Catherine Ruth Pakaluk 
Ph.D. all’Università Cattolica d’America – Washington D.C.*

 

 

Sommario: 1. Introduzione ‒ 2.  I tassi di natalità in America ‒ 3. Caso di studio negli Stati Uniti: Leah, 40 anni, 5 figli, ebrea ‒ 4. Caso di studio negli Stati Uniti: Angela, 44 anni, 5 figli, Cattolica ‒ 5. Suggerimenti sulle politiche per la sopravvivenza.

 

 

  1. Introduzione

 

Nella primavera del 2010, stavo viaggiando su un treno, circondata da lavoratori, che tornavano a casa a fine giornata. Mi tenevo stretto al petto, avvolto in un fagotto, con la testa che spuntava fuori, mio figlio che aveva pochi mesi. Mentre ero seduta, i passeggeri intorno a me guardavano mio figlio con stupore. Una donna di mezza età, seduta accanto a me, mi chiese «È il suo primo figlio?» . . . «No… è il sesto», dissi. A questo punto, si levò un brusio e la donna rispose: «Sei! Immagino che tuo marito ti desideri ancora».

Ciò che voglio condividere con voi, oggi, è un messaggio di speranza nel buio. Le scienze sociali offrono, per lo più, descrizioni di: disturbo, anomalia e follia. Non esiste quasi nessuno che si prefigga di descrivere: l’ordine, la normalità e la sanità psichica o ciò che potremmo anche chiamare il buono, il bello ed il vero. I motivi di tale atteggiamento non verranno approfonditi in questa sede. Ma una scienza sociale che si occupi solo di disturbi, non riesce a dare spiegazioni circa la verità od a raggiungerla, poiché è la testimonianza della verità che opera muramenti ed indica la via del ripristino dell’ordine sociale.

Ad esempio: il Signore disse alla Samaritana: «Hai detto bene “non ho marito”; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». (Gv 4:17-18) ed Egli punì severamente il divorzio, dicendo: «Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello, dunque, che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi». (Mt 19,6). La missione di Gesù Cristo comprendeva il fatto di dire la verità circa la famiglia.

In un mondo di famiglie con due bambini, il fatto di averne otto richiede una spiegazione, quasi che ci si debba giustificare. Perché hai tutti questi figli? Cosa significa? Mi si rivolge molto spesso questa domanda e mi risulta che venga posta anche ad altre donne con famiglie numerose.

Io so quale non è la risposta corretta.

Io non ho otto figli perché non credo nel controllo delle nascite, anche se non lo metto in pratica. Avremmo potuto limitare facilmente il numero dei membri della nostra famiglia, ricorrendo ai metodi naturali. Ma non volevamo farlo.

La risposta non è che, siccome sono cattolica e la Chiesa dice che io debba avere otto figli, allora ho otto figli, poiché la Chiesa non dice questo.

Si potrebbe tentare di descrivere il pensiero della Chiesa cattolica come “pro-natalista”, alla luce della sua posizione in materia di aborto e controllo delle nascite od alla luce della storia di famiglie cattoliche numerose.

Tuttavia, in oltre quarant’anni da cattolica, non ho mai sentito una predica sul valore della procreazione, né sono mai stata esortata, in confessionale, ad avere altri figli. Non esiste un solo insegnamento che suggerisca che ci sia qualcosa di più santo o desiderabile circa il fatto di avere il maggior numero possibile di figli.

Sarebbe difficile sostenere che esista una norma sociale tra i cattolici o che i vescovi predichino di avere famiglie numerose. Non c’è nulla che riassuma meglio questo concetto delle parole di Papa Francesco, pronunciate in aereo, secondo cui «Le donne non devono fare figli “come conigli”»[1], è un commento gravemente offensivo nei confronti delle madri.

Se quelle non sono risposte, dunque, qual è la risposta? Difficile dirlo.

Sembra che la risposta sia una fede profondamente radicata, confermata dall’esperienza, nel fatto che la capacità di essere e restare incinta, di ricevere i figli, di vivere con loro nell’amore e di goderseli, a prescindere che la si chiami maternità, gravidanza o fecondità, sia la cosa più degna al mondo.

Man mano che mi nascevano i figli, questa percezione del loro valore aumentava.

Quando nacque il settimo, ricordo che non riuscivo a credere quanta grazia avessimo ricevuto, poiché Dio ci stava donando un altro figlio. In effetti, la mia percezione del mio ruolo diminuiva ed ogni figlio sembrava sempre di più un miracolo, un dono di Dio.

Se sei credente e sperimenti che un figlio è un dono del Re dell’universo, perché rifiutare una grazia così grande? La domanda non è allora «perché ho scelto di avere otto figli?», bensì, come Maria, «chi sono io per ricevere una grazia così grande da essere la madre di questo bambino?».

Ma questo non è facile a dirsi, né su un treno, né da nessuna parte.

Ho cominciato a chiedermi se altre donne, che condividevano le mie scelte di vita, fossero consapevoli del motivo per cui compivano tali scelte e se riuscissero a spiegarlo meglio.

Nell’estate del 2019, ho viaggiato in dieci regioni americane ed ho intervistato cinquantacinque donne con cinque o più figli, per scoprire perché facciano quello che fanno e cosa pensino che questo significhi.

Tuttavia, in un mondo di famiglie con due figli, che tende a diventare un mondo di famiglie con un figlio solo[2], il desiderio della genitorialità ed il modo in cui viene gerarchizzato, rispetto a beni umani ad esso concorrenziali, non è cosa da poco, è una cosa grande, la cosa più grande in assoluto: perché cambia il destino delle nazioni.

Non vi è domanda più attinente all’economia che chiedersi da dove provengano le persone ed in quanti saremo.

Le idee di Thomas Malthus e John Maynard Keynes (che era uno zelante sostenitore di Malthus) sono profondamente radicate nell’economia tradizionale. Il pensiero economico è composto da due correnti principali: una scaturisce dalle tesi di Malthus, invece l’altra prende le mosse da Adam Smith.

Quindi, quello che all’inizio era un interesse personale, ben presto, ha assunto una dimensione professionale. Nello studio scientifico dei bassi tassi di natalità si è dedicata attenzione solo a questo aspetto, cioè il problema.

Io ho capito che c’è l’opportunità di valorizzare tale studio, occupandosi delle donne che hanno famiglie numerose, secondo il “principio di immunizzazione”.

Impariamo a riconoscere l’immunità alle malattie studiando i sani, non i malati.

Il vaccino contro il vaiolo è stato scoperto osservando che le persone esposte al vaiolo bovino non si ammalavano gravemente di vaiolo.

Chi è immune? I bassi tassi di natalità sono una malattia delle famiglie e delle nazioni: sì, possiamo dichiararlo anche se i nostri politici lo ammettono solo perché sono terrorizzati dalle conseguenze fiscali.

Chi è immune dalla malattia della bassa natalità?

Israele ci fornisce un indizio.

In ogni nazione, esistono delle minoranze, che sono “immuni” al basso tasso di natalità. Chi sono costoro? Cosa possiamo imparare da loro?

Secoli fa, il tasso di natalità dipendeva più dal clima, dai raccolti, dalle carestie, dalle malattie, dai matrimoni, dalle morti, dalla fortuna e dal destino. Ma, con la possibilità di tenere sotto controllo il numero delle nascite attraverso la chimica, la fecondità è un oggetto di scelta in un modo completamente nuovo.

Le persone vogliono figli? Perché li vogliono? O perché no? Come fanno a sapere se li vogliono? I desideri delle persone e le loro convinzioni circa i figli ed il matrimonio plasmano il futuro delle nazioni, perché l’appetito sessuale, da solo, non genera figli.

Pertanto, non nasceranno bambini, a meno che la capacità di procreare non venga utilizzata. Per questo dobbiamo dare una risposta alla donna del treno e alle altre come lei, per dare testimonianza di uno stile di vita noncurante dei tassi di natalità che precipitano.

Non dare questa testimonianza significa ammettere che le politiche a favore delle famiglie sono una soluzione che cerca un problema.

Infatti, il problema sono i bassi tassi di natalità ma i provvedimenti possono affrontare solo l’aspetto dei costi diretti.

Abbiamo presupposto che il problema siano i costi diretti, cioè che la base dei costi sia il criterio fondamentale per assumere la decisione di avere un figlio.

Ma, come per il problema del lavoro, creato da Marx, la ricerca di una base di costo per prezzi e salari è inutile.

Le cose non hanno valore perché le persone le hanno prodotte. Le cose hanno valore perché c’è molta domanda di un determinato bene e la manodopera è maggiormente remunerata, quando viene applicata alle cose di cui c’è una domanda elevata.

Possiamo ricavare un’idea simile riguardo ai bambini.

I bambini hanno un valore intrinseco, certo!

Ma come “scelta” economica, che è quella che i politici vogliono manipolare, i bambini vengono preferiti in base ad un confronto fra dei valori.

Il valore del bambino rispetto al valore di ciò a cui si rinuncia per avere un figlio, l’opportunità (o i costi indiretti).

Questi costi-opportunità (nota del traduttore: concetto appartenente al lessico economico) sono personali e soggettivi ed esenti dell’influenza dei provvedimenti politici.

La bassa fertilità non è un problema di costi ma di valutazione, perché la valutazione relativa del bambino (rispetto ad altre scelte) determina il costo personale.

Nelle comunità in cui i bambini sono tenuti in grande considerazione, per motivi personali o religiosi, le madri, che portano in grembo quei bambini, godono della stessa alta considerazione dei loro figli e vengono ricompensate ed onorate mentre, dove i bambini sono tenuti in scarsa considerazione, anche le madri (e anche le donne) saranno tenute in scarsa considerazione.

 

  1. I tassi di natalità in America

 

All’epoca della fondazione degli Stati Uniti, il tasso di fecondità totale delle donne americane era di 7 figli per donna[3]. Nel 1900, questo numero si dimezzò, rimanendo in gran parte invariato fino al 1960[4]. Tuttavia, dal 1960 al 2000, il tasso di fecondità totale si è nuovamente dimezzato[5].

Gli Stati Uniti hanno registrato il tasso di fecondità totale più basso mai registrato nel 2022, 1,64 figli per donna, previsti nell’intero arco di vita della donna[6].

La spiegazione del primo mutamento risiede nel passaggio dal lavoro agricolo e domestico, nel quale i bambini rappresentano un beneficio per le famiglie, al lavoro svolto lontano da casa, nel quale i bambini rappresentano un costo netto per le famiglie[7].

Gli studiosi dibattono circa il fatto che il secondo calo, che ebbe inizio negli anni ’60 e sfociò in tassi di fecondità al di sotto della soglia utile al ricambio generazionale[8], faccia parte della stessa tendenza oppure che faccia parte di un secondo mutamento demografico dell’Occidente[9].

Ma c’è poco da discutere sul fatto che la diminuzione dei tassi di natalità dalla metà del secolo derivi da un nuovo calcolo che concerne soprattutto il ruolo della donna: la concorrenza tra lavoro e famiglia, introdotta dalla rivoluzione anticoncezionale degli anni ’60[10]. La pillola anticoncezionale ha permesso alle donne di rinviare una gravidanza, investire in un’istruzione migliore e portare avanti una carriera, il tutto senza posticipare il matrimonio o la convivenza.

Tra il 1960, quando fu approvata la prima pillola anticoncezionale e la fine del secolo, la percentuale delle donne, nella forza lavoro, aumentò dal 37,9% al 60,0% (nel 2000)[11].

Gli economisti del lavoro Goldin e Katz (2002) riferiscono che «né la coorte [di donne] [del 1963 né quella del 1973] avevano tanti figli quanti ne desideravano ma i loro desideri riflettevano le scelte alternative e non compossibili che erano disposte a compiere tra la famiglia e la carriera»[12]. Gli andamenti attuali della bassa fecondità sono l’esito dell’ingresso delle donne nella quota di popolazione attiva, poiché avere più di due figli ed un lavoro od una carriera è difficilissimo[13].

Non è che i bambini siano diventati più costosi, neppure che fossero meno desiderati.

Il fatto è che il tempo era diviso tra il desiderio di avere figli ed altre aspirazioni: un’istruzione migliore, una carriera e l’emancipazione economica, a fronte dell’erosione delle norme matrimoniali.

Tuttavia, questa vicenda della prevalenza della carriera sulla famiglia non rappresenta l’intera evoluzione del tasso di natalità in America nel ventesimo secolo.

Un piccolo gruppo di donne americane è riuscito ad avere il numero di figli desiderati e ancora oggi molte donne hanno famiglie grandi come quelle delle donne delle prime famiglie numerose americane.

In gran parte occulte alla vista popolare, queste donne sono da situare al vertice del grafico che rappresenta la distribuzione del tasso di natalità.

Circa il 5% (4,8%) delle donne ha oggi cinque o più figli (contro il 20% nel 1976), e circa l’1% (1,2%) oggi ne ha sette o più (contro il 6,2% nel 1976)[14].

Nonostante il forte calo registrato dal 1976, la percentuale di donne che hanno cinque o più figli è rimasta relativamente costante dal 1990 e non ha continuato a diminuire[15]. Il motivo per cui queste donne mantengano questo comportamento, in un mondo di famiglie con due figli, è un enigma tanto quanto lo è il tasso di natalità medio che precipita al di sotto della soglia utile al ricambio generazionale[16].

Ma queste donne detengono il segreto del dilemma della popolazione di oggi.

Nel dibattito sulla linea politica americana in materia di politica pubblica, si presuppone, in primo luogo, che le persone molto religiose avranno ovviamente figli ma le loro motivazioni non possono essere comprese, generalizzate o rilevanti per adottare misure politiche; (secondo) che la politica a favore della famiglia può fare la propria parte in qualunque tipo di cultura.

Possiamo incentivare tutto ciò che vogliamo con il metodo del bastone e della carota.   Il mio studio sfida questi due miti.

 

  1. Caso di studio negli Stati Uniti: Leah, 40 anni, 5 figli, ebrea

 

Abbiamo incontrato Leah a casa sua. Quando siamo andati a trovarla, era incinta del quinto figlio. Ci ha detto che si era laureata e aveva frequentato una yeshivah religiosa femminile (scuola dove si insegnano testi sacri) per otto mesi e poi si è sposata.

«Quando mi sposai, sapevo che avevamo intenzione di formare una famiglia subito. Non ci sposavamo per aspettare [ad avere figli, NDT] … Sapevo bene quello che volevo, quando mi sposai ed il nostro primogenito nacque 10 mesi dopo il matrimonio».

La ragazza ha proseguito sottolineando l’importanza della sua conversione: «Penso di essere consapevole, da sempre, del fatto di volere dei figli. Ma non ho mai avuto una precomprensione riguardo al numero dei figli che desideravo. Ero consapevole solo di voler diventare mamma e di voler avere una famiglia. Ma non sono cresciuta con molti parenti, non ho avuto quell’esperienza e non sono cresciuta molto religiosa. …Sono cresciuta in una congregazione riformata che, fondamentalmente, è completamente laica, tranne che si svolgono atti simbolici dell’ebraismo. Ora abbiamo scelto una vita diversa, nella quale seguiamo la religione e la tradizione in modo intenzionale».

Per Leah e per suo marito, avere dei figli faceva parte del matrimonio ed entrambi avevano un senso di missione ed un fine, in relazione al progetto che Dio aveva in serbo per loro. Leah ricorda che, allora, da giovane madre, era molto dura affrontare un’altra gravidanza con tutte le sue conseguenze, non avendo dormito granché di notte.

«Ma io vedevo questa cosa come segno della divina provvidenza e della volontà di Dio su di me e la percepivo come una grazia».

Le espressioni della grazia di avere figli come attestato di valore hanno permeato i dati del mio studio.

Esther (38 anni, madre di nove figli), anche lei ebrea, più di una volta ha commentato: «Dio non è lì per ingannarci e mandarci dei problemi. Egli vuole davvero mandarci delle grazie. Sì, le cose non si rivelano sempre nel modo in cui ce le aspettiamo ma i bambini sono una grande fonte di grazia e Dio vuole donarci molte grazie e molti bambini sani e noi dobbiamo certamente chiederGli questo».

Per quanto riguarda l’identità personale, rispetto alla sua scelta di avere una famiglia numerosa, Leah ha spiegato come i suoi valori e l’ordine delle priorità siano cambiati nel tempo: «Penso che, quando ebbi i primi due figli, fossi molto impegnata a raggiungere i miei obiettivi. Registravo ancora interi CD, suonavo ai concerti e facevo le prove a notte tarda. Avevo più energia, vigore, volontà e motivazione. Penso che il fatto di avere una famiglia numerosa abbia influito su questo. Inoltre, ritengo che, dopo aver avuto il terzo ed il quarto figlio, vi siano delle sfide riguardo all’identità. Non è così facile perseguire sogni ed obiettivi personali, adesso, com’era una volta. È un sacrificio che ho fatto, perché attribuisco grande importanza al fatto di avere una famiglia numerosa e ritengo prezioso ogni bambino come un dono. Ma non sarei onesta, se dicessi che non è stata una fatica… E penso di aver dovuto sacrificare alcuni interessi ed alcune attività all’epoca. Non penso che rimangano in sospeso per sempre. Ma penso anche che, con un po’ di fantasia, ci siano molte cose che si possono fare in ogni stagione della vita. Penso che, come madre di una famiglia numerosa, devi capire che a volte bisogna accantonare le cose. Questo non significa che quelle cose vadano dimenticate, significa che vanno stabilite delle priorità, a seconda delle necessità ed io l’ho fatto spesso. Penso che la nostra cultura valorizzi davvero la percezione molto flessibile del successo e del lavoro e abbia iniziato a sminuire il contributo della madre alla società ed è quasi da femminista radicale dire che il mio contributo alla società sono bambini sani ed equilibrati e che questo è un contributo. Non si tratta solo della mia carriera musicale o di quanti soldi guadagniamo o cose simili. Queste cose sono tutte secondarie, rispetto al contributo che dai al mondo, che è il futuro dell’umanità».

Leah sostiene che, abitualmente, si attribuisca il termine “contributo” al lavoro e alla carriera ma, alla maternità, piuttosto, si assegna il termine consumo, nell’accezione in cui lo utilizzano gli economisti, qualcosa che viene scelto e consumato a proprio beneficio.

Al contrario, il punto di vista di Leah è che i bambini sono un contributo, il suo contributo, alla società.

Leah ha concluso dicendo: «…che letteralmente il futuro riguarda la presenza di brave persone nel mondo. Persone che continuino a crescere le proprie famiglie sane e felici e ad offrire il loro contributo positivo alla società. E provenendo da una famiglia di genitori divorziati, credo che questa sia stata una grande motivazione per me nella scelta di questa vita. Come se volessi dare importanza per prima cosa ai bambini, considerando l’unità della famiglia una priorità, rispetto alla carriera professionale ed all’identità personale».

Inoltre, Lea ha osservato: «il tempo è passato proprio in fretta, onestamente, anche se è dura e ci sono momenti in cui mi sento davvero sopraffatta e questa è una grossa responsabilità che mi sto portando sulle spalle, portare in grembo un altro figlio, ricominciare dall’inizio a quarant’anni. Potrei fare questa cosa per altri diciott’anni. Potrei essere sulla spiaggia a bere margarita. Ma non è questo lo scopo della mia vita e non ho imperniato la mia vita sul fatto di sedermi e rilassarmi. Ho incentrato la mia vita sul fatto di lavorare sodo e portare il bene e la luce nel mondo…Se non altro, i bambini sono luce. Ogni bambino porta un dono divino nel mondo che nessun altro può portare. Nessun altro può fare ciò che quella persona è qui per fare ed è vero, ci vuole molta abnegazione ma io, in fin dei conti, penso che io e mio marito siamo davvero felici. Siamo felici e siamo persone compiute, anche se abbiamo dovuto fare molta fatica, a volte fino allo stremo delle forze, mi riferisco alle infinite notti insonni. Lavoravamo entrambi ed entrambi ci occupavamo dell’educazione dei figli, accantonando alcuni dei nostri obiettivi personali. Ma, alla fine, siamo usciti per il nostro 16º anniversario (di matrimonio) a marzo scorso e quei momenti sono davvero speciali. Penso che ce li godiamo di più, perché sono rari».

In questo passaggio Leah ha spiegato tre cose: (1) il valore infinito che attribuisce ai bambini: ognuno è irripetibile, insostituibile e divino; (2) l’affermazione che il costo- opportunità delle attività personali è ben compensato da tale valore infinito; (3) il suo matrimonio è più forte, grazie al progetto condiviso di crescere una famiglia numerosa.

 

  1. Caso di studio negli Stati Uniti: Angela, 44 anni, 5 figli, Cattolica

 

Angela ci ha accolti nel suo ufficio dell’Università in una calda giornata di inizio autunno. Insegnava in un college di arti liberali ed il suo ufficio, pieno di pile di libri e carte, era caratterizzato da un tavolo, a misura di bambino, incastrato ad un lato con minuscole sedie e una miriade di minuscoli “capolavori” attaccati alle pareti.

All’inizio della nostra conversazione ha descritto la sfida di conciliare il suo lavoro di docente universitaria con la sua quotidianità aperta alla vita:

«Tra il quarto e il quinto figlio, avevo solo bisogno di una pausa. Ma non penso che il problema fossero i bambini. Onestamente penso che la necessità di una pausa fosse legata al fatto che lavoravo ed avevo dei figli, alla conciliazione fra lavoro e figli. Ho avuto quattro figli su cinque durante il percorso che ho affrontato per ottenere una cattedra fissa ed è difficile, come ben sapete. Penso che questo ambiente sia talmente stressante, che quello sia il vero motivo della nostra pausa tra un figlio ed un altro».

Lo stress del lavoro e la casa piena di bambini, avevano fatto sì che lei lasciasse passare più tempo tra un figlio e l’altro, così pensava, di quanto avrebbe potuto fare altrimenti. Ma la sua vita familiare aveva sottratto tempo anche al lavoro, cosa che lei descrive in termini di costo-opportunità (occuparsi di una cosa esclude l’altra, NDT):

«… Siamo onesti, non ho pubblicato un libro. Questo non sta succedendo, non mi interessa. Ma non sta accadendo. Per alcuni va bene così ma io non sono quel tipo di persona. Sarei una studiosa migliore se non avessi figli? Di sicuro, onestamente… Voglio dire, lavoravo sempre prima di avere figli. Dunque, sicuramente sarei una studiosa migliore se non li avessi avuti. Sto seguendo tutte le mie passioni? Odio quella parola… Che fine ha fatto l’apatheia? Passioni con la “P” maiuscola» *ride* «No, non le sto seguendo, d’accordo, posso convivere con questa cosa» – «Sei sicura? …Ti piacerebbe avere un hobby?» –  «No, il mio hobby, in questo momento, è sedermi e guardare il calcio. Penso che abbiano ragione riguardo a questo. Questo è proprio vero, se fai una scelta, rinunci a una cosa per un’altra».

Riflettendo sul fatto che, probabilmente, aveva smesso di avere figli, ci ha detto quanto le dispiacesse di non averne un altro: «Beh, sai, in realtà sono triste. Che tu ci creda o no, è ridicolo. So di avere quarantaquattro anni e alla mia età, mediamente, non si hanno altri figli. Ma la brace non si è ancora spenta, amo i bambini e mio figlio non avrà un fratello vicino d’età. Quindi, mi piacerebbe avere un altro figlio, affinché il primo avesse qualcuno con cui giocare… Vorrei, quindi, non voglio mentire. Mi piacerebbe tantissimo… È un dono meraviglioso che non sarei mai riuscita ad immaginarmi. Ho detto che non sono cresciuta circondata da bambini… Ma è una gioia immensa. Avere figli è una gioia talmente grande che penso proprio che sia qualcosa che Dio fa per me. Sembra un grandissimo regalo e non riesco a credere di riceverlo».

Successivamente, quando Angela si è soffermata sul fatto di aver rinunciato ad alcune delle sue passioni, per amore dei suoi figli, le sue parole hanno riaffermato i suoi valori: «Penserai che i bambini siano un ostacolo, perché la tua giornata lavorativa si ridurrà, a meno che non ti affidi a un esercito di altre persone. Il che, se ne hai la capacità, ti darà più energia. Ma la maggior parte delle persone non dispone di tali mezzi economici. Voglio dire, come si chiama, Sheryl Sandberg è stata criticata aspramente per questo motivo e probabilmente non seguirai tutte le tue passioni o forse nessuna, finché non andrai in pensione. E poi potresti essere morto… o troppo stanco. La questione è “A cosa dai importanza?” Quindi, penso che i nostri valori siano più improntati all’autorealizzazione individuale che non a qualcosa di collettivo».

Per quanto riguarda la conciliazione della sua identità personale con il fatto di avere cinque figli, ha sottolineato che non sentiva la presenza dei suoi figli come una sfida alla propria percezione di sé: «Mi domando spesso se io non abbia un problema con questo aspetto, perché sono afroamericana. Intendo dire che, ovviamente, sono occidentale ma mi domando se non sia una differenza culturale, perché spesso penso che ci siano delle supposizioni, siamo, in un certo senso, pervasi da un senso di autonomia mal concepito.  Non penso che l’autonomia non sia la prima cosa che considererei una caratteristica del sé. Se lo fosse, allora immagino che questo sembrerebbe terribile. Poiché non ho tempo per me stessa, non posso esattamente dire di essere un esempio di amor proprio. Questo non avviene in questo momento. Può accadere quando hai un bambino di tre anni ma non può avvenire, quando hai un bambino di un anno, questa è la realtà. Ma poiché l’autonomia non è il mio valore principale, non importa….in realtà, il mio valore primario sono le persone. Le persone, per me, sono il valore principale ed io ho una casa piena di persone. Le persone sono importanti e il mio senso di identità è in relazione a tutti gli altri. Quindi, la mia identità non è in antitesi con le altre persone. Dunque, non devo ritirarmi e prendermi il mio tempo. Voglio dire, tutti hanno bisogno di un po’ di tempo. Ma… non devo ritirarmi per essere me stessa. Ho scoperto che sono più me stessa con la mia famiglia, più  di quanto avessi mai immaginato di poter essere con la mia famiglia di quanto sarei stata senza di loro».

Angela fa appello ai suoi valori derivanti dalla religione, per spiegare il suo punto di vista: «io rinvengo, con certezza, un nesso fra la cultura dell’ospitalità ed i bambini: se sei disponibile ad accogliere l’altro, non devi temere la perdita di te stesso nell’apertura all’altro. Penso che questo sia il fulcro del mio discorso, cioè che sono me stessa, al massimo grado, nell’apertura all’altro. Immagino che sia solo il dono di sé di Papa Giovanni Paolo II la totalità del personalismo. Sai, l’amore è il dono di se stesso all’altro, per il bene dell’altro e davvero si tratta solo di questo. Voglio dire, penso che tu sia più te stesso in quell’atto di dono. Siamo più noi stessi quando ci doniamo –questo è proprio il paradosso della Croce… Cioè, il cristianesimo, voglio dire, quello è proprio la Croce. Questo è proprio il paradosso della Croce. Quindi penso che sia un mistero».

La fede di Angela, in quello che lei chiamava il mistero del Cristianesimo, conteneva una gerarchia implicita dei beni, non dissimile da quella di Leah. I bambini contano, al di sopra di altre cose e anche al di sopra degli obiettivi personali, degli interessi professionali e della propria comodità, perché i bambini e le persone in generale fanno parte di un piano divino per “farti fiorire e non per farti del male” come ha spiegato uno dei nostri intervistati, citando il profeta Geremia.

Leah si riferiva ai bambini come a “portatori di bontà e luce”. E Angela ha stabilito un nesso tra i bambini e la salvezza del mondo.

Angela ha riso del problema di rispondere ai tipici questionari negli studi medici ed ai sondaggi: è una gravidanza voluta o indesiderata? Pianificato o non pianificato?: «Oh, mio Dio, è così irritante», ha detto, «e non so nemmeno come rispondere alla domanda. Beh, ovviamente sono voluti. Ebbene, era tutto pianificato? Cosa intendi per pianificato? Progettato da Dio». Un altro soggetto, aveva ribattuto Moira: «Tre dei nostri cinque figli non sono stati pianificati da noi. Ogni volta che abbiamo avuto un bambino, che non era stato pianificato da noi, c’era la convinzione che non l’avessi pianificato io ma ciò non significa che qualcun altro non l’abbia pianificato. Quindi c’è quell’apertura di cui parlavamo, come la gestione della tua vita. La tua vita non è tua tanto per cominciare…».

 

  1. Suggerimenti sulle politiche per la sopravvivenza

 

Ho detto, all’inizio, che la mia ricerca sfida due miti sulle persone che hanno famiglie con un tasso di natalità superiore a quello necessario al ricambio generazionale.

Il primo mito falso è che la gravidanza, vissuta con fede, non può essere rilevante per l’adozione di misure politiche; il secondo è che si possono incentivare le nascite attraverso programmi fiscali e di sussidio.

(Universalizzazione dei costi diretti della maternità).

Ecco perché[17]:

  1. La maternità, sostenuta dalla fede, è il metodo per comprendere come adottare delle buone politiche per la famiglia. Le famiglie comprendono costi e benefici od una gerarchia di beni con dei costi-opportunità; ciò che emerge dai miei dati è che i valori erano differenti, non i costi. Ogni donna ha descritto dei sacrifici personali, dovuti al proprio stile di vita od economici. Ma ogni donna aveva dei valori personali abbastanza grandi da vedere negli ulteriori figli una ragione per andare avanti dopo il primo, il secondo od il terzo.
  2. I sacrifici personali, dovuti allo stile di vita che comporta la maternità, sono maggiori di quelli economici. “Abbandonare la carriera professionale” non “rinunciare ad un reddito”.
  3. Man mano che le donne avevano altri figli, i costi marginali (personali, stile di vita) diminuivano ed i benefici marginali aumentavano. La gioia della nascita è condivisa da più persone.
  4. Questa narrazione è fondamentale per le politiche familiari. È necessario aumentare i vantaggi (per chi mette al mondo figli) e gli indennizzi economici non sono sufficienti, perché i costi economici non sono la cosa più importante. Da dove viene questa considerazione? Viene dalle convinzioni religiose e dagli impegni personali. Le donne che hanno famiglie numerose hanno una ragione per avere figli per cui vale la pena di morire: amore a Dio e amore alla famiglia.
  5. La Chiesa è fonte di nutrimento per la famiglia.
  6. La “politica familiare” più importante è la “libertà di religione”. Una fede salda. Le istituzioni religiose dovrebbero assumere ogni funzione possibile che riguardi i loro compiti: terapia di coppia, sostegno e soprattutto istruzione.
  7. Lo Stato non può salvare la famiglia. Solo la Chiesa può salvare la famiglia. Se lo Stato vuole salvare la famiglia, deve tutelare e promuovere la Chiesa. Lo Stato deve smettere di competere con le istituzioni religiose e di escluderle.
  8. Le politiche volte ad agevolare le donne a conciliare il lavoro e l’impegno con i figli, non riusciranno ad aumentare le nascite. Perché? La forza lavoro non-domestica è la prima causa dei bassi tassi di natalità (insieme ai moderni programmi pensionistici). Il fatto di avere un figlio, mentre si lavora, rende la maternità meno godibile.

I crediti d’imposta ed i sussidi per i bambini non sono una “leva” abbastanza grande e comunque le nazioni sono già in fallimento. Non ci sono abbastanza soldi nel mondo per aumentare il tasso di natalità attraverso incentivi diretti. Gli incentivi diretti non hanno funzionato storicamente in nessun paese. La famiglia sta crollando ovunque, negli Stati ad ampia redistribuzione e negli Stati con poca redistribuzione. La convergenza globale dei tassi di natalità è il fatto più importante della demografia moderna. La religione è la risposta, non il socialismo. Lo Stato deve concentrare le proprie politiche familiari sul ripristino delle istituzioni religiose. La religione è la prima politica della famiglia.

 

* Traduzione a cura della Redazione.

 

[1] Cfr. P. Pullella, Pope says birth control ban doesn’t mean breed ‘like rabbits’, Reuters, January 19, 2015, https://rb.gy/8h1o4p.

[2] U.S. National Center for Health Statistics, Births: Provisional data for 2020; B.E. Hamilton, J.A. Martin, M.J.K. Osterman, Vital Statistics Rapid Release 12, May 2021, https://rb.gy/i0a75u.

[3] M. Haines, Fertility and Mortality in the United States, https://rb.gy/iu1lem.

[4] CDC, Achievements in Public Health, 1900-1999: Family Planning, in Morbidity and Mortality Weekly Report 48, no. 47 (Centers for Disease Control and Prevention: December 3, 1999): https://rb.gy/xdtw4f. Come afferma il CDC in Family size declined between 1800 and 1900 from 7.0 to 3.5 children.

[5] G. Livingston, Is U.S. fertility at an all-time low? It depends, in Pew Research Center, January 18, 2018, http://www.pewresearch.org/fact-tank/2018/01/18/is-u-s-fertility-at-an-all-time-low-it-depends/.

[6] B.E. Hamilton, J.A. Martin, M.J.K. Osterman, Births: Provisional data for 2020, in Vital Statistics Rapid Release, no. 12, National Center for Health Statistics, May 2021.

[7] Op. cit.

[8] B.E. Hamilton-J.A. Martin-M.J.K. Osterman, Births: Provisional data for 2020, Vital Statistics Rapid Release no. 12, National Center for Health Statistics, May 2021, https:// doi.org/10.15620/cdc:104993.

[9] Cfr. SDT.

[10] Westoff and Ryder; Goldin and Katz(2002; 2003); Bailey (2005)

[11] U.S. Bureau of Labor Statistics, Labor Force Participation Rate – Women [LNS11300002], retrieved from FRED, Federal Reserve Bank of St. Louis, November 11, 2022.

[12] C. Goldin-L. F. Katz, The Power of the Pill: Oral Contraceptives and Women’s Career and Marriage Decisions, in Journal of Political Economy 110, no. 4 (2002): 752.

[13] Alcuni sostengono che le donne lavorano perché è troppo costoso vivere con un solo reddito. Ma questo è un errore economico. È impossibile vivere con un reddito poiché i prezzi si sono adattati alla famiglia con due stipendi.

[14] US Census Bureau, Current Population Survey 1970-2018.

[15] Il cambiamento nei tassi di natalità dal 1990 è dovuto in massima parte alla crescente percentuale di donne che hanno un solo figlio (dal 16,9% al 19,8%) e alla diminuzione della percentuale di donne che ne hanno tre (dal 19,4% al 17,3%).

[16] M. S. Kearney-P. B. Levine-L. Pardue, The Puzzle of Falling US Birth Rates since the Great Recession, in Journal of Economic Perspectives 36, no. 1 (Winter 2022): 151-76.

[17] Queste osservazioni si basano sul mio libro di prossima uscita: C.R. Pakaluk, Hannah’s Children: The Stories of Women Quietly Defying the Birth Dearth, disponibile a marzo 2024, pubblicato da Regnery Gateway.