Francesco Farri
Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto dell’Economia e dell’Impresa
Università La Sapienza di Roma

 

Sommario: 1. Sovranità, Stato, popolo – 2. UE non quale espressione della sovranità di un popolo ma quale organizzazione di Stati – 3. Due modelli di integrazione per l’UE ‒ 3.1. La prospettiva funzionalista ‒ 3.2. La logica valoriale ‒ 4. Quale sviluppo politico per l’UE.

 

  1. Sovranità, Stato, popolo

 

Attorno al concetto di “sovranità” è fiorita nel tempo una vera e propria “Babele di definizioni[1], ciascuna delle quali più o meno “storicamente situata[2]. Si pensi, ad esempio, a quanto “storicamente situata” (e superata) può considerarsi la concezione di sovranità come potere di decisione sullo “stato d’eccezione” elaborata da Carl Schmitt[3]. È possibile, tuttavia, individuare una definizione base del concetto nel potere di autodeterminazione in senso giuridico di una collettività organizzata, ossia il potere di scegliere le regole del proprio vivere civile (potere nel quale è inclusa l’eventuale scelta di delegare la fissazione delle regole ad autorità esterne).

In un mondo globalizzato e digitalizzato, nel mondo del web e delle multinazionali, in un mondo in cui la dimensione giuridica appare spesso travolta dal rapido evolversi dei fatti e dalla forza di essi, in un mondo complesso e “plurale”, qual è quello odierno, ha ancora un senso, giuridico e politico, parlare di “sovranità”?

Secondo alcuni autorevoli pensatori, lo stesso concetto di Stato, cui la sovranità si è storicamente collegata (ma la corrispondenza non è biunivoca: può esservi infatti sovranità anche al di fuori del modello dello Stato), dovrebbe ritenersi ormai in via di superamento[4]. In altra prospettiva, si riconosce che «una forma politica in cui il ‘moderno’ torna alla sua originaria complessità (…) lungi dal richiedere la radicale rimozione del principio di sovranità, (…) sembra anzi esigerne la restaurazione, esattamente come principio conservativo di quell’ordine plurale e di quella mutua obbligazione fra governanti e governati di cui desideriamo ancora vivere»[5].

In realtà, infatti, la “sovranità” non è un concetto “superabile”, né tanto meno in via di superamento: essa è un elemento di cui non può fare a meno una comunità che voglia organizzarsi come tale. «Sovranità è realismo, esistenza consapevole di un Io collettivo, non ipertrofia dell’Io. La sovranità di un corpo politico è la capacità di stabilire come stare nel mondo e nella storia, come rapportarsi con l’ambiente esterno, come riconoscere gli interessi permanenti di uno Stato»[6].

È per questo che la sovranità è un concetto indefettibile per una comunità organizzata. Ed è per questo che la sovranità non promana dall’esistenza di una organizzazione pubblica (Stato, Federazione, Unione), ma dalla comunità di persone, dal popolo, che ad essa dà vita. «Come non esiste un’anima senza un corpo, né un corpo vivente senz’anima, così non esiste una sovranità senza il corpo politico di cui è l’impulso vitale, né un corpo politico privo di sovranità (…) Questo corpo politico, non è necessariamente un’identità tribale, una compatta comunità: è una società complessa, attraversata da tensioni e conflitti, che nella sovranità si esprime politicamente»[7]. Non vi è quindi da temere che il riferimento ai concetti di sovranità, di popolo trasmodino in pericoloso nazionalismo o in esclusioni sociali.

La sovranità è, quindi, per sua natura “popolare”, come esattamente riconosce l’art. 1 della Costituzione Italiana. La sovranità “appartiene al popolo” mentre allo Stato essa appartiene soltanto in via indiretta, quale espressione di un popolo che si pone come “sovrano”.

 

  1. UE non quale espressione della sovranità di un popolo ma quale organizzazione di Stati

 

Alla luce di ciò, può quindi fornirsi risposta alla domanda se l’Unione Europea possa o meno dirsi titolare di sovranità. Per come attualmente configurata, infatti, è assolutamente chiaro e incontroverso sotto il profilo giuridico che l’Unione Europea non è una istituzione fondata da un momento costituente espresso da un popolo sovrano, ma una organizzazione internazionale di Stati, per quanto complessa ed evoluta. Per questo motivo, è agevole riconoscere che essa non può considerarsi dotata di una sovranità propria. L’inevitabile conseguenza di ciò è che le competenze dell’Unione Europea devono essere circoscritte e limitate a quelle specificamente conferite dagli Stati tramite i Trattati istitutivi.

In questo contesto, è semmai possibile chiedersi se esistano margini per superare la configurazione attuale, ossia per realizzare concretamente quegli “Stati Uniti d’Europa” di cui spesso si sente parlare da una parte della narrazione politica e culturale. Per rispondere a tale interrogativo, occorre anzitutto chiedersi quali siano i presupposti per realizzare una unione federale. Su tale tema, che ha carattere generale, manca tuttavia una riflessione approfondita. Bisogna risalire a un saggio di quasi un secolo fa per rintracciare uno studio complessivo circa i presupposti dello Stato federale[8].

 

  1. Due modelli di integrazione per l’UE

 

Nel caso dell’Unione Europea, si confrontano due possibili modelli di integrazione: un primo modello fondato su una logica “funzionalista” e un secondo possibile modello fondato su una logica “assiologica” o “valoriale”.

 

3.1. La prospettiva funzionalista

 

Ess dà per presupposto dogmatico che l’integrazione sia la cosa migliore. Si cerca un effetto di “spill-over” mediante il “forcing” delle competenze attribuite dai Trattati: si basa, cioè, il progetto di integrazione sulla convinzione che «le “crisi” ed i “problemi inaspettati” (unintended consequences) imposti dal “mettersi insieme” in un’area di competenza [costringano] gli Stati a compiere “passi in avanti” (spill-over) nell’integrazione»[9].

Al riguardo, occorre una precisazione di fondo. Può esservi un “forcing” delle competenze attribuite dagli Stati che, effettivamente, non si pone in contrasto con la sovranità degli Stati stessi, poiché consiste nel massimizzare le potenzialità espressive di materie già attribuite integralmente alla competenza dell’Unione. Si pensi al caso della politica monetaria: essa è già integralmente delegata alle competenze dell’Unione, per cui l’utilizzo di essa in senso più o meno espansivo non si pone in contrasto con la sovranità degli Stati (come erroneamente ritenuto dalla Corte Costituzionale della Germania nella nota sentenza del 5 maggio 2020), ma costituisce semplice conseguenza della delega delle competenze che gli Stati hanno deciso (liberamente e “sovranamente”, almeno sotto il profilo giuridico) di effettuare all’Unione. Esiste, invece, un’altra forma di “forcing” delle competenze che si pone in diretto contrasto con la sovranità degli Stati, perché cerca di attrarre all’Unione competenze nuove e diverse rispetto a quelle che gli Stati hanno a essa attribuito e ciò torna a scapito delle competenze che gli Stati, sottoscrivendo i Trattati istitutivi, hanno inteso mantenere per sé medesimi.

Si pensi, ad esempio, allo sconfinamento in campo penale attuato avvalendosi della clausola di tutela degli interessi finanziari dell’Unione di cui all’art. 325 TFUE, che ha indotto la Corte Costituzionale Italiana a prospettare l’utilizzo della clausola dei “controlimiti”, ossia la disapplicazione della legge di recepimento dei trattati europei per contrasto con i principi supremi della Costituzione nel caso “Taricco”[10]. Oppure si pensi allo sconfinamento in materia di regiudicata, sempre per il tramite del grimaldello della clausola di tutela degli interessi finanziari dell’Unione di cui all’art. 325 TFUE[11]; o ancora agli sconfinamenti in materia di imposte dirette e tributi locali per il tramite della clausola di divieto di aiuti di Stato (art. 107 TFUE).

Si ricordi per esempio la sentenza CGUE, Grande Sezione, 6 novembre 2018, cause C-622/16P e C-624/16P, Italia c. Commissione (Montessori): mentre l’art. 107 del TFUE afferma che i sussidi pubblici selettivi per le imprese risultano incompatibili con il trattato soltanto a fronte della presenza cumulativa di due requisiti (ossia che tali sussidi, da un lato, “falsino o minaccino di falsare la concorrenza” e, dall’altro lato, “incidano sugli scambi tra Stati membri”), le istituzioni europee considerano sufficiente per ritenere integrato il secondo requisito anche la mera “minaccia” di incisione sugli scambi inter-statuali, in patente violazione della norma convenzionale che ha ritenuto idoneo il livello di pericolo per un interesse europeo soltanto in relazione al primo requisito, così richiedendo per il secondo la prova dell’effettiva lesione dell’interesse europeo da esso tutelato; in questo modo, è stato possibile sindacare le libere decisioni dello Stato italiano sul tema delle esenzioni da ICI e IMU delle foresterie monastiche e delle scuole paritarie, pur essendo evidente che esse mai hanno inciso sul mercato comune europeo (quale imprenditore europeo dell’industria alberghiera è stato scoraggiato dall’apertura in Italia per la presenza di foresterie monastiche?). Ma si pensi anche alle intrusioni delle istituzioni europee in molti altri frangenti del tutto sforniti di attribuzioni in sede di Trattati, dalla tutela della privacy alla promozione dell’ideologia del gender.

In questo contesto, appare evidente che questa seconda tipologia di “forcing” delle competenze costituisce violazione della sovranità degli Stati che all’Unione hanno dato vita e che la resistenza delle singole collettività deleganti non potrà tacciarsi di “sovranismo”, ma costituirà una legittima manifestazione di tutela della sovranità fiscale propria di esse. Come esattamente osservato, «quelle richieste popolari di protezione, di ritorno allo Stato, di difesa dalle dinamiche globali e dalle regole europee, che si è soliti definire ‘sovranismo’ … non sono manifestazione di nuova barbarie, ma di paurosi scricchiolii nella costruzione europea»[12].

Il limite maggiore della logica funzionalista è che essa si caratterizza per un approccio “aprioristico”. Essa non fa oggetto di dibattito e non argomenta adeguatamente il suo presupposto, cioè se l’integrazione sia o meno la cosa migliore e a quali condizioni essa possa esserlo. Anche la riflessione giuridica, in tema di Unione Europea, è spesso intrisa di tale dogmatismo. Ma ciò, anziché favorire il dibattito razionale, lo sterilizza. Come già scritto[13], non è più il tempo in cui imperatori o élite autoproclamatesi illuminate decidono a tavolino o sui campi di battaglia il destino dei popoli senza fare i conti con la loro volontà, con il loro sentire, con le loro tradizioni, con i loro valori, con la loro cultura.

 

3.2. La logica valoriale

 

Essa, al contrario, presuppone che per creare una nuova realtà sovrana, per quanto federale, occorre un popolo che si percepisca come tale. E per percepirsi come tale una comunità deve avere valori comuni e condivisi, che vadano oltre al mero interesse economico. «Une des grandes erreurs de ce siècle est de croire que la constitution politique des peuples est une oeuvre purement humaine; qu’on peut faire une constitution comme un horologer fait une montre»[14].

Come efficacemente rilevato, «i semplici Trattati non creano da soli una nuova comunità»[15]. E neppure la democratizzazione delle istituzioni dell’Unione (ad esempio, l’attribuzione di maggiore centralità al Parlamento Europeo eletto direttamente dai cittadini), di cui spesso si parla come panacea del male, sarebbe sufficiente. Quando si vuol parlare di fondazione di una comunità politica, non basta la “giustizia procedurale” di habermasiana memoria: servono i contenuti e i contenuti, senza una solida base valoriale, sono fragili e transeunti.

Nell’odierno contesto, una evoluzione federale può aver luogo soltanto tra comunità davvero unite mediante legami che trascendano il mero profilo economico: i soldi, per quanto importanti, non tengono unite le persone, nella loro vita, nelle loro storie, nelle loro tradizioni, nei loro valori e, a maggior ragione, non tengono unite le comunità; inoltre, troppo mutevoli sono per loro natura gli interessi economici per poter rappresentare un elemento di coesione duraturo tra comunità diverse e una base sulla quale esse possano fondare una auto-percezione come corpo politico unitario pur nel pluralismo della sua composizione. Se non vi è una progettualità comune di tal genere, la delega di funzioni rimarrà per sua natura circoscritta a determinati interventi e difficilmente potrà assumere quella portata propriamente politica che costituisce il presupposto per l’esercizio di un atto di sovranità.

 

  1. Quale sviluppo politico per l’UE

 

La vera domanda è, allora, se esistono i presupposti assiologici per un’evoluzione in senso politico dell’Unione Europea, ossia se esiste un popolo europeo che si percepisce come tale sulla base di valori autentici effettivamente vissuti e condivisi. Scriveva quasi quarant’anni fa uno studioso marxista come Benedict Anderson: «market-zones, ‘natural’- geographic or politico-administrative, do not create attachments. Who will willingly die for Comecon or the EEC?»[16]. Può dirsi a oggi cambiata questa situazione? Scrive Carlo Galli: «oggi è davvero improbabile pensare a un potere costituente dei popoli europei, che implicherebbe la loro unificazione in un unico popolo e in un’unica struttura politica – per quanto federale (…) Una sovranità europea, anche federale, sarebbe davvero un super Leviatano»[17].    

Trovare valori in un’Unione Europea che fa dell’assenza di valori il proprio “valore” è molto complesso. Lo spirito, per chi crede nel progetto europeista, dovrebbe essere mosso in questa direzione, più che in quella del “forcing” a tutti i costi delle competenze dell’UE e della dismissione della sovranità nazionale per conferirla in un contenitore strutturalmente incapace di accoglierla. Agire su questi aspetti senza agire sull’aspetto assiologico è come porre il carro innanzi ai buoi: un’iniziativa destinata all’insuccesso e, anzi, controproducente.

Il vero europeista è oggi, dunque, colui che cerca di (ri)dare all’Europa un’anima basata sui valori non negoziabili[18]. Solo sulla condivisione dei valori non negoziabili può fondarsi una seria prospettiva di integrazione tra gli Europei, ossia la pre-condizione per una più intensa forma di integrazione istituzionale[19].

* Contributo sottoposto a valutazione.

 

[1] Per usare le icastiche parole di A. Morrone, Sovranità, in Rivista AIC, n. 3/2017.

[2] F. Lanchester, L’erosione della sovranità nazionale, in Rass. parl., 1998, p. 413 ss.

[3] C. Schmitt, Politische Theologie. Vier Kapitel zur Lehre von der Souveränität. Berlin 1922 e 1934, trad. it. Teologia politica: quattro capitoli sulla dottrina della sovranità, in C. Schmitt, Le categorie del politico, Bologna, 2014.

[4] Cfr., ad esempio, S. Cassese, Fortuna e decadenza della nozione di Stato, in Aa.Vv., Studi in onore di Massimo Severo Giannini, Milano, 1988, p. 89 ss.

[5] D. Quaglioni, La sovranità, Roma-Bari, 2004, p. 120.

[6] C. Galli, Apologia della sovranità, in Limes, 2/2019, p. 159; Id., Sovranità, Bologna, 2019.

[7] Cfr., ancora, C. Galli, Apologia della sovranità, cit.

[8] K.C. Wheare, Federal Government, Oxford 1946, trad. it. Del governo federale, Bologna, 1997.

[9] F. Pepe, L’emergenza Covid-19 nell’Unione europea: verso una solidarietà tributaria “strategica”?, in Riv. telem. dir. trib., 29 aprile 2020, anche con riferimento a F. Attinà – G. Natalicchi, L’Unione europea. Governo, istituzioni, politiche, Bologna, 2007, p. 75 ss.; A. Cantaro, Le “filosofie” dell’integrazione sovranazionale, in A. Cantaro, a cura di, Il costituzionalismo asimmetrico dell’Unione. L’integrazione europea dopo il Trattato di Lisbona, Torino, 2010, p. 14 ss.

[10] CGUE 8 settembre 2015, causa C-105/14, Taricco; Corte Costituzionale italiana, ord. n. 24 del 26 gennaio 2017; successiva CGUE, Grande Sezione del 5 dicembre 2017, causa C-42/17, cd. M.A.S. e M.B. o Taricco-2, che ha rivisto il proprio precedente orientamento dando ragione alla Corte Costituzionale italiana: cfr. sul tema F. Farri, Frodi IVA e principi costituzionali: la CGUE dà ragione alla Corte Costituzionale italiana, in Riv. dir. trib., supplemento online, 12 dicembre 2017.

[11] CGUE, 3 settembre 2009, causa C-2/08, Olimpiclub.

[12] C. Galli, Apologia della sovranità, cit., p. 163.

[13] F. Farri, Sovranità tributaria e nuovi “luoghi” dell’economia globale, in Dir. pubbl., 2019, p. 203.

[14] J. De Maistre, Etude sur la souveraineté, pubblicato postumo in Oeuvres complètes de J. de Maistre. Nouvelle édition contenant ses oeuvres posthumes et toute sa correspondance inédite, Lyon 1884, ma 1794, cap. VII, trad. it. Studio sulla sovranità, in J. De Maistre, Scritti politici, Siena, 2000.

[15] A. Sodano, Per una nuova Europa, Città del Vaticano, 2009, p. 23.

[16] B. Anderson, Imagined communities. Reflections on the origin and spread of nationalism, London, 1983, 53, trad. it. Comunità immaginate, Roma-Bari, 1996.

[17] C. Galli, Apologia della sovranità, cit., p. 163.

[18] Insuperate rimangono, al riguardo, le parole di J. Ratzinger, L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture, Siena, 2005; Id., Europa. I suoi fondamenti oggi e domani, Cinisello Balsamo, 2004; analoga è la prospettiva anche dei più autorevoli studiosi non cristiani, come J.H. Weiler, Europa cristiana. Un saggio esplorativo, Milano, 2003.

[19] Per ulteriori approfondimenti, rinvio al mio Tax Sovereignty and the Law in the Digital and Global Economy, Routledge e Giappichelli, Oxford – New York – Torino, 2020, in https://bit.ly/3mFOWq7