Marianna Orlandi
Dottore di ricerca
Direttore esecutivo dell’Austin Institute per lo studio della famiglia e della cultura

 

Intervento introduttivo

 

Prima di tutto, grazie, a nome di tutto lo staff dell’Austin Institute, al Centro Studi Rosario Livatino, per aver accettato di organizzare, assieme a noi, questo importante incontro, e per aver radunato in questa magnifica sala nomi e personalità incredibili. Come da programma, il mio vuole solo essere un brevissimo intervento, volto a chiarire le ragioni di questa conferenza e ad introdurre, seppur brevemente e sommariamente, i temi di questa giornata e la loro assoluta ed attuale rilevanza. Rimando a più tardi, come da programma, il mio contributo scientifico.

Quanto all’ideazione ed allo scopo della conferenza, sembra doveroso parlare di famiglia e di fertilità in uno dei Paesi, l’Italia, più frequentemente citato, assieme al Giappone, quale esempio di fertilità più bassa del mondo[1]. Doveroso soprattutto quando, cittadina italiana, mi trovo a dirigere i lavori di un centro dedicato proprio alla famiglia negli Stati Uniti[2].

Poco più di un mese fa, il Financial Times – e non un giornale cattolico di provincia – titolava “Le nascite italiane calano al livello più basso dall’unificazione del Paese[3]. E sottotitolava menzionando le preoccupazioni derivanti da una popolazione sempre più vecchia che “grava” sulle finanze statali. Ebbene, questo “gravare” è termine che mi sconcerta. Non credo infatti azzardato ritenere che la popolazione italiana dai capelli grigi, e alcuni esponenti sono in questa sala, sia quella che più di tutte ha contribuito a creare quella ricchezza di cui oggi parliamo; ad aver nutrito lautamente le finanze statali. Chiariamoci: anche i giovani lavorano in Italia, e tanto. Molti di essi stanno ora cercando un lavoro che sembra non esistere più, guadagnando stipendi che bastano solo a coprire le spese; talvolta[4]. Non è per caso che nonostante il mio amore per l’Italia io stessa abbia scelto di vivere e lavorare oltreoceano.

Mi chiedo, tuttavia, se il contributo di noi giovani italiani alle finanze statali sia davvero equiparabile a quello di chi ci ha preceduto. Per chi come me ha meno di cinquant’anni, l’Italia è un Paese in cui tutto o quasi è stato dato; in cambio di pochi o nessun sacrificio. A livello materiale: scuola, sanità, divertimento; dal latino agli Erasmus, dalle vacanze in coppia da liceali, pagate dai genitori, al reddito di cittadinanza. (“A livello materiale”, dicevo, perché a livello spirituale è forse mancato tutto il necessario.) Al tempo stesso, questi stessi “fortunati” sono stati i primi a permettersi anche il lusso − o a credere che di lusso si trattasse − di non avere figli. Posti nella condizione di beneficiare anche di ciò che non si è guadagnato, gli italiani “post-pillola” (molto economica) e post-aborto (gratuito) hanno deciso che i figli sono un costo, un inconveniente, un impegno troppo grande. Hanno deciso di non sposarsi perché “costa troppo”[5].

Così, contrariamente al mito della famiglia italiana tanto diffuso oltreoceano (con nonna, 7 figli, e una ventina di nipoti), i nostri Natali in famiglia sono diventati Natali con pochissimi o nessun bambino, troppi vecchi che “gravano”, e litigi in tema ereditario tanto famosi da essere divenuti classici del cinema italiano. Ahimè, non credo che di commedia si tratti.

L’urgenza di questa conferenza sta nel fatto che non c’è immigrazione che ci possa salvare dal deserto demografico (la natalità non solo è in calo ovunque, ma lo è a una rapidità senza precedenti)[6] e, di conseguenza, dall’impossibilità di pagare non solo le pensioni, ma anche gli stipendi dei correnti dipendenti pubblici: dai medici agli insegnanti, dai poliziotti ai giudici. Se anche l’immigrazione arrivasse a Milano e Roma, non basterebbe per ripopolare i paesi e i centri in cui ospedali, scuole e supermercati continuano a sparire. L’urgenza sta nel fatto, non secondario, che la quantità di single che popola i bar è esattamente la stessa che rischia di essere sola e priva di supporti tra dieci o venti anni. Chiunque lavori in ospedale lo sa: non ci sono infermiere o hospice che possano sostituire le cure e la compagnia dei familiari. E solo chi si dimentica della propria finitudine può credere di vivere solo e felice sino alla fine. Forse di questo ci siamo dimenticati: del nostro limite. Suggerirei, tuttavia, che al tempo stesso abbiamo dimenticato anche il nostro valore. L’urgenza di questa conferenza sta infatti nell’incomprensione di un più delicato tema antropologico, che non credo toccheremo, ma che non può che essere lo sfondo dei nostri interventi, la lente attraverso la quale leggere lo stato attuale e intuire, al tempo stesso, la giusta direzione.

L’essere umano, maschio e femmina, è per natura generativo. Diversamente dal materiale – da ciò che plasmiamo a nostro piacere e per il nostro consumo, l’essere umano crea esso stesso: genera nuova vita e soggetti che la generano a loro volta. E a differenza di ogni altra creatura vivente, ogni nuovo essere umano genera non solo nuovi uomini e donne, ma anche idee, pensieri, musica, palazzi, arte, relazioni. Oggi, tuttavia, maschio e femmina comprendono sé stessi come esseri sterili[7], e spesso non solo dal punto di vista biologico. Non a caso, la si chiama spesso “cultura della morte”. È dunque necessario ed urgente ricordarci della nostra unica e irripetibile creatività e basarci su di essa per il futuro.

A prescindere dall’antropologia, sembra doveroso affrontare questi temi quando tutti sembrano preoccuparsi di economia e futuro, ma assai pochi dedicano sufficiente attenzione al fatto che non esiste sistema economico che funzioni quando la maggior parte della popolazione è di età pensionabile, quando non ci sono giovani con nuove idee e progetti e quando mancano figli che si occupino dei genitori anziani e non più autosufficienti. O meglio, soluzioni esistono, ma poco piacevoli. Per chi sia attento alla giurisprudenza internazionale è infatti impossibile se non mendace non vedere che le “soluzioni” più probabili e più temibili sono quelle conseguenti alle politiche eutanasiche che continuano a proporsi come strumenti di misericordia. Politiche che eliminano chiunque non sia produttivo: perché troppo vecchio, perché malato, o perché semplicemente infelice. Politiche che continuano a proporsi anche in Italia, come sanno bene tutti i giuristi che contribuiscono all’opera del Centro Studi Livatino e che ad esse si oppongono. Basti vedere cosa sta succedendo in Canada. Nel corso di soli 7 anni, in Canada si è passati dalla decriminalizzazione di suicidio assistito ed eutanasia in limitate circostanze a una realtà in cui, nel 2021, 9,950 persone vi hanno fatto ricorso[8]. Di queste, il 46.8% era di età compresa tra i 65 e gli 80 anni. Una scelta libera? Forse. Ma una scelta che forse diventerà comune anche in Italia se si allargassero ancora le maglie giurisprudenziali: specialmente tra i più anziani e tra chi decide di non sposarsi e non avere figli. Il 36% di quei citati pazienti (o vittime?) canadesi menziona il sentirsi “peso per famiglia o amici” tra i motivi della decisione. Il 17% menziona isolamento e solitudine.

Bisogna occuparsi di famiglia perché non esiste cultura che abbia superato le proprie crisi se non ricominciando dai fondamentali: da ciò che sta al cuore della nostra esistenza. E tutti veniamo da lì: da nostro padre e da nostra madre. Quello che idealmente questa conferenza ci aiuterà a comprendere è, anzitutto, quale sia lo stato reale delle cose. Vogliamo inoltre riflettere assieme sulle ragioni per cui il Paese più invidiato al mondo per bellezza, storia, arte e paesaggio si sia lentamente arreso alla propria scomparsa. Perché non nascono bambini in un paese che gode di assegni di maternità e paternità e in cui la tutela della maternità è addirittura sancita a livello costituzionale? È davvero per le ragioni citate dal Financial times, quali insufficienti asili nido e flessibilità per le madri lavoratrici[9]?

Dal punto di vista scientifico, avremo la possibilità di osservare come il diritto e l’economia possano fungere da strumenti disgregatrici, e contribuire alla crisi in cui ci troviamo. Come Tommaso d’Aquino insegna, ma il nostro mondo rifiuta di ricordare ed accettare, infatti, le leggi umane non solo rispondono ai problemi attuali, ma sono strumenti che plasmano la realtà ed anche l’uomo stesso (sia pur mai potendone intaccare la coscienza profonda, ma questo è un altro argomento).

Dal punto di vista comparativo, il Professor Regnerus, esperto in matrimonio e famiglia, ci dovrebbe aiutare a individuare e comprendere le ragioni per cui tanti, troppi giovani, in Italia e un po’ in ogni parte del mondo, rimandano matrimonio e famiglia fino al momento in cui è troppo tardi.

Più in generale, speriamo che la presenza degli scholars statunitensi aiuti a comprendere che il fenomeno di decrescita demografica che l’Italia (e l’occidente) sta vivendo, benché comune, potrebbe non essere inevitabile conseguenza del progresso. L’economia americana è certamente più florida della nostra, ma la natalità non è calata altrettanto rapidamente da quella parte dell’Atlantico. In particolare, le famiglie numerose statunitensi, di cui parlerà la Professoressa Catherine Ruth Pakaluk, potrebbero farci ricredere sulla loro insostenibilità economica o culturale. Infine, l’esistenza di centri come quelli che io stessa ho l’onore di dirigere ad Austin potrebbero indicarci una via per aiutare i giovani ad avere un coraggio che certamente non ci mancava in passato. Forse, per combattere la chiusura di ospedali, scuole, e università non servirà più denaro statale, ma più fiducia nella vita da parte di tutti; e più vera libertà.

Con questa domanda in sospeso, e senza voler anticipare conclusioni cui ognuno sarà libero di giungere, lascio la parola ai relatori e auguro a tutti un ottimo lavoro.

 

[1] Vedi ad esempio i tassi relativi al 2020: Italia, 1.2, Giappone,1.3, pubblicati dalla World Bank e reperibili online: https://rb.gy/v2yp15.

[2] Riferimento all’Austin Institute for the Study of Family and Culture, di cui l’Autrice è Executive Director. https://www.austin-institute.org.

[3] A. Kazmin-C. Giles, Italian births drop to lowest level since country’s unification, 7 aprile 2023, Financial Times, https://rb.gy/tr8ejd.

[4] In proposito vedi, ad esempio, Openpolis, 24 aprile 2023, che riporta come l’Italia sia l’unico Paese europeo in cui i salari sono diminuiti rispetto al 1990 (https://rb.gy/1fipk7). Vedi anche l’articolo apparso su C. Brusini, Il Fatto Quotidiano, 5 febbraio 2023, Lavoro povero, gli stipendi da fame dei giovani in Italia: dai servizi alle professioni, per gli under 29 meno di 13mila euro l’anno.

[5] Sul tema, e su come questo problema dei “costi” rallenti ed ostacoli il matrimonio anche tra giovani cristiani, vedi, M. Regnerus, The Future of Christian Marriage, Oxford University Press, 2020, in part. pp. 120-125.

[6] J.F. Villaverde, The Demographic Future of Humanity: Social Change Public Discourse, 2022, available, in three parts, https://rb.gy/100dh3.

[7] V. A. Favale, The Genesis of Gender. A Christian Theory, Ignatius Press, 2022, in part. pp. 103-105.

[8] Terzo Rapporto Annuale “Medical Assistance in Dying in Canada, 2021”, luglio 2022, reperibile al seguente link: https://rb.gy/6d21xy.

[9] Supra, n. 3