Francesco Farri 
Avvocato e Professore Associato di Diritto Finanziario
Università degli Studi di Genova*

 

 

La Costituzione Italiana è una delle Costituzioni che dedica maggior spazio alla disciplina e alla protezione della famiglia.

In particolare, sono espressamente dedicati alla famiglia tre articoli che occupano la metà del Titolo II della Prima Parte della Costituzione, dedicata ai Rapporti Etico-Sociali.

Come è noto ai giuristi italiani, ma opportuno ripetere a beneficio dei colleghi statunitensi, l’articolo 29 della Costituzione afferma che «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio» e precisa che «Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare».

L’articolo 30 è dedicato alla filiazione: esso afferma il principio generale che «è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio» e detta una serie di norme di dettaglio, su una parte delle quali si soffermerà il prof. Bilotti.

L’articolo 31, invece, è dedicato al necessario sostegno economico alla famiglia: «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo».

Molti altri articoli della Costituzione operano riferimento alla famiglia: si pensi ad esempio all’art. 37, dove si afferma che «la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione».

Possiamo dire, quindi, che la Costituzione italiana pone le basi per una tutela forte, solida e ampia della famiglia in Italia. Ciò in conformità con la tradizione sociale del nostro Paese, in cui da sempre le famiglie hanno costituito le cellule fondamentali della società civile, fornendo ai propri membri la cura essenziale per la soddisfazione dei propri bisogni. La pubblica autorità, in Italia, non ha mai avuto, neppure nell’epoca del totalitarismo, una forza tale da poter ambire a sostituirsi al corpo sociale nella cura dei bisogni quotidiani della persona, come invece certi orientamenti ideologici avrebbero auspicato. Il principio di sussidiarietà orizzontale caratterizza storicamente in modo profondo la società italiana e di questo la nostra Costituzione ha preso atto, in generale, nell’articolo 2 e, in particolare, enucleando le formazioni sociali più importanti nel nostro Paese, prima tra le quali annovera la famiglia.

Sennonché, a seguito dell’entrata in vigore della Costituzione, è subentrata una serie di pulsioni disgregatrici dell’istituto familiare, che negli ultimi anni stanno intensificando la loro potenza. Queste pulsioni disgregatrici possono essere ricondotte a tre gruppi.

Una prima tendenza alla disgregazione è stata storicamente rappresentata dalla previsione della possibilità di sciogliere la famiglia mediante divorzio. In Assemblea Costituente ebbe luogo un dibattito se introdurre o meno in Costituzione il principio della indissolubilità del matrimonio, ma ciò non avvenne. Così, con legge n. 898 del 1970, è stata introdotta la possibilità di dichiarare cessati gli effetti civili del matrimonio per impossibilità di mantenere o ricostituire la comunione spirituale e materiale tra i coniugi anche a motivo della semplice separazione protratta per un certo lasso di tempo (originariamente, almeno cinque anni). La legge fu fatta oggetto di uno storico referendum abrogativo, cui partecipò quasi il 90% degli aventi diritto al voto, e fu confermata da quasi il 60% dei votanti. Negli ultimi anni, si sono fatte forti le istanze per ridurre il termine di cinque anni e introdurre un divorzio breve: il termine è stato così ridotto a tre anni, poi a uno, poi a sei mesi per i casi di separazione consensuale, infine con la Riforma Cartabia è divenuta possibile in alcuni casi anche la pronuncia contestuale di separazione e divorzio.

Una seconda tendenza alla disgregazione è provenuta dalla legge n. 194 del 1978, che ha legalizzato l’interruzione volontaria della gravidanza o aborto. È vero che l’aborto riguarda, non soltanto le famiglie, ma anche – e, anzi, prevalentemente – concepimenti avvenuti al di fuori della famiglia. Nondimeno, è stato osservato che l’aborto si presta a incidere profondamente sulla dimensione affettiva delle persone coinvolte (anzitutto la madre) e, quindi e in ultimo, sulle relazioni familiari. Anche la legge sull’aborto fu oggetto di uno storico referendum abrogativo, cui partecipò quasi l’80% degli aventi diritto al voto, e fu confermata da quasi il 70% dei votanti. È significativo notare, al riguardo, come la Corte costituzionale, sebbene a più riprese interpellata sulla compatibilità della legge sull’aborto con il nostro sistema costituzionale, abbia sempre evitato di pronunciare nel merito della questione, dichiarando sempre inammissibili le questioni sollevate. Negli ultimi anni, si sono fatte forti le istanze per rendere ancor più semplice l’aborto, smantellando il regime di controlli e limiti che la legge 194 prevede e consentendo, ad esempio, la commercializzazione di pillole abortive in sostituzione dell’intervento chirurgico.

Infine, una terza pulsione disgregatrice si associa al riconoscimento pubblicistico di aggregazioni affettive diverse dalla famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, secondo la formula utilizzata dall’articolo 29 della Costituzione. Tale processo ha avuto il culmine con la legge n. 76 del 2016 cd. Cirinnà, che ha introdotto il registro delle unioni civili fra omosessuali e disciplinato le convivenze. Fermo restando il riconoscimento dei diritti delle singole persone all’interno delle aggregazioni affettive, come il diritto alla reciproca assistenza in caso di malattia, il diritto al subentro nella locazione in caso di decesso del partner, ecc., l’attribuzione invece di rilevanza pubblicistica alle unioni affettive in quanto tali produce per simmetria un effetto di depotenziamento delle rilevanza pubblicistica delle caratteristiche fondamentali della famiglia fondata sul matrimonio, ossia la preordinazione alla stabilità e la preordinazione alla procreazione. Anche in questo caso, le pretese non si sono fermate con la legge Cirinnà, ma progrediscono sempre più, in particolare verso il riconoscimento della omogenitorialità e delle pratiche che a essa sono propedeutiche, come la maternità surrogata.

Alcuni dei più evidenti effetti di queste pulsioni disgregatrici sono stati evidenziati dalla relazione del Prof. Blangiardo: l’inverno demografico, la solitudine della popolazione.

Ciononostante, la famiglia in Italia continua a essere un caposaldo fondamentale per la società. Senza la rete di protezione offerta dalle famiglie, l’assistenza alle persone fragili – bambini, anziani, malati – non sarebbe possibile. Ne abbiamo avuto un ultimo chiaro esempio durante l’emergenza epidemiologica Covid.

In questo contesto, e a fronte di un articolo 31 della Costituzione che richiede alla pubblica autorità di agevolare con misure economiche la formazione della famiglia e l’adempimento dei suoi compiti, è bene esaminare quali siano le politiche di sostegno alla famiglia nel nostro Paese.

Occorre mantenere distinti i due ambiti cui opera riferimento l’articolo 31 della Costituzione. Infatti, mentre per quanto attiene all’agevolazione dell’adempimento dei compiti della famiglia il nostro ordinamento prevede una serie di misure, ben poche sono le misure a favore della formazione della famiglia in quanto tale. Anzi, è possibile osservare come il nostro ordinamento contenga alcuni istituti che trattano le famiglie in modo peggiore rispetto a chi non è sposato e in alcuni casi vere e proprie agevolazioni fiscali allo scioglimento del matrimonio.

I casi più eclatanti concernono l’imposta sul reddito. Trattandosi di una imposta progressiva, se non si assume la famiglia come tax unit, e si tassano unicamente i singoli coniugi, possono prodursi disparità di trattamento tra famiglie aventi diversa composizione reddituale. Se il reddito di 100 è posseduto da un unico coniuge, il carico fiscale complessivo sarà più alto per effetto dello scaglione d’aliquota raggiunto, rispetto al caso in cui lo stesso reddito sia percepito per 50 da ciascun coniuge, con applicazione su ciascuno di esso di una aliquota marginale più bassa. Non si è mai introdotto in Italia un sistema come il quoziente familiare o lo splitting, che risolverebbe tale disparità di trattamento: si è introdotta soltanto, dal 1977 (l. n. 114), la detrazione per eventuale coniuge a carico, che tuttavia non vale a sanare le disparità, come a più riprese sottolineato dalla stessa Corte costituzionale (sent. n. 76/1983, sent. n. 358/1995).

Per effetto di ciò, nelle famiglie monoreddito, o comunque con distribuzione reddituale disomogenea tra i coniugi, si è assistito a casi di separazioni fittizie: il carico fiscale complessivo, infatti, può risultare inferiore se il coniuge più ricco versa un assegno di separazione alla moglie, poiché la moglie tasserà quell’assegno a un’aliquota più bassa di quella che avrebbe applicato il marito se avesse mantenuto giuridicamente per sé la somma senza essersi separato.

Fino al 1976, invece, il sistema considerava sì la famiglia come nucleo fiscale unitario, ma non al fine di distribuire omogeneamente tra i coniugi l’imponibile al fine di abbassare l’aliquota marginale, bensì al contrario e addirittura per sommare tutti i redditi in capo al marito e applicare, così, un’aliquota marginale più elevata a quella che avrebbe scontato se non fosse stato sposato. La Corte costituzionale, con sentenza n. 179/1976, ha dichiarato incostituzionale questo sistema, perché discriminatorio verso il singolo.

Non diversa la situazione che è venuta recentemente a crearsi in materia di imposta patrimoniale sugli immobili (IMU), per effetto di una formalistica interpretazione resa dalla Corte di Cassazione. Se due persone sposate erano costrette a vivere in luoghi diversi, ad esempio per ragioni di lavoro, nessuna di loro poteva fruire dell’agevolazione sulla prima casa: se, invece, non fossero state sposate, entrambe avrebbero potuto fruirne. La Corte costituzionale, con una bellissima sentenza (n. 209/2022) ha dichiarato incostituzionale questo sistema, bacchettando un sistema troppo avaro di sussidi nei confronti della famiglia e addirittura pronto a penalizzarne i membri.

In alcuni casi, invece, l’ordinamento prevede vere e proprie agevolazioni alla dissoluzione della famiglia. È il caso dell’esenzione dall’imposta di registro di tutti i passaggi patrimoniali avvenuti in occasione del divorzio, prevista dall’articolo 19 della legge n. 74 del 1987. Il contrasto con l’art. 31 della Costituzione, che richiede di agevolare la formazione della famiglia, non la sua dissoluzione, è manifesto. Eppure, la Corte costituzionale, con sentenza n. 176 del 1992, ha addirittura esteso l’ambito di questa agevolazione, applicandola anche ai passaggi patrimoniali in occasione della separazione.

Guardando, invece, alle misure di sostegno allo svolgimento dei compiti tipici della famiglia, ma che possono aver luogo anche al di fuori della famiglia, come la filiazione, il nostro ordinamento prevede misure che si possono ricondurre a tre tipologie fondamentali.

Anzitutto, il sistema italiano prevede scuole dell’obbligo pubbliche gratuite, cure tramite il sistema sanitario nazionale sostanzialmente gratuite, buona parte dei farmaci sostanzialmente gratuiti per la popolazione e una serie di servizi sociali per i bisognosi. È questo il cuore del welfare state italiano, di cui per molti versi bisogna andare orgogliosi. Non va dimenticato, tuttavia, che alcuni servizi sono gravemente carenti, altri inefficienti: per fare alcuni esempi, i posti a disposizione negli asili nido sono ampiamente inferiori ai target europei, la collocazione di anziani nelle RSA richiede mesi, le liste d’attesa per i servizi sanitari pubblici sono spesso oltremodo lunghe. A ovviare ad alcuni di queste carenze potranno provvedere progetti finanziati mediante il PNRR.

Accanto ai servizi pubblici, il sistema italiano prevede misure giuslavoristische, come i congedi parentali, che vedono valori in linea con la media europea. Certo, molto di più andrebbe fatto per consentire ai genitori, specialmente alle madri, di conciliare meglio il tempo del lavoro con la cura dei figli, ad esempio estendendo a regime forme di smart working.

Infine, non mancano misure fiscali a sostegno dei compiti della famiglia. Si tratta, talora, di misure erogative: si pensi all’assegno unico universale per i figli oppure all’assegno di accompagnamento per i disabili non autosufficienti. In altri casi, invece, si tratta di misure tributarie, come le detrazioni per spese mediche private, per spese di assistenza personale, per spese educative proprie e dei familiari a carico, ovvero alla detrazione per i figli a carico nelle ipotesi (ormai residuali) in cui non spetti l’assegno unico universale. In relazione a tutte queste misure fiscali, erogative o tributarie, è unanime il riconoscimento della insufficienza degli importi messi a disposizione delle famiglie. In molti casi, inoltre, le misure, in particolar modo quelle erogative, sono modulate in base all’indicatore sintetico di equivalenza economica (I.S.E.E.), il quale a sua volta si basa su una scala di equivalenza assai penalizzante per le famiglie con figli.

In conclusione, può osservarsi come il disegno costituzionale di promozione e tutela della famiglia non sia stato a oggi adeguatamente realizzato nel nostro Paese. Molto spesso, le famiglie continuano a svolgere i propri fondamentali compiti di rilevanza sociale senza un valido supporto da parte dello Stato. Gli ostacoli a un più consistente intervento dello Stato a promozione della famiglia sono sicuramente economici, poiché il debito pubblico italiano non consente di gestire con sufficiente flessibilità la politica fiscale e pubblica a favore della famiglia, ma anche culturali. È su questo piano, fondamentale, che la partita deve anzitutto essere giocata. L’auspicio è che questo convegno possa contribuire a offrire un valido strumento per rinvigorire la consapevolezza dell’importanza di un approccio family friendly a ogni livello.