La pandemia da Covid-19 ha reso l’anno che si è appena concluso doloroso e difficile. Sul sito del nostro Centro Studi abbiamo seguito, con cadenza pressoché quotidiana, i problemi di rilievo giuridico posti dallo “stato di eccezione”, zona intermedia tra il giuridico e l’extra-giuridico, tra la legge e l’esercizio della forza, con la moltiplicazione di decreti legge, di atti amministrativi come i DPCM, di atti di urgenza di singoli ministeri o delle regioni, perfino di ordinanze dei capi degli uffici giudiziari. In virtù di questa congerie di norme di varia fonte sono state ristrette ‒ in modo più o meno sensibile, comunque con un continuativo tasso di incisività ‒ alcune libertà fondamentali: la libertà di circolazione, la libertà di iniziativa economica, nel primo lockdown perfino la libertà religiosa. Sono stati bloccati o fortemente ridotti nella funzionalità settori cruciali come la scuola, l’attività sanitaria non strettamente correlata alla cura dei contagiati da Covid-19, la giustizia.

Ne abbiamo trattato ripetutamente nel corso dell’anno, anche sul precedente numero di L-JUS. In questo ospitiamo sul tema uno studio del prof. Ermanno Pavesi, circa la controversa origine del virus e la responsabilità della sua diffusione. Francesco Farri affronta invece la questione del rapporto fra Unione Europea e i singoli Stati che la compongono, che ‒ sempre centrale nella dialettica istituzionale e politica ‒ è diventata ancora più vivace in questo periodo, nella valutazione del rapporto fra sostegni sovranazionali alle economie nazionali in difficoltà, e condizioni di erogazione degli stessi.

Vorremmo però guardare al dopo Coronavirus, nella prospettiva che, quando potrà ritenersi chiusa la pesante deroga alla ordinaria funzionalità dell’ordinamento, si verifichi in che modo e entro quali tempi ripristinare regole di garanzia, di efficienza e di libertà compresse da più mesi; e non si perda la distinzione fra quel che è stato ed è accettato, con maggiore o minore condivisione, in quanto esito dello stato di eccezione, e quel che con la situazione eccezionale non ha nulla a che vedere.

Gli altri contributi che compaiono su questo numero vanno in tale direzione, considerando i differenti piani nazionale, europeo e internazionale. L’emergenza ha, per es., fatto perdere di vista i problemi di sicurezza e di ordine pubblico, che tuttavia permangono: la riflessione di Mauro Ronco ne coglie quella radice che spesso sfugge nella polemica politica sul tema. Non ha perduto di attualità la questione del fine-vita, che anzi ha visto intervenire pronunce giurisdizionali di merito ‒ come quella della Corte di Assise di Massa ‒, con l’ulteriore allargamento dei già fievoli argini posti dalla sentenza n. 242/2019 della Corte costituzionale: torniamo su quest’ultima con una approfondita riflessione di Paolo Valiante. Sulla medesima lunghezza d’onda Sabrina Vannuccini propone un quadro d’insieme delle decisioni dei giudici inglesi riguardanti i casi analoghi di bambini affetti da gravi patologie, per i quali si è decisa la sospensione dei trattamenti di cura, e perfino di mantenimento.

Completano il numero un saggio di Angelo Salvi sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia europea relativo alla legittimazione delle associazioni rappresentative di interessi all’avvio e alla presenza in giudizio in procedimenti aventi per oggetti discriminazioni, e uno studio di Leonardo Giordano sul giudice-giurista-scrittore Ugo Betti.

Nella sezione dedicata alla documentazione compaiono le relazioni che Aldo Rocco Vitale, Mauro Ronco, Domenico Airoma e chi scrive hanno svolto in audizioni davanti a Commissioni parlamentari, in prevalenza la Commissione Giustizia della Camera: il primo sulle proposte di legge riguardanti l’eutanasia, gli altri sulla riforma del processo penale proposta dal Governo.

Un anno così problematico si chiude con una notizia che ha riempito di gioia tanti, e in particolare chi aderisce e anima questo Centro Studi: quella del riconoscimento della qualifica di Martire per Rosario Livatino, e della sua beatificazione, che dovrebbe avvenire entro la metà del 2021. La Chiesa anche formalmente indica nel giudice di Canicattì un modello per ogni giurista, in particolare per ogni magistrato: si completa un cammino che ha conosciuto tappe significative nel monito di S. Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi il 13 maggio 1993 ‒ l’ordine, più che l’invio, ai mafiosi a convertirsi perché “verrà il giudizio di Dio” ‒, pochi minuti dopo aver incontrato i genitori di Livatino, e che negli ultimi mesi ha visto il discorso di Papa Francesco su Rosario nel corso dell’udienza del 29 novembre 2019 ai componenti del nostro Centro Studi, e l’omelia del card. Bassetti nella S. Messa celebrata a Roma in occasione dei 30 anni dall’omicidio, il 21 settembre 2020.

L’esperienza di Livatino è quella di un uomo per il quale la fede non è un elemento di contorno, ma al tempo stesso la ragione di vita e ciò che conferisce significato a un lavoro quale quello di giudice. La coerenza fra la fede e l’esistenza quotidiana è la radice della sua professionalità e del suo rispetto per l’altro.

Sarebbe bello se, immaginando che la beatificazione sia l’occasione per parlare di lui in misura maggiore di quanto accaduto finora, il suo profilo non fosse manipolato o strumentalizzato, ma fosse presentato per quel che è stato realmente: un Cristiano che ogni giorno, sapendo ben distinguere le realtà temporali dalle proprie convinzioni, poneva la coscienza nelle mani di Dio, e da questo traeva coraggio e forza.

Non faremo mancare il nostro contributo in questa direzione, e intanto rivolgiamo a coloro che ci seguono il più caro augurio di un felice 2021, in Domino.

Alfredo Mantovano