano alterazioni nell’assetto dei poteri»[13].

 

  1. La sospensione delle cerimonie religiose: un vulnus al regime concordatario?

 

La sospensione delle cerimonie civili e religiose è stata ribadita dal decreto-legge n. 19 del 25 marzo 2020, con l’aggiunta della possibilità di «limitazione dell’ingresso nei luoghi destinati al culto», non contemplata dal d.p.c.m. dell’8 marzo 2020. È significativo che in una bozza del d.l. n. 19/2020, che circolava prima della firma e della pubblicazione, fosse contemplata anche la «completa chiusura» dei luoghi di culto, chiusura poi non ripresa nel testo definitivo.

Vi è stata, poi, la circolare del 27 marzo 2020 del Dipartimento per le libertà civili e dell’immigrazione del Ministero dell’Interno (c.d. circolare Di Bari, dal nome del prefetto che l’ha emanata, capo del predetto Dipartimento), con la quale si stabiliva che non rientravano nel divieto normativo «le celebrazioni liturgiche senza il concorso dei fedeli e limitate ai soli celebranti ed agli accoliti necessari per l’officiatura del rito», e per la Settimana Santa si precisavano addirittura dettagliatamente il numero e le funzioni dei  partecipanti «limitato  ai  celebranti,  al diacono, al lettore, all’organista, al cantore ed agli operatori per la trasmissione». In questo caso, con un atto amministrativo di un’articolazione secondaria dello Stato si è stabilito quello che si poteva fare all’interno delle Chiese e chi lo poteva fare. In pratica, si è trattato di una intromissione nelle funzioni e attività liturgiche, riservate esclusivamente alle gerarchie ecclesiastiche, per come vedremo più avanti.

Il 10 aprile 2020 è intervenuto l’ennesimo d.p.c.m., il quale, all’art. 1 comma 1, lettera i, ha ripreso letteralmente quanto stabilito nel primo d.p.c.m. sull’apertura condizionata dei luoghi di culto e la sospensione delle cerimonie civili e religiose. Infine, il d.p.c.m. del 26 aprile 2020, all’art. 1 co. 1 lett. i, dopo aver ribadito che «l’apertura dei luoghi di culto è condizionata all’adozione di misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi, e tali da garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro», ha confermato la sospensione delle cerimonie religiose, con la sola esclusione di quelle funebri (e a condizione per queste che vi partecipino non più di 15 «congiunti», con mascherine e distanziati).

Con la suddetta normativa eccezionale, seppure non sia stata impedita la professione privata della religione né sia stato precluso direttamente l’accesso ai luoghi di culto, bensì prevedendosene “soltanto” la “limitazione”, è stato interdetto, seppur temporaneamente ed eccezionalmente, l’esercizio pubblico della religione, con il blocco delle cerimonie sia in chiesa, sia all’aperto o altrove.

Tale normativa, dai confini vaghi, che molto lasciano a una discrezionalità applicativa suscettibile di diventare arbitraria, collide con l’art. 7 della Costituzione, che prevede l’indipendenza e la sovranità della Chiesa, creando, in tal modo, un pericoloso contrasto nei rapporti tra i due ordinamenti, entrambi indipendenti e sovrani. Né si può tacere, per altro verso e per quanto riguarda i culti diversi da quello cattolico, l’antinomia con l’art. 8 della Costituzione, che garantisce la libertà di tutte le confessioni religiose davanti alla legge.

Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, come è noto, i rapporti tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana sono regolati dai Patti Lateranensi dell’11 febbraio 1929, sottoposti a revisione con l’Accordo del 18 febbraio 1984.

I Patti Lateranensi sono stati espressamente richiamati dall’art. 7 della Costituzione italiana del 1948: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale».

In tale modo è stato costituzionalizzato il principio pattizio e gli accordi di modifica godono di copertura costituzionale ex art. 10 della Costituzione.

Nel 1984, con l’Accordo stipulato il 18 febbraio di quell’anno tra le due parti, venne modificato il Concordato (non il Trattato). L’art 2 dell’Accordo stabilisce: «La Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica».

Nel sospendere le cerimonie, tale normativa ha inciso e interferito in una delle attività fondamentali della Chiesa, quella della santificazione: «La chiesa adempie la funzione di santificare in modo peculiare mediante la sacra liturgia», recita il canone 834 del codice di diritto canonico. E il successivo canone 838, al paragrafo 1, stabilisce: «regolare la sacra liturgia dipende unicamente dall’autorità della Chiesa: ciò compete propriamente alla Sede Apostolica e, a norma del diritto, al Vescovo diocesano», al quale «Vescovo diocesano nella Chiesa lui affidata spetta, entro i limiti della sua competenza, dare norme in materia liturgica, alle quali tutti sono tenuti».

Sospendere, seppur per motivi eccezionali, la cui validità nessuno contesta, pur se per un tempo ristretto, l’ufficio fondamentale della santificazione vuol dire limitare la missione e invadere il campo specifico della Chiesa. Solo ed unicamente all’autorità ecclesiastica compete, infatti, come visto, regolare la sacra liturgia. Sospendere le cerimonie religiose e regolamentare l’accesso alle chiese significa, ancora, rendere assai difficile, se non impedire ai fedeli la fruizione degli aiuti spirituali assicurati dalla sacra scrittura e dai sacramenti, aiuti ai quali essi hanno diritto secondo il canone 213 del codice di diritto canonico[14] e dei quali beneficiano in modo particolare durante le cerimonie sacre.

L’ultimo d.p.cm. (al momento in cui scriviamo, precisazione necessaria, dato il rincorrersi di tali provvedimenti), quello del 26 aprile 2020, ha ribadito i precedenti divieti e ha permesso la celebrazione delle sole Messe funebri con la presenza di non più di 15 congiunti, con l’uso di mascherine e distanza tra i presenti. Appare evidente l’incoerenza e l’illogicità di tale provvedimento che, nelle medesime condizioni ambientali, stabilisce unilateralmente quali siano le Messe “lecite” (quelle funebri) e quali no, attuando un comportamento discriminatorio, ingerendosi in ambiti non propri e andando ancora una volta ad incidere unilateralmente, come era accaduto con la circolare Di Bari (supra), su materie regolate dal Concordato.

Tali vizi si rilevano anche rispetto ad altre situazioni. Si sono vietate, infatti, cerimonie religiose a motivo del pericolo di contagio, ammesso e non concesso che in determinate condizioni (dimensioni delle chiese in rapporto al numero dei fedeli, banchi distanziati ecc.) tale pericolo potesse sussistere, mentre si sono permesse altre attività dove tale rischio non era minore (supermercati, banche, attività motoria all’aperto).

Questa arbitrarietà autoritaria è stata autorevolmente denunciata dal presidente emerito della Corte costituzionale, Antonio Baldassarre: «Anche qui c’è un arbitrio autoritario: Se io faccio entrare le persone in un supermercato con il rispetto del distanziamento sociale, perché non in una chiesa? Mangiare è un bisogno fondamentale, ma anche il culto per un credente. Per la Costituzione sono pari libertà quella al sostentamento e quella spirituale»[15]. Tale arbitrarietà, secondo Baldassarre, ha investito anche altri, più generali, ambiti: «Limitare le libertà con un Dpcm, è un atto, in tutto, incostituzionale. Specchio della arbitrarietà generale e del pensiero autoritario del presidente del Consiglio sono espressioni apparentemente marginali, ma ieri da lui frequentemente usate, come ‘noi consentiamo’, ‘noi permettiamo’»[16].

 

  1. Può lo Stato disporre unilateralmente in materie concordatarie?

 

Vi è, però, chi sostiene che in materia di salute lo Stato può disporre unilateralmente, non tenendo conto del Concordato – che ormai non godrebbe più della copertura dell’art. 7 Cost. ‒ giungendo fino alla chiusura delle chiese (come, del resto, era previsto nella bozza del d.l. n. 19/2020), perché l’interesse religioso, anche se meritevole di tutela, deve cedere di fronte al superiore interesse dello Stato alla protezione della salute dei cittadini; motivo per cui non vi sarebbe stata violazione del Concordato[17]. Tale tesi è isolata e ha contro autorevole dottrina, secondo la quale, anche quando legifera in materia di diritti fondamentali e costituzionalmente garantiti, quali quello della salute, se lo Stato tocca diritti e libertà garantiti a livello concordatario, mette in discussione situazioni giuridiche garantite costituzionalmente ex art. 7 comma 2 della Costituzione[18].

Secondo altri[19] questo enunciato non ha altresì fondamento perché non considera che il Concordato sarebbe assimilabile a un trattato internazionale[20], per cui ogni misura che vada ad incidere su situazioni garantite da trattati internazionali – pur se diretta alla tutela di altri diritti fondamentali – deve essere presa bilateralmente nel rispetto delle regole e delle procedure stabilite dalla normativa pattizia e internazionale, secondo il principio di diritto internazionale consuetudinario “pacta sunt servanda”. Oltre che dal diritto internazionale, ciò è garantito anche dalla Costituzione, perché lo Stato, nell’esercitare la sua potestà legislativa, deve rispettare «i vincoli derivanti dagli obblighi internazionali» (art. 117 Cost., comma 1).

 

  1. Accordi bilaterali per regolare in futuro situazioni analoghe?

 

Ora, ritenuto che la bilateralità nei rapporti con tutte le confessioni religiose e, soprattutto con quella cattolica, è la norma in materia, come stabiliscono diverse sentenze della Consulta, tra le quali la n. 346/2002, la n. 235/1997 e la n. 59/1958 [21], occorre vedere quale sia lo strumento più adatto a regolare in via bilaterale i rapporti tra Stato e Chiesa in generale ed anche in eventuali analoghi scenari emergenziali, legati non solo alla salute ma pure ad altre situazioni (economiche, di ordine pubblico, di guerra ecc.).

Pur se è vero che in questa occasione lo Stato ha ottenuto la pronta collaborazione della Conferenza episcopale italiana, la quale, fino al comunicato di protesta del 26 aprile 2020 contro il d.p.c.m. del giorno stesso, che ha ribadito la normativa in materia, ha mantenuto un atteggiamento defilato[22], non condiviso da molti, il problema merita di essere esaminato, per non farsi trovare impreparati in futuro.

I Patti Lateranensi, nel cui ambito è ricompreso il Concordato, furono negoziati e siglati tra la Santa Sede e il Regno d’Italia in persona dei rispettivi plenipotenziari, il card. Pietro Gasparri, segretario di Stato per la Santa Sede e il capo del governo italiano, Benito Mussolini. L’Accordo di revisione del Concordato del 1984, dal canto suo, fu firmato dal presidente del Consiglio di allora Bettino Craxi per l’Italia e dal Segretario di Stato card. Agostino Casaroli per la Santa Sede.

Pertanto, atti che vadano ad incidere su materie concordatarie, esigono una previa negoziazione agli stessi livelli. Il “Nuovo Concordato” del 1984, detto anche Accordo di Villa Madama, prevede più specifici diversi strumenti. Il comma 2 dell’art. 13 dell’Accordo del 1984 stabilisce: «Ulteriori materie per le quali si manifesti l’esigenza di collaborazione tra la Chiesa cattolica e lo Stato potranno essere regolate sia con nuovi accordi tra le due Parti sia con intese tra le competenti autorità dello Stato e la Conferenza episcopale italiana»; e l’art. 14 aggiunge: «Se in avvenire sorgessero difficoltà di interpretazione o di applicazione delle disposizioni precedenti, la Santa Sede e la Repubblica italiana affideranno la ricerca di un’amichevole soluzione ad una Commissione paritetica da loro nominata».

Secondo il canonista Vincenzo Pacillo, lo strumento più agile e più adatto per intervenire in situazioni di emergenza, che contemplano tempi brevi di risoluzione, è quello della Commissione paritetica prevista dall’art. 14 dell’Accordo del 1984[23]. Ciò non esclude che in previsione di analoghi futuri scenari emergenziali le due parti non possano prevedere accordi-quadro da negoziare ai massimi livelli tra Segreteria di Stato vaticana e presidenza del Consiglio, come previsto dal primo periodo dell’art. 13 dell’Accordo di Villa Madama oppure, a livello inferiore, con “intese” tra le competenti autorità dello Stato e la Conferenza episcopale italiana, come stabilito dal secondo periodo del detto articolo 13.

Nel negoziare questi accordi o intese occorrerà mantenere ben saldi i princìpi, tenendo presente che «questi tipi d’interventi, tramite normative ‘speciali’, si applicano, solo ed esclusivamente, fino a quando perdura la situazione di eccezionalità», perché «Le leggi di uno Stato hanno dei limiti nei confronti della legge/diritto naturale, in quanto una legge dello Stato che coartasse senza giusta causa la libertà naturale sarebbe irrazionale ed ingiusta»[24]. Si tratta di temi sui quali, a quanto mi consta, mancano studi approfonditi e sui quali sarebbe bene concentrarsi fin da ora.

 

  1. Il Protocollo per la graduale ripresa delle celebrazioni liturgiche con il popolo

 

Le parti hanno, invece, scelto un’altra strada. Il 7 maggio 2020, infatti, il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno, ha divulgato il testo di un Protocollo «riguardante la graduale ripresa delle celebrazioni liturgiche con il popolo» in «applicazione delle misure di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 previste dal d.p.c.m. 26 aprile 2020», predisposto dalla Conferenza Episcopale Italiana e sottoscritto dal card. Gualtiero Bassetti, nella qualità di presidente della C.E.I., dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dal Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese.

In questo Protocollo, «nel rispetto della normativa e delle misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica da Covid-19», è stata contemplata, a partire dal 18 maggio 2020, la graduale ripresa delle celebrazioni liturgiche con il popolo. Ciò per tutti i sacramenti, con espressa esclusione della Cresima ‒ non si capisce perché ‒ e non menzione del sacramento dell’Ordine, e solo a determinate condizioni: accesso individuale in chiesa contingentato, uso di mascherine da parte dei fedeli, di mascherine e guanti da parte del celebrante, rispetto della distanza di sicurezza pari ad almeno mt. 1,5, igienizzazione dei luoghi e dei vasi sacri e ampolline, omissione dello scambio del segno di pace, distribuzione della Comunione senza che le mani del celebrante vengano a contatto con quelle dei fedeli, amministrazione del sacramento della Penitenza in luoghi ampi ed areati ecc.

Innanzitutto, occorre chiedersi perché tale Protocollo sia giunto così tardi e perché non sia stato redatto prima. Il Protocollo riguarda le celebrazioni liturgiche “con il popolo” e all’interno delle chiese. Quid iuris nei riguardi di celebrazioni liturgiche sine populo, atteso che occorre comunque rispettare la normativa e le misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica da Covid-19?

Penso, ad esempio, alla necessità urgente di assicurare il conforto dei sacramenti della Confessione e dell’Unzione degli Infermi a un moribondo nell’estremo momento della morte (non si muore solo di Covid-19, ma anche di altre patologie) in abitazioni private, tenuto conto che in esse le visite sono consentite solo ai “congiunti” (termine peraltro molto criticato perché non giuridico) e per motivi di necessità. Oppure in ospedale. È o non è consentito? E a quali condizioni?

Inoltre, poiché, come visto, le uniche forme previste dalle intese concordatarie (art. 13, comma 2, e art. 14 dell’Accordo di Villa Madama del 1984), per la revisione e/o la risoluzione dei problemi che toccano i rapporti tra Stato e Chiesa consacrati dal Concordato sono: a) nuovi accordi tra la Santa Sede e la Repubblica italiana, b) intese tra le competenti autorità dello Stato con la Cei; c) nomina da parte della Santa Sede e della Repubblica italiana di una commissione paritetica ad hoc, penso sia lecito domandarsi ‒ e domandare alle competenti Autorità ‒ il perché non si siano seguite tali procedure, e quali siano le norme o le prassi che legittimino tale apparentemente nuovo modus procedendi e, comunque, quale significato giuridico attribuire ad esso.

                

  1. Il diritto alla libertà religiosa

 

Le norme eccezionali hanno inciso anzitutto sulla libertà costituzionale, garantita dall’art. 19 della Costituzione, che hanno tutti i cittadini, a qualsiasi religione o confessione appartengano, di professare liberamente la loro fede e di esercitarne in privato o in pubblico il culto. «Tutti» ‒ recita il citato art. 19 Cost. ‒ «hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume».

Questo vale anche in ambito UE. L’art. 9 della CEDU stabilisce ‒ nel suo primo paragrafo – che «ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione», diritto che include «la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti».

A ciò si aggiunge, nel secondo paragrafo, che le manifestazioni succitate non possono essere «oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui». Questo significa che eventuali restrizioni alla libertà religiosa non possono essere stabilite da provvedimenti amministrativi, come è avvenuto nel caso dei d.p.c.m. in questione, ma solo dalla legge, rispettando, peraltro, rigorosamente il principio di proporzionalità tra la situazione di necessità e le limitazioni imposte[25].

 

  1. Domande finali

 

Bisognerà stabilire – e questo sarà il compito della dottrina e della giurisprudenza – se la normativa di eccezione anti Covid-19 sia stata ispirata a quei princìpi di necessità, proporzionalità, ragionevolezza, bilanciamento e temporaneità che possono giustificare una compressione dei diritti, tenendo in ogni caso presente che si tratta di diritti di rango costituzionale[26]. È necessario un giusto bilanciamento tra autorità e libertà. Ponendo l’accento, nel caso si crei uno squilibrio, sul diritto che più viene coartato in un dato momento storico. Nel nostro caso, mi pare di poter dire che nell’epoca che stiamo vivendo – e la vicenda Covid-19 lo conferma ‒ ad essere sacrificata più che l’autorità sia la libertà, di fronte ad un potere che assume sempre più caratteri dispotici e irragionevoli.

Dobbiamo, in conclusione, porci una serie di domande. Se passa il principio che circostanze eccezionali, per ora collegate a questioni di salute, possono limitare le libertà costituzionali dei cittadini e quelle della Chiesa (anch’esse costituzionalmente garantite), cosa potrebbe accadere, in futuro, in circostanze eccezionali di diverso tipo? In quali materie e per quanto tempo si possono giustificare tali limitazioni? Possono esse divenire definitive? Non si rischia di stravolgere i princìpi basilari del nostro ordinamento giuridico? Sono temi importanti e delicati da approfondire e da portare all’attenzione delle Autorità sia ecclesiastiche che civili.

 

* Contributo sottoposto a valutazione.

 

[1]A. de Tocqueville, Discorso sulla libertà religiosa, in Id., Scritti politici, a cura di N. Matteucci, vol. I, Torino, 2013, p. 228 ss.

[2] Così A. Candido, parlando del d.p.c.m. 8 marzo 2020 e del d.p.c.m. 9 marzo 2020, che nulla ha aggiunto al primo per quanto riguarda il tema del diritto al culto, in Poteri normativi del Governo e libertà di circolazione al tempo del Covid-19, in Forum di quaderni Costituzionali, 10 marzo 2020.

[3] Cfr. Intervista rilasciata da Sabino Cassese a Il Dubbio, il 14 aprile 2020, in https://bit.ly/2M9EtDE.

[4] Cfr. Intervista a Sabino Cassese, Il Tempo, 27 aprile 2020.

[5] N. Colaianni, La libertà di culto al tempo del coronavirus, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (https://www.statoechiese.it), fascicolo n. 7 del 2020.

[6] A. Candido, Una lettura costituzionale di D.L. e D.P.C.M., pubblicato sul sito del Centro Studi Livatino il 6 aprile 2020, in https://bit.ly/3eA7d4E.

[7] N. Colaianni, op. cit. p. 1. Colaianni aggiunge, a proposito dei “poteri necessari”: «Non certo ‘pieni’ e del tutto indeterminati ma neppure limitati a ‘misure di immediata applicazione’ e di contenuto ‘specifico, omogeneo e corrispondente al ‘titolo’, come prescritto dall’art. 15, terzo comma, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (che, com’è noto, pur non avendo, in sé e per sé, rango costituzionale, costituisce esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma dell’art. 77 Cost.)».

[8] G. Di Cosimo, Il Governo pigliatutto: la decretazione d’urgenza nella XVI legislatura, in Osservatorio sulle fonti, n. 1/2013.

[9] E. Olivito, Crisi economica-finanziaria ed equilibri costituzionali. Qualche spunto a partire dalla lettera della Bce al Governo italiano, in www.rivistaaic.it, n. 1/2014, 11.

[10] L. Ferrajoli, La democrazia attraverso i diritti. Il costituzionalismo garantista come modello teorico e come progetto politico, Bari-Roma, 2013, p. 158.

[11] F. Rimoli, Il Coup d’État come modalità di adattamento sistemico: qualche considerazione su una forma peculiare di transizione costituzionale, in www. costituzionalismo.it, n. 1/2014, 31 marzo 2014, p. 16.

[12] F. Petrini, Emergenza epidemiologica Covid-19, decretazione d’urgenza e Costituzione in senso materiale, in Nomos, 1, 2020, p. 6.

[13] M. Cartabia, L’attività della Corte costituzionale nel 2019, 28 aprile 2020, Palazzo della Consulta, p. 25, consultabile sul sito ufficiale della Corte costituzionale: https://bit.ly/2M8Zr5z

[14] Cfr. can. 213: «I fedeli hanno il diritto di ricevere dai sacri Pastori gli aiuti derivanti dai beni spirituali della Chiesa, soprattutto dalla parola di Dio e dai sacramenti».

[15] R. Lanzara, intervista a Antonio Baldassarre, “Dpcm in tutto incostituzionale”, Adnkronos, 27 aprile 2020, in https://bit.ly/3eDmJg9.

[16] Ibidem.

[17] N. Colaianni, op.cit., pp. 33-35. Colaianni in queste pagine sostiene, inoltre, che con l’Accordo del 1984, il c.d. “Nuovo Concordato” e, precisamente, con l’art. 2, le nuove norme non godrebbero più della copertura dell’art. 7 Cost.; che, peraltro, il detto art. 2 sarebbe stato sospeso per decreto unilaterale, per cui si sarebbe «inaugurata una ‘prassi costituzionale’ di decisione ‘inaudita altera parte’».

[18] F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico. Edizione compatta, 3^ ed., Bologna, 2010, p.71; P. Lillo, Art. 7, in R. Bifulco – A. Celotto – M. Olivetti (a cura di), Commentario alla costituzione, vol. I, Torino, 2006, p. 185 ss.; G. Dalla Torre, Lezioni di Diritto ecclesiastico,Torino, 2015, p. 117 ss.

[19] V. Pacillo, La libertà di culto al tempo del coronavirus: una risposta alle critiche, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), fascicolo n. 8 del 2020, pp. 89-90.

[20] F. Finocchiaro, op. cit., p. 22.

[21] «Il sistema della bilateralità nei rapporti tra Stato e confessioni è nato con un’idea di base molto chiara: promuovere allo stesso tempo l’uguaglianza nella libertà e il diritto alla differenza di ogni singolo gruppo religioso presente in Italia, nell’ottica di una garanzia delle specificità di ciascuno di essi. La Corte costituzionale ha da tempo acclarato che la bilateralità ha lo scopo di strutturare la disciplina di ambiti collegati ai caratteri peculiari delle singole confessioni religiose (sentenza n. 346 del 2002), nel riconoscimento delle esigenze specifiche di ciascuna delle confessioni religiose (sentenza n. 235 del 1997). Per cui la concessione di particolari vantaggi o eventualmente l’imposizione di particolari limitazioni (sentenza n. 59 del 1958) non può che essere giustificata dalla ragionevolezza, nel senso che tali vantaggi o limitazioni devono essere “espressioni di un sistema di relazioni che tende ad assicurare l’eguale garanzia di libertà e il riconoscimento delle complessive esigenze di ciascuna di tali confessioni, nel rispetto della neutralità dello Stato in materia religiosa nei confronti di tutte” (sentenza n. 235 del 1997)». Cfr. V. Pacillo, op. cit. pp. 86 -87.

[22] «Questa normativa è stata rigorosamente accettata e osservata dalle autorità di tutte le confessioni religiose, da quelle convenzionate con lo Stato attraverso concordato e intese a quelle senza, come l’UCOII14. Ma è la condivisione di questo atteggiamento remissivo anche da parte della gerarchia cattolica, in discontinuità con quello rivendicativo tenuto altre volte in passato, che, data l’importanza sacramentale delle celebrazioni eucaristiche comunitarie, è risultata controversa in ambienti cattolici, criticandosi questo ‘appiattimento della Chiesa sulle istituzioni civili’, quando le chiese sono ‘anche un luogo dello spirito: una risorsa in tempi difficili’». Così ha scritto N. Colaianni, in op. cit., p. 30, citando A. Riccardi, Se per battere la paura del contagio si mettono in ginocchio le nostre chiese, in “La Stampa”, 29 febbraio 2020.

[23] V. Pacillo, op. cit. p.  91: «Per questo ci sarebbe l’art. 14 dell’Accordo di Villa Madama, il quale recita:

“Se in avvenire sorgessero difficoltà di interpretazione o di applicazione delle disposizioni precedenti, la Santa Sede e la Repubblica italiana affideranno la ricerca di un’amichevole soluzione a una Commissione paritetica da loro nominata”[…] Ora, a un lettore qualunque sembrerebbe doversi argomentare, alla luce dell’art. 2 dell’Accordo, in tal modo: nell’ipotesi in cui sia difficile garantire alla Chiesa la libertà di pubblico esercizio del culto, si attiverà una Commissione paritetica per trovare un’amichevole soluzione».

[24] Javier Hervada, cit. da p. Bruno Esposito, o. p., in Può lo Stato limitare la libertà religiosa, in https://bit.ly/2zB716r.

[25] «Lo stesso principio lo troviamo nel secondo paragrafo dell’art. 9 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che stabilisce che la libertà di manifestare la propria religione non possa essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge (dalla legge e non da provvedimenti amministrativi ) e che costituiscono misure indispensabili alla protezione di beni di rango primario, come in questo caso la salute pubblica: le misure assunte in questo senso, come confermato dalla costante giurisprudenza della relativa Corte, non sono aprioristicamente giustificate tout court dal ricorrere di una situazione di necessità, ma devono necessariamente rispondere a un principio di proporzionalità tra le modalità con cui si concretizza quest’ultima e le effettive limitazioni imposte alla libertà religiosa». Cfr. G. Boni, Il fondamentale diritto dei fedeli ai sacramenti, pubblicato il 7 maggio 2020 sul sito del Centro Studi Rosario Livatino, in https://bit.ly/2X9EKwF.

[26] «La Corte costituzionale ha affermato in varie occasioni che più la compressione di un diritto o di un principio costituzionale è severa, più è necessario che sia circoscritta nel tempo. Le limitazioni si giudicano in base al test di proporzionalità che risponde a queste domande: si sta perseguendo uno scopo legittimo? La misura è necessaria per quello scopo? Si è usato il mezzo meno restrittivo tra i vari possibili? Nel suo insieme, la norma limitativa è proporzionata alla situazione?», in M. Bianconi, Nella Costituzione le vie per uscire dalla crisi. Possibili limitazioni ai diritti ma proporzionate e a tempo, Intervista a Marta Cartabia, in “Corriere della Sera”, 29 aprile 2020.