Vittorio Tusa
Avvocato in Milano

Conversazione con S.E.R. Monsignor Marcello Semeraro
Vescovo di Albano
Segretario del Consiglio di Cardinali

 

La presente conversazione è il punto d’arrivo di un percorso di studio, sostenuto dal Centro universitario Cattolico, presso la Conferenza Episcopale Italiana.

Il progetto, intitolato “La collegialità nella Chiesa a cinquant’anni dal Concilio Vaticano II” per evidenti ragioni non può prescindere dall’analisi del concetto stesso di collegialità, sia sul piano giuridico che teologico.

In particolare con Sua Eccellenza intenderei parlare di ciò che largamente la dottrina qualifica come “collegialità affettiva”.

Tale dimensione si pone aldilà della collegialità più strettamente intesa quale è la Collegialità episcopale, che si esprime solennemente nel Concilio ecumenico, sempre con il Pontefice e mai senza di esso.

Nel momento presente elementi di collegialità affettiva, e di sinodalitá, si mostrano vividamente con l’esperienza del Sinodo dei Vescovi, ed inoltre con la nuova istituzione del Consiglio di Cardinali.

La mia conversazione con Lei si concentrerà precisamente su quest’ultimo organo, in quanto nello stesso Sua Eccellenza ricopre l’ufficio centrale di segreteria.

 

Quanto alla terminologia cui Lei fa riferimento, ritengo che vi sia la tendenza a superarla.

Credo che si tenda a superare la distinzione tra collegialità affettiva ed effettiva non perché essa non sia valida (io, anzi, la ritengo), ma per la ragione che nell’uso linguistico odierno essa è di difficile comprensione, o almeno fonte di qualche equivoco.

Intendo dire che nel nostro linguaggio comune la parola “affetto” fa riferimento ad un sentimento, e non rimanda quindi esplicitamente ad una base di carattere ontologico, quanto piuttosto ad un sentimento, a qualcosa di interiore che poi si manifesta in comportamenti. L’idea che qui esprimo mi pare sia convalidata dal professore Gianfranco Ghirlanda[1]. Fu il senso col quale il termine fu impiegato nella redazione dell’Esortazione Apostolica Pastores Gregis[2]. Io ero stato Segretario speciale del Sinodo dei Vescovi nel 2001 e quella Esortazione Apostolica ne è, potremmo dire, il seguito. Ricordo che in quella circostanza Gianfranco Ghirlanda sottolineava che la parola “affetto” è da intendersi secondo l’etimologia latina, cioè in un senso stretto: ossia di affectum, che è ciò che lega, che congiunge delle persone su di una base ontologica.

Si aggiunga pure che la parola collegialità è un termine astratto, che alla lingua latina non piace: essa preferisce infatti il termine concreto di collegio.

Diremmo, dunque, che la collegialità affettiva coinciderebbe con il dato ontologico sacramentale che lega fra sé tutti quelli che hanno ricevuto l’ordine sacro nel suo primo grado, che è l’Episcopato. Effettiva la collegialità lo diventa quando questa base ontologica, la realtà ontologica, viene alla luce e produce gesti ed atti concreti. Quindi diremmo che, ad esempio, un Concilio Ecumenico è espressione concreta di una collegialità affettiva perché in esso emerge, si mostra, si attua l’affetto collegiale, cioè l’elemento sacramentale di base, che collega tutti coloro che hanno il sacramento dell’ordine del grado dell’episcopato.

In sintesi, la realtà sacramentale ontologica di base passa all’atto e si esprime attraverso determinati atti, quali il voto, col quale ogni Vescovo si fa voce della sua Chiesa, eccetera. Il senso dovrebbe essere questo. Oggi, però, non tutti intendono l’affectum in questo senso e sarebbe forse un po’ difficile da spiegare. Nell’uso linguistico comune, come dicevo, l’affetto è il volersi bene …

Invece per noi più propriamente si intenderebbe come il vincolo sacramentale dell’Episcopato nella sollecitudine verso la Chiesa.

Esatto: è proprio, torno a dire, l’elemento sacramentale che congiunge in un collegio i suoi membri; che colloca in un collegio delle persone. Se nel linguaggio comune la parola affetto rimanda al sentimento, qui si tratta di un elemento di base ontologico. Capisco che altri potrebbero non convenire su questa spiegazione. Dico soltanto che in Pastores Gregis il termine è usato in questo senso. Convengo, tuttavia, e per le ragioni che ho ricordato, sulla tendenza ad evitare il binomio affettiva – effettiva.

Concentrando l’attenzione sul Consiglio di Cardinali, come nasce la proposta di istituirlo? In quanto noi sappiamo che sorgerebbe all’interno ed in occasione delle congregazioni generali precedenti al Conclave nel 2013. E, se può dirlo, anche chi è Colui che di fatto ha avanzato tale idea, che poi si è tradotta nel Chirografo istitutivo[3] redatto dal Pontefice.

 

Chi ha personalmente manifestato l’istanza non lo saprei. Si è sempre parlato, tuttavia, anche nell’ambito del Consiglio dei Cardinali quando si faceva riferimento a questa fase, di un’indicazione comune ricorrente nelle Congregazioni pre-conclave. Ed è ciò che lo stesso Papa poi ha affermato esplicitamente più e più volte. Si è trattato di un’istanza emersa nelle riunioni anteriore al Conclave. Dico anteriori al Conclave perché ovviamente il Papa non è giuridicamente vincolato a quello che è stato detto dal Collegio dei Cardinali, altrimenti sarebbe una condizione per l’elezione. Ancor meno in fase di Conclave. È da escludere una cosa di questo genere. Sono state quindi delle raccomandazioni, delle istanze che sono emerse. La ragione è stata fondamentalmente quella di dotare la Sede Apostolica, la Santa Sede, quindi il Papa, di uno strumento agile, di veloce e più facile consultazione, anche in un contesto di non ufficialità, al fine di percepire le istanze che vengono da tutta la Chiesa.

È stato peraltro pubblicato su una rivista del Laterano, Centro Vaticano II. Studi e ricerche curato dal Professor P. Chenaux, un mio intervento “Sinodo dei Vescovi. La “paternità” di Paolo VI[4] ove si utilizzano dei testi autografi di Paolo VI che fanno riferimento a suoi discorsi ufficiali. Quindi nel confronto tra il manoscritto di Montini e il testo ufficiale è facile individuare delle intenzioni del Papa. Ora, l’idea di qualcosa di molto simile all’attuale Consiglio di Cardinali costituito da Papa Francesco, era già emerso in fase di discussione nel Concilio Vaticano II. Nell’articolo appena richiamato si pongono esattamente in parallelo ciò che disse Montini in un suo discorso del 21 novembre 1964[5] ed è scritto nel testo del manoscritto, e quello che più tardi è stato il Chirografo di Francesco[6]. Tutto ciò ovviamente senza che vi sia alcuna dipendenza neanche letteraria.

Cioè Papa Francesco non conosceva questa intenzione di Paolo VI. Però corrisponde ad un progetto che c’era nel Concilio Vaticano II, anche se in termini molto vaghi, ma che poi è stato visto ed attualizzato nel Sinodo dei Vescovi.

Avrei voluto domandare «dal Concilio al Sinodo, e dalle Congregazioni al Consiglio dei Cardinali?», ma mi ha sorpreso affermando che pur trattandosi di due istanze differenti, tra Sinodo e Consiglio di Cardinali vi è una sorta di continuità, e che già c’era stata l’intuizione da parte di Paolo VI di costituire una realtà di questo genere.

 

Sì, anche se Paolo VI ha comunque sempre pensato ad una realtà consultiva. Il Sinodo è stato concepito fin dall’inizio come una realtà di consultazione[7], ma questo è un altro problema. La vera questione è cosa si intende per consultazione. In dottrina alcuni ne parlano, in senso civilistico, aziendale etc., ma nel senso ecclesiastico e a livello ecclesiale non è la stessa cosa. Bisognerebbe riprendere anche degli studi molto interessanti della canonistica sul valore della consultazione nella prassi della Chiesa. Penso ad alcuni testi sulla Major Pars e la Sanior Pars. Penso al testo che anche Papa Francesco ha citato nel discorso per i 50 anni del Sinodo: il famoso articolo di Y. Congar «Quod omnes tangit, ab omnibus tractari et approbari debet»[8]. E vi è anche il principio che troviamo espresso nella regola di San Benedetto, dove si dice che l’abate deve consultare i monaci e che deve fare attenzione perché talvolta lo Spirito Santo parla anche attraverso il novizio[9]. Questo è il criterio che Francesco esprime molto bene, anche se in poche frasi (e andrebbe approfondito) nel discorso del 17 ottobre 2015, ove afferma che la sinodalità comincia con l’ascoltare, inizia con un ascolto reciproco[10]. Ora, in una mentalità deliberativa in cui la mia presenza vale soltanto se ho fatto udire la mia voce e se la mia parola entra in una situazione di decisione, è ovvio che il criterio della consultazione non vale. Cioè consultare significa più o meno questo: dimmi quello che hai da dire, quello che è il tuo parere, io ne tengo conto, ma poi in definitiva sono io quello chiamato a decidere. Nella Chiesa non è così! Qualcosa di significativo sul valore della consultazione nella Chiesa lo ha scritto il Card. Martini in alcune sue riflessioni proposte al Consiglio Pastorale di Milano. Una buona ispirazione ne verrebbe anche dal testo di Newman sulla consultazione dei fedeli laici[11]. Su questo tema J. H. Newman è davvero, come si usa dire, uno dei Padri nascosti del Concilio Vaticano II. È questo il principio di consultazione o, come una parte della dottrina scrive, di consultività nella Chiesa. Non si tratta soltanto di ascoltare, ma di reciproco ascolto. E tale reciproco ascolto porta poi ad un processo molto complesso che nella teologia spirituale si definisce discernimento. Per concludere, tornando al discorso principale, l’idea di un Consiglio è precedente, è legata alla discussione sul Sinodo dei Vescovi, già lì emerge. Anche se poi la realtà del Sinodo dei Vescovi com’è oggi è di natura distinta dal Consiglio dei Cardinali.

 

Analizziamo le funzioni del Consiglio di Cardinali. Fermo l’incarico specifico, chiarito sin dalla sua istituzione il 28 settembre 2013, di studiare il progetto di revisione della Costituzione Pastor Bonus sulla Curia Romana, mi vorrei concentrare sull’altra funzione indicata, che è quella generale di consigliare il Pontefice nel governo della Chiesa.

 

La prima ragione per la quale Francesco istituisce il Consiglio dei Cardinali, che riguarda in qualche maniera proprio il funzionamento della sinodalità a vari livelli differenti, è quello di essere consigliato nel governo della Chiesa, di tutta la Chiesa. Questo è il primo scopo fondamentale. La questione di un progetto di riforma della Curia è secondaria, ed è contingente. Non avendo il Papa messo una scadenza alle nomine dei membri del “Consiglio dei nove”, si può affermare che gli stessi non abbiano un incarico, ad esempio, quinquennale, e che la durata dipenda unicamente dalla scelta del Papa. Differentemente avviene nel Sinodo dei Vescovi, ove l’attuale composizione e funzionamento sono basati sull’elezione dei membri da parte delle Conferenze Episcopali, oltre che in base ad alcune titolarità, come l’essere Prefetto, od a Capo di un Dicastero e poi alla nomina del Papa[12]. Nel Concilio Ecumenico il criterio è un altro: è l’essere membro del Collegio Episcopale[13]. Diverso ancora è il criterio di appartenenza ad una Conferenza Episcopale… Io le sto indicando differenti livelli, diverse realtà nelle quali si esprime il dato sacramentale del Collegio, del suo “convergere” ed essere uniti da un Sacramento. Un’idea di questo genere si coglie in Pastores Dabo Vobis[14] di Giovanni Paolo II. In un passaggio vi è scritto che l’ordinazione sacramentale eleva ad un livello di personalità, in qualche maniera congiunta, in un corpo che si chiama presbiterio. Ancor più similmente lo stesso concetto può essere richiamato per il Collegio Episcopale. Però facciamo riferimento ad attuazioni differenti, con ragioni differenti, con scopi anche differenti, dell’unica realtà che noi chiamiamo collegialità affettiva. Cioè sono livelli differenti in cui la collegialità emerge. Per portare un esempio, un po’ come la coscienza, che c’è anche quando si dorme, e che emerge poi a livelli differenti se io devo prendere una decisione determinante per la mia famiglia, se devo prendere una decisione contingente per portare a termine un lavoro. Ciascuno di noi ha livelli differenti di coscienza e di responsabilità. Similmente per il Collegio Episcopale: non pronuncia solo articoli stantis aut cadentis ecclesiae, ma nelle forme e nei livelli più vari. E questa diversificazione è il dato nuovo, che dovrebbe funzionare nel senso dell’arricchimento, in un senso sinfonico. Non in un senso meramente gerarchico, secondo una logica per cui rispetto al livello del Concilio Ecumenico tutto il resto, non avendo quella pienezza e quel grado, non vale o ha valore meramente amministrativo. Da un organismo legittimo, da Vescovi che sono in comunione tutti con il Romano Pontefice e in comunione tra di loro, emergono atti che sono per il bene della Chiesa, per l’edificazione della Chiesa; atti che non possono essere semplicemente amministrativi, ma sono atti collegiali, anche se non possiedono la medesima densità di altri. A volte anzi accade che proprio le decisioni che riguardano la vita ordinaria giochino un ruolo molto più importante di altre.

 

Per concludere la parte introduttiva dell’intervista vorrei domandarLe se alla luce di quanto affermato anche il momento delle Congregazioni generali precedenti al Conclave si può definire a carattere collegiale.

Inoltre perché a suo parere il Pontefice ha utilizzato il “semplice” strumento del chirografo per istituire il Consiglio?

Certo, indubbiamente hanno valore di collegialità.

Per rispondere alla seconda domanda, premetto che le denominazioni dei documenti papali hanno sempre subito delle fluttuazioni. Oggi si usa dire che un’enciclica ha un valore maggiore di quello che possiede un motu proprio. Ma è una convenzione. L’enciclica di Gregorio XVI e quelle di Pio IX non avevano il valore delle encicliche di Pio XII, o che intendeva dare loro. Neanche il valore che oggi viene dato alla parola stessa Enciclica, ricca di significato senza dubbio, è il medesimo. Vi sono delle circostanze in cui una Costituzione Apostolica ha un valore molto superiore. Per esempio una Costituzione Apostolica di erezione di una Chiesa particolare è un intervento di governo che incide fortemente nella vita della Chiesa. Ha un valore teologico molto importante, anche se ovviamente non è percepito nel linguaggio comune. Quelle che oggi sono chiamate Esortazioni Apostoliche, a partire dall’uso che ne ha fatto Paolo VI, hanno un significato molto diverso. È vero che dopo la contestazione della Humanae Vitae[15] Paolo VI non ha pubblicato più delle Lettere Encicliche, ma non si può dire che le sue Esortazioni Apostoliche, soprattutto alcune – prendiamo ad esempio l’Evangelii Nuntiandi[16] – abbiano minor valore. L’Evangelii Nuntiandi ha segnato nella vita della Chiesa un’attuazione di quello che si intende per missione in Ad Gentes[17] ed in Lumen Gentium[18]. Il fatto di essere Esortazione Apostolica e non un’Enciclica, cioè la denominazione, è una convenzione che c’è all’interno della Curia Romana. Il Chirografo è stata la scelta conclusiva. Inizialmente fu pubblicata una notizia dalla Sala Stampa[19], ma ciò non era propriamente un atto costitutivo. Il chirografo è un atto che implica l’iniziativa del Papa, perciò per una parte è simile al motu proprio. Per un’altra parte però può indicare l’avvio di una sperimentazione, cioè prima di fare una struttura ecc., il chirografo lascia una certa libertà.

 

Entriamo all’interno del Consiglio dei Cardinali. Lei ricopre il ruolo di segreteria. È assistito da un ufficio di segreteria? Quali sono gli altri organi interni, se ve ne sono?

 

Di fatto non esiste nessun organo interno. C’è il Consiglio dei Cardinali che è presieduto dal Papa, il quale però ascolta i consigli. Qualche volta sono i Cardinali che gli domandano un parere, ma Egli in tal caso interviene alla maniera di un Primus inter pares, perché alla fine il Consiglio di Cardinali offre al Papa delle proposte. Il Consiglio discute alcune questioni che sono poste o in termini generali o in termini di dettaglio. Per fare riferimento a quello che è noto, anche attraverso le dichiarazioni della Sala Stampa, si tratta del lavoro di riforma della Curia, o di questioni specifiche come potrebbe essere quella relativa all’abuso sui minori[20], che non è una questione specifica della Curia, anche se attualmente è competenza di una Congregazione, o altre questioni su cui il Papa ritiene di dare un’informazione e di chiedere un parere, un’indicazione. Nei lavori del Consiglio sono presenti i Cardinali nominati dal Papa, ed è presente abitualmente il Papa (di fatto egli non è presente il mercoledì mattina quando c’è l’udienza generale, ma dopo ovviamente viene informato del lavoro svolto). Non c’è una struttura di segreteria. Esiste un segretario che è presente, ascolta, redige un verbale di sintesi, lo verifica, lo consegna. Quindi viene consegnato in vista della sessione successiva, viene approvato come primo punto dell’ordine del giorno e si prosegue. Proprio per conservare la vita stabile del Consiglio non esiste un ufficio di segreteria. Io lavoro da solo, facendo riferimento al Santo Padre e ai Cardinali. Casi simili di modus operandi già esistevano nell’ambito della Curia.

Con riferimento invece al rapporto tra i singoli Cardinali membri del Consiglio e le rispettive Chiese rappresentate, esistono a livello continentale o nazionale delle sottocommissioni o c’è un rapporto particolare, un contributo offerto da parte delle Conferenze Episcopali nazionali? Come funziona?

 

No, nel senso che di fatto quando il Papa ha scelto i componenti di questo Consiglio ha seguito fondamentalmente il criterio di una rappresentanza della Chiesa, delle Chiese a livello continentale, anche piuttosto a livello culturale[21]. Quindi ha scelto un Vescovo dell’America del Nord, un Vescovo dell’America Latina, un Vescovo dall’Australia, un Vescovo dall’Europa, un Vescovo dall’Africa e dell’Asia (originariamente erano questi), poi un Vescovo emerito, con un’esperienza anche all’interno della Curia, ed il Presidente del Governatorato per la Città del Vaticano. Questa è stata la scelta iniziale, cioè quella fondamentale in riferimento a tali aree geografiche. Successivamente ci sono stati dei piccoli cambiamenti. È intervenuto come è noto il Segretario di Stato[22]. Poi durante i lavori sono state invitate anche altre persone a seconda degli argomenti trattati, alcuni membri della Curia trattandosi della riforma della stessa. Con queste persone si parla, si dialoga.

 

Se volessimo formalizzare potremmo distinguere due categorie di componenti, si potrebbe dire membri permanenti e membri …

 

Tutte le altre persone sono presenti ad actum. Terminato il contributo lasciano l’assemblea. Per quanto riguarda il tema della Curia, si è ancora nella fase di una proposta globale al Papa. Delle proposte parziali sono state fatte. Poi ci sono delle situazioni un po’ particolari, ma il criterio è quello di essere delle antenne che colgono nella realtà ecclesiale istanze, richieste, per offrirle alla considerazione del Papa. Questa è l’idea iniziale. Tanto è vero che quando per la Curia a livello specifico sono state fatte delle proposte, i Cardinali hanno portato istanze, non solo di Conferenza Episcopale, ma anche di singoli Vescovi. Talvolta accade che singoli Vescovi facciano presenti alcune questioni tramite uno dei Cardinali membri, che se ne fa portavoce nel Consiglio. Al momento non vige, anche per la novità e dinamicità dell’organo, un regolamento statico. Si tiene fede alla cadenza delle riunioni ogni due mesi, alla durata di 3 giorni ed alle dinamiche del lavoro interno.

 

Come lavoro interno, oltre alla discussione ed all’ascolto, si procede anche a votazioni?

 

Sì, laddove c’è una proposta al Papa si sottopone a votazione, o a votazione globale o di dettaglio.

 

Come avviene la votazione?

 

Si procede ad alzata di mano.

 

Inoltre il voto si sottopone sempre al Papa?

 

La proposta è presentata al Papa se è stata votata all’unanimità o con maggioranza qualificata.

Quindi sostanzialmente si utilizza come criterio quello della maggioranza, non dell’unanimità.

No, l’unanimità si cerca sempre di raggiungerla. Laddove si vede che un’unanimità è importante e non si realizza si preferisce rinviare. Ma è proprio questo il criterio della retta consultazione. Il criterio della maggioranza è importante, tanto è vero che lo si osserva anche nel Concilio Ecumenico e lo si osserva nel Sinodo, dove ci deve essere la maggioranza qualificata. Quindi questo è un criterio generale, ma in una realtà agile quale è quella di otto o nove persone, è molto più facile decidere, attendere per riflettere, rinviando per discuterne nuovamente dopo due mesi. In tal modo si matura e si studia meglio la faccenda. Normalmente si raggiunge l’unanimità. Se capita di avere 8 voti su 9 è perché magari c’è qualche aspetto di dettaglio, di funzionamento, di meccanismo, però in genere l’unanimità c’è, ed io registro la votazione.

 

Tornando al tema relativo ai componenti del Consiglio, in termini di qualità formali, mentre il sottoscritto si riferiva ai Cardinali, Lei più volte a preferito dire “Vescovi”. Mi domandavo il motivo di tale scelta ricorrente. Inoltre, il dettaglio che il Segretario fosse Vescovo ma non Cardinale, mi ha interrogato sin dall’istituzione dell’organo. Mi suggerisce forse che l’elemento qualitativo fondante sia il vincolo episcopale?

Nell’atto costitutivo si legge la ragione[23]. L’atto iniziale è importante, perché la natura di una realtà si comprende da come nasce. Il Consiglio è nato facendo riferimento al ministero episcopale in una Chiesa, e precisamente in una Chiesa locale. Intendo non soltanto il governo di una Chiesa particolare, ovvero di un Vescovo di una Chiesa, ma il ministero episcopale in una Chiesa locale, cioè un territorio ampio. È vero che non esistono definizioni in questo senso, però ormai nell’uso comune si preferisce tale significato. Anche il Concilio Vaticano II a volte usa Chiesa locale, a volte Chiesa particolare. Chiesa particolare è la Diocesi. Per Chiesa locale si intende un insieme di Chiese legate da elementi comuni a livello culturale, pastorale, territoriale: ad esempio i Vescovi di una regione. I problemi, le domande, le istanze che vengono dal territorio laziale non sono esattamente quelle che vengono dalla Danimarca o dalla Lombardia. Il senso è proprio questo: parliamo di Vescovi che in qualche maniera fanno riferimento a Chiese locali, intendendole come realtà territoriali. Ecco perché le dicevo America del Nord, America del Sud, un Vescovo emerito. Successivamente vi sono stati i richiamati aggiustamenti. Il Papa non interviene per cambiare tale modalità probabilmente perché intende far finire un percorso. Se è in fase di elaborazione un progetto di riforma della Curia, probabilmente il Papa starà attendendo la fine di questo percorso, e successivamente se lo riterrà apporterà modifiche. Dovrà pur farlo perché nel frattempo gli anni passano, c’è chi raggiunge i 70 anni, 75, 82, o potrebbero sorgere altre necessità. Però all’inizio il criterio è stato la qualità dell’Episcopato, perché il Papa ha altri strumenti per farsi consigliare; il Suo primo strumento di consultazione, quello ideale, è il Collegio Cardinalizio[24].

 

Vi è un rapporto organico tra il Consiglio di Cardinali ed il Collegio Cardinalizio? Ovviamente selezionare un gruppo più ristretto di Cardinali risponde anche ad esigenze…

Il rapporto c’è, nel senso che sono Cardinali membri del Collegio Cardinalizio. Tuttavia il primo strumento storico di consiglio del Vescovo di Roma come governo, non soltanto della Chiesa di Roma, ma di tutta la Chiesa, è il Concistoro dei Cardinali. In realtà ciò che noi chiamiamo Curia Romana è una supplenza del Concistoro dei Cardinali[25], e credo che chi legge la storia della Curia Romana, come risulta anche dagli studi più recenti, veda tale collegamento. In pratica nel XVI secolo cominciano delle Congregazioni, in settori dove il rapporto tra il Papa e i singoli Cardinali comincia ad essere più articolato. Ora, i membri del Consiglio dei Cardinali sono membri del Collegio Cardinalizio. Però se si è voluto creare tale realtà è perché la stessa Curia Romana non è di facile gestione. Si sta facendo una riforma perché la Curia Romana è un sistema di uffici che è andato crescendo nel corso del tempo, anche con la distinzione fatta da Giovanni Paolo II tra Congregazioni, Pontifici Consigli… Una distinzione che oggi si tende a superare, poiché la stessa Costituzione Pastor Bonus afferma che i dicasteri sono di pari dignità[26]. Tuttavia i Pontifici Consigli sono soprattutto organismi di studio. E su questi è più facile e normale pensare a dei processi di semplificazione. Le realtà che hanno svolto la loro funzione non è detto che debbano rimanere in vigore. Cioè, se il Pontificio Consiglio è un organismo di studio, di sensibilità, quando ormai la realtà è diventata sensibile, si crea qualcos’altro di più urgente. Un dipartimento relativo ai migranti e rifugiati 50 anni fa non aveva la stessa rilevanza di oggi. Un dicastero per la pastorale della salute oggi risulta meno necessario di quanto non lo sia potuto essere eventualmente 30 anni fa. Alcune questioni evidentemente richiedono l’intervento sul territorio. Allo stesso modo la progressiva maggiore complessità di alcune macchine richiede ancor più la necessità di affinare lo strumento.

 

Ho una domanda riguardo agli atti di governo universale che emana il Papa a seguito delle riunioni del Consiglio. In termini formali si tratta certamente di atti personali di governo, ma in virtù del lavoro retrostante del Consiglio ristretto, assumono in qualche modo una natura collegiale?

No, rimangono atti personali del Papa. Quanto gli giunge dal Consiglio ha il valore di proposta e tale rimane, anche se finora il Santo Padre ha sempre richiamato il fatto di accogliere un’istanza del Consiglio di Cardinali. Spesso il Papa fa riferimento a quello che è stato detto nel Consiglio, anche senza dirlo. Faccio un esempio: dell’attuale prassi del Sinodo di Vescovi il Consiglio era informato. Finora il Sinodo aveva fatto delle proposizioni[27] (ossia delle proposte), che si concludevano con la richiesta al Papa di scrivere un’esortazione apostolica. Così è stato fino a Benedetto XVI, col Sinodo del 2012 sulla nuova evangelizzazione.

Successivamente si è iniziato ad utilizzare lo strumento …

Nell’attuale prassi il Sinodo ha stilato una relazione finale, anche se i singoli punti numericamente indicati sono stati sottoposti a votazione ed è stato reso noto il risultato anche laddove non era una maggioranza qualificata. Questo nell’Assemblea Straordinaria del 2014[28], mentre nella relazione dell’Assemblea Ordinaria del 2015[29] tutti i punti hanno ottenuto la maggioranza qualificata.

Rientrano nella relazione e …

Sì, stanno nella relazione, e nella stesura dell’Esortazione Apostolica post-sinodale[30], Papa Francesco ha annesso i testi della relatio. Diversamente ha fatto per Evangelii Gaudium[31], dove il lavoro sinodale è poco presente. Non viene usata neanche l’espressione “nuova evangelizzazione”, perché nell’uso si era un po’ logorata.

In sintesi, nell’Esortazione Apostolica il Papa cita punti della relazione finale, mentre per il Consiglio di Cardinali afferma che, accogliendo l’indicazione ricevuta, procede in tal senso. Operando un riferimento generico e non specifico.

La ringrazio per la risposta, assolutamente chiara, anche con esempi concreti, istituzionali. La mia domanda nasceva da alcuni studi che ho affrontato, in particolare con riferimento a degli scritti della cosiddetta Scuola di Monaco. Il Professor K. Mörsdorf, ed in seguito Monsignor Eugenio Corecco, da cui prende piede la mia ricerca, discutono sull’atto formalmente personale ma sostanzialmente collegiale. Ovvero un atto che esprime l’esito di un percorso se non collegiale certamente sinodale. Comunque di collegialità affettiva, nel senso di un giudizio comune di una parte della realtà episcopale.

Questo noi lo abbiamo, al momento attuale, soltanto nel Concilio Ecumenico, laddove i Vescovi sottoscrivono il testo secondo le prescrizioni del regolamento. Ci sono pure alcuni testi, per esempio nel Concilio Vaticano II, che non sono stati sottoscritti dai Vescovi: penso alla Nota Explicativa Praevia[32]. Nel Concilio Vaticano I le vicende sono ancora diverse. Ma il Papa firma il documento come primo firmatario, anche se lo firma in una maniera Catholicae Ecclesiae Episcopus. Cosa significa quella frase che venne coniata ad hoc negli atti del Vaticano II? È da considerare alla luce della dottrina sulla sacramentalità dell’Episcopato ed anche sul Collegio Episcopale. Significa al tempo stesso che il Papa è Vescovo di Roma e quindi come tale esercita un Primato che è episcopale: egli è veramente Vescovo. Però non si può dire che egli sia Vescovo della Chiesa universale: questo non esiste, perché esistono solo Vescovi di Chiese particolari. Quella formula indica al tempo stesso il duplice livello su cui agisce il Papa: egli è Vescovo di Roma e per questo capo del Collegio Episcopale. Gli atti del Concilio Ecumenico sono firmati anche dal Papa, ma proprio l’accesso del successore di Pietro conferisce valore di collegialità piena a tutto il resto. Ben diversamente accade per gli atti del Consiglio dei Nove: se il Papa accetta le proposte diventano atti personali del Papa. Sono ispirati ed hanno alla base un’intenzione collegiale. Però rimangono sempre atti personali.

Come accennavo all’inizio, all’interno della Collegialità io ritrovo una vasta gamma di attuazioni: una sorta di collegialità diversificata che costituisce la bellezza dell’atto collegiale. In ogni caso non esistono azioni private nella Chiesa e neanche nel governo della Chiesa. Personalmente propendo per la tesi di attuazioni parziali, ma tutte vere di collegialità. Essa ha un riscontro negli studi di Padre Anton, che fu ecclesiologo nella Università Gregoriana e fu pure Segretario Speciale di un Sinodo che si tenne nell’ottobre 1969. Lei conosce gli studi di E. Corecco: egli ha scritto un importante saggio alla voce “Sinodalità” su di un Dizionario di Teologia[33]; e pure un saggio sulla Ontologia della sinodalità[34]. Corecco ricorre alla parola sinodalità perché in grado di meglio esprimere i livelli differenti di impegno. Oggi si avverte il bisogno di una nuova riflessione sul tema.

 

Durante la nostra prima conversazione telefonica, Lei affermava che la collegialità è intesa in più sensi. Infatti il Concilio totale non può essere più chiamato concretamente o non è di così facile convocazione …

 

Questo è un mio parere e se dovessi metterlo per iscritto avrei bisogno di riflettere per ponderare le parole. E ciò a prescindere dalla complessità di una convocazione oggi di un Concilio Ecumenico. Su questo forse la storia della Chiesa potrebbe darci delle istruzioni rispetto a certe rigidità che sono intervenute successivamente. La Chiesa infatti ha chiamato Concilio Ecumenico una serie di Concili che in realtà non rispondevano a dei criteri post-tridentini o anche post Vaticano II. A mio avviso un grave problema oggi è che solo una parte di un ipotetico futuro Concilio Ecumenico sarebbe in grado di essere ipso iure la “voce” di una Chiesa particolare. Gli Atti dei Concili sino al Vaticano I, registrando gli interventi dei singoli Vescovi non riportano il suo nome, bensì quello della Chiesa di cui sono Vescovi. In questo senso si usava pure l’espressione: “Roma locuta est”. Il Vescovo che parla in Concilio non vi parla alla stessa maniera di un teologo, per quanto prestigioso; vi parla prioritariamente come voce della sua Chiesa! La questione di chi dovesse e potesse partecipare a un Concilio Ecumenico è stata posta anche all’epoca del Vaticano II. Oggi non è semplificata dal fatto che molti Vescovi di fatto non presiedono ad una Chiesa particolare. In quanto Vescovi sono certamente membri del Collegio Episcopale e questa dottrina è certamente un punto qualificante il Vaticano II. Forse, però, non appare più evidente il fatto che, di per sé, uno è ordinato Vescovi per il servizio di una Chiesa particolare. A me pare che ciò sia la conseguenza di una eccessiva enfatizzazione della dimensione collegiale dell’Episcopato, per cui pian piano viene messo in ombra il fatto che si è Vescovi perché alla guida di una Chiesa. So bene che nella prassi della Chiesa i Vescovi non sono mai stati nominati absolute, ma sempre con la titolarità di una Chiesa. Quella che si diceva una volta “in partibus infidelium” per i Vescovi titolari.

Proprio questo, tuttavia, sottolinea il fatto che in linea di principio si è Vescovi perché si è legati ad una Sede episcopale. Altra è la questione odierna del Vescovo emerito che lascia la guida pastorale di una Chiesa, ma con essa conserva un legame che chiamerei mistico.

Sostanzialmente non è una questione di formalismo, nel quale a volte incappa il diritto canonico anche per l’estrema tendenza positivistica contemporanea. Nella definizione dei gradi della collegialità non si dovrebbe distinguere in base al potere, alla deliberazione in sé, ma in base al criterio della rappresentanza. Ovvero in base ad una qualità, alla porzione di popolo di Dio che si rappresenta.

C’è della ragione nella sua riflessione. Rispetto alle istanze che ho avanzato, un Sinodo dei Vescovi oggi esprime in maniera forse più vera l’idea del Vescovo-voce della Chiesa; ciò nonostante il fatto che i Vescovi membri di un Sinodo siano in buona parte eletti dalle rispettive Conferenze Episcopali. Tuttavia sono Vescovi che hanno realmente la responsabilità di una Chiesa particolare. Sono questioni tutte da approfondire.

Alcune istituzioni cambiano nel tempo, nella storia …

Siccome stiamo parlando del Consiglio di Cardinali, le faccio un altro esempio. Una delle questioni su cui il Consiglio si è soffermato per dare un parere al Papa, che dovrà affrontare progressivamente, è che non necessariamente un capo dicastero dovrà essere Cardinale. Dirò di più. La domanda è questa: un semplice laico potrebbe presiedere un dicastero della Santa Sede? C’è il fatto che per la dignità battesimale un fedele è membro di un popolo profetico, sacerdotale e regale. Questo è base sufficiente perché egli presieda un ufficio della Santa Sede? Le risposte non saranno prevedibilmente unanimi; ma la domanda non è peregrina.

La mia domanda era proprio questa, vi sono istituzioni storiche, ma resta ovviamente fermo il diritto divino, sul Primato, sulla Collegialità, sul Sacerdozio etc. …

La Curia è uno strumento di servizio. Se non fosse questo, nessun Papa avrebbe potuto né istituirla né cambiarla. La Curia è nata con una certa gradualità: con una Congregazione per la tutela della Fede, con una Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli … e poi pian piano le cose sono diventate più complesse. Una Curia che è costituita mentre sono in vigore gli Stati pontifici non è certamente uguale a quella possibile nella nostra situazione storica. La Curia dopo il Concilio Vaticano II non può essere identica a quella in vigore anteriormente. Anche durante il Pontificato di Papa Benedetto XVI ci sono stati importanti cambiamenti nella Curia romana. Questo perché non è di istituzione divina: vi possono dunque essere, e ci sono, adattamenti.

La canonistica definisce tale fenomeno dinamicità, elasticità del diritto canonico che, pur nel rispetto del diritto divino, tiene conto delle esigenze concrete della realtà. Un caro amico sacerdote mi diceva che la Chiesa non è incartata, è incarnata. E questi cambiamenti, che non incidono certamente sul diritto divino, sono fatti per il bene della Chiesa e per quel fine che hanno le norme della Chiesa, che è la salus animarum.

Le faccio un esempio, visto che Lei è un canonista. Il principio di sussidiarietà è un principio sociologico, presente nella dottrina sociale della Chiesa. Pio XII dice che il principio di sussidiarietà potrebbe anche essere usato riguardo alla struttura societaria della Chiesa, perché la Chiesa è una società[35]. In Lumen Gentium n.8 la Chiesa è assimilata al Verbo Incarnato. Se consideriamo Nostro Signore, pur avendo una natura divina ed essendo una persona divina, durante la sua vita terrena avrà pure avuto non dico la difterite, ma qualche raffreddore. Quindi nella sua natura umana anche il Signore era soggetto alle leggi umane. Tanto è vero che è morto. Questo è vero analogicamente anche per la Chiesa. La Chiesa è una realtà visibile e spirituale. Il Vaticano II insegna che la Chiesa “per una non debole analogia è paragonata al mistero del Verbo incarnato. Infatti, come la natura assunta serve al Verbo divino da vivo organo di salvezza, a lui indissolubilmente unito, così in modo non dissimile l’organismo sociale della Chiesa serve allo Spirito di Cristo che la vivifica, per la crescita del corpo (cfr. Ef 4,16)”[36]. Quindi la Chiesa è una società umana, per quanto non solo. Ed è un elemento molto importante. Per questo il principio di sussidiarietà può funzionare anche nella Chiesa. Fatto salvo però il diritto divino.

 

La sussidiarietà esprime profondamente il concetto di “communio”, principio cardine dello statuto ontologico ecclesiale. La “comunione” è come un filo rosso che attraversa tutta la Chiesa, i suoi organi ed il Popolo di Dio.

E proprio la parola sussidiarietà dice aiuto, dice mutuo aiuto. Non significa soltanto che io superiore non devo intervenire in ciò che puoi fare tu. C’è un criterio che San Bernardo riporta nel suo De Consideratione[37], che è uno scritto dedicato al Papa Eugenio III. Gli dà questo consiglio: ricorda che alcune cose devi farle tu, altre le devi fare con gli altri e molte altre le devi lasciar fare agli altri. Non devi intervenire tu in ogni cosa. Il principio di sussidiarietà è esattamente questo. Laddove l’istanza inferiore, che non cessa di essere tale, può far qualcosa, non è necessario che intervenga l’istanza superiore. Ma il principio dice pure che laddove l’istanza inferiore non è in grado di operare allora il dovere dell’istanza superiore è intervenire per aiutarla. Tutto ciò bisogna tradurlo in concreto. Una cosa certo è tradurre il principio di sussidiarietà in una società meramente umana, altro è tradurlo in una società che se pure è veramente società, porta in sé un mistero più grande: appunto la Chiesa. Quindi ci saranno delle applicazioni analogiche.

 

Ringrazio Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Marcello Semeraro, Vescovo di Albano.

Albano Laziale, 23 marzo 2018

[1] G. Ghirlanda, Il ministero Petrino, in La Civiltà Cattolica, Vol. I, Quad. 3906, Roma, 2013, pp. 549-563.

[2] Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Post-Sinodale Pastores Gregis, Roma, 2003.

[3] Francesco, Chirografo con il quale viene istituito un Consiglio di Cardinali per aiutare il Santo Padre nel governo della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della Costituzione Apostolica Pastor Bonus sulla Curia Romana, Roma, 28 settembre 2013.

[4] M. Semeraro, Il Sinodo dei Vescovi: la paternità di Paolo VI, in Centro Vaticano II. Studi e ricerche, XI, 1-2, Roma, 2017, pp. 9-25.

[5] M. Semeraro, ibid.: «… per sbrigare gli affari di interesse generale che sono noti come specifici di questo nostro tempo, Noi saremo prontissimi ad eleggere alcuni di voi, Venerabili fratelli, ad essere chiamati e a deliberare periodicamente … ciò sarà tanto più utile in quanto la Curia Romana, che deve essere ristrutturata, cosa che sarà accuratamente studiata, potrà giovarsi dell’esperienza dei Pastori delle Diocesi …».

[6] Francesco, Chirografo con il quale viene istituito un Consiglio di Cardinali per aiutare il Santo Padre nel governo della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della Costituzione Apostolica Pastor Bonus sulla Curia Romana, Roma, 28 settembre 2013: «Tra i suggerimenti emersi nel corso delle Congregazioni Generali di cardinali precedenti al conclave figurava la convenienza di istituire un ristretto gruppo di Membri dell’Episcopato, provenienti dalle diverse parti del mondo, che il santo Padre potesse consultare, singolarmente o in forma collettiva, su questioni particolari … istituito come un “Consiglio di Cardinali”, con il compito di aiutarmi nel governo della Chiesa universale e di studiare un progetto di revisione della Costituzione Apostolica Pastor Bonus sulla Curia Romana».

[7] Paolo VI, Lettera Apostolica Motu Proprio Apostolica Sollicitudo, Roma, 1965.

[8] Y. Congar, Quod omnes tangit, ab omnibus tractari et approbari debet, 1958.

[9] S. Benedetto da Norcia, Regola, Cap. III, n. III: «Ma abbiamo detto di consultare tutta la comunità, perché spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore».

[10] Francesco, Discorso del Santo Padre di Commemorazione del 50.mo anniversario dell’Istituzione del Sinodo dei Vescovi, Città del Vaticano, 17 ottobre 2015.

[11] J. H. Newman, Sulla consultazione dei fedeli in materia di dottrina, 1859.

[12] CIC, Can. 346.

[13] CIC, Can. 336 e Can. 339.

[14] Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Post-Sinodale Pastores Dabo Vobis, Roma, 1992.

[15] Paolo VI, Lettera Enciclica Humanae Vitae, Roma, 1968.

[16] Paolo VI, Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi, Roma, 1975.

[17] Conc. Vaticano II, Decreto Ad Gentes.

[18] Conc. Vaticano II, Costituzione Dogmatica Lumen Gentium.

[19] Sala Stampa della Santa Sede, Bollettino, Comunicato della Segreteria di Stato, 13 aprile 2013.

[20] Francesco, Chirografo del Santo Padre Francesco per l’istituzione della Pontificia Commissione per la tutela dei minori, Roma, 22 marzo 2014.

[21] Sala Stampa della Santa Sede, Bollettino, Comunicato della Segreteria di Stato, 13 aprile 2013.

[22] Ibid., Briefing del Direttore della Sala Stampa, 2 luglio 2014.

[23] Francesco, Chirografo con il quale viene istituito un Consiglio di Cardinali per aiutare il Santo Padre nel governo della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della Costituzione Apostolica Pastor Bonus sulla Curia Romana, Roma, 28 settembre 2013: «… un gruppo di Cardinali per consigliarLo nel governo della Chiesa universale…».

[24] CIC, Can. 349.

[25] CIC, Can. 360.

[26] Giovanni Paolo II, Costituzione Apostolica Pastor Bonus, Roma, 1988.

[27] Benedetto XVI, Regolamento del Sinodo dei Vescovi, Città del Vaticano, 2006, art. 23 §4.

[28] III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, Relatio Synodi, Città del Vaticano, 18 ottobre 2014.

[29] XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, Relatio Finalis, Città del Vaticano, 24 ottobre 2015.

[30] Francesco, Esortazione Apostolica Post-Sinodale Amoris Laetitia, Roma, 2016.

[31] Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, Roma, 2013.

[32] Concilio Vaticano II, Costituzione Dogmatica Lumen Gentium, “Nota esplicativa previa”.

[33] E. Corecco, Sinodalità, in AA.VV., Nuovo Dizionario di Teologia, Milano, 1985, pp. 1466-1495.

[34] E. Corecco, Ontologia della sinodalità, in Pastor bonus in Populo. Figura, ruolo e funzioni del Vescovo nella Chiesa, a cura di A. Autiero e O. Carena, Roma, 1990, pp. 303-329.

[35] Pio XII, Allocuzione ai nuovi Cardinali, Città del Vaticano, 20 febbraio 1946.

[36] Concilio Vaticano II, Costituzione Dogmatica Lumen Gentium, n. 8.

[37] S. Bernardo di Chiaravalle, De Consideratione.