Sandra Sarti
Prefetto
Presidente della Commissione nazionale sul diritto di asilo

PROSPETTIVE PER LA PROTEZIONE INTERNAZIONALE

DOPO L’APPROVAZIONE DEL D.L. N. 113/2018*

 

Sommario: 1. Premessa – 2. Protezione internazionale e protezione umanitaria nell’evoluzione del quadro normativo – 3. Protezione umanitaria nell’interpretazione giurisprudenziale – 4. Applicazione della protezione umanitaria – 5. La delimitazione della protezione umanitaria – 6. L’impugnazione del diniego della protezione internazionale ed umanitaria – 7. L’Intervento del Decreto Immigrazione – 8. Incidenza della legge 132/2018 sulle attività delle Commissioni territoriali – 9. Impatto della riforma sull’accoglienza dei titolari di protezione umanitaria.

1. Premessa

        

Il 2018 ben può essere considerato un anno di svolta nel contenimento dei flussi migratori verso l’Italia. Infatti, a seguito della diminuzione degli stessi, già riscontrata peraltro nel secondo semestre del 2017 per effetto sia degli Accordi intercorsi con la Libia a sostegno del suo riassetto politico ed istituzionale, sia della sottoscrizione del Codice di Condotta da parte delle Ong, nel 2018 si è registrato l’arrivo di 23.370 migranti, che ha evidenziato un decremento dell’80,48% rispetto al 2017, quando si era registrato lo sbarco di 119.369 migranti.

Al decremento degli arrivi via mare ha contribuito da ultimo, in modo determinante, la strategia politica che ha ispirato il d.l. 113/18, entrato in vigore lo scorso 5 ottobre, mirata al concreto contenimento dei flussi. Essa è stata corroborata, da un lato, dal rafforzamento delle iniziative già avviate precedentemente in Africa con azioni protese al coinvolgimento dei Paesi di origine e di transito, come la Costa d’Avorio, l’Etiopia, il Niger, la Nigeria, il Senegal e il Sudan, nell’intercettazione e nel governo dei flussi migratori, e, dall’altro, dal riordino della disciplina in tema di procedure di asilo, dalla razionalizzazione del sistema nazionale di accoglienza, nonché dall’implementazione dei Centri per il rimpatrio, necessari ad attuare le misure di allontanamento dei migranti privi di titolo di permanenza sul territorio.

Il quadro riorganizzativo descritto ha, dunque, inciso in modo determinante sulla normativa previgente recante le ipotesi di riconoscimento della protezione internazionale in cui si incentra l’attività delle Commissioni territoriali (20 Commissioni e 30 Sezioni operano sul territorio nazionale) per l’espletamento delle procedure di esame del diritto di asilo e la gestione del relativo contenzioso.

 

2. Protezione internazionale e protezione umanitaria nell’evoluzione del quadro normativo.

 

La necessità di rivisitare il predetto sistema ha tratto origine dalla constatazione che il riconoscimento della “protezione internazionale” nelle diverse forme dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, previste dalla direttiva europea 2004/83/CE, recepita con il D.Lgs. n. 251/2007, avveniva mediamente nella rispettiva misura del 7% e dell’11% delle decisioni assunte dai collegi territoriali, mentre nel 25% dei casi si registrava la “concessione” di una diversa forma di tutela derivante dall’ordinamento nazionale, comunemente definita “protezione umanitaria”.

Quest’ultima, a differenza delle ipotesi di protezione internazionale ancorate a specifiche fattispecie che, derivanti dalle previsioni della Convenzione di Ginevra, mirano al “riconoscimento di uno status”, non era legata ad una casistica predeterminata ma, attraverso il disposto dell’art. 5, c. 6 del TU Immigrazione 286 del 1998, era ricondotta al mero “rilascio di un permesso di soggiorno” in presenza di: «seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano»: In tali circostanze spettava al Questore il rilascio di un “permesso di soggiorno per motivi umanitari” secondo le modalità indicate dal regolamento attuativo che, recato dal D.P.R. n. 394 del 1999 che all’art.11, comma 1, lettera c-ter), prevedeva l’acquisizione dall’interessato della documentazione idonea a suffragare l’istanza con «oggettive e gravi situazioni personali che non consentono l’allontanamento dello straniero dal territorio nazionale».

Tale norma venne inizialmente applicata dalle Commissioni Territoriali nell’intento di trovare rimedio a situazioni che richiedevano una tutela, pur non evidenziandosi in esse quei requisiti, previsti per il riconoscimento dello status di rifugiato ex art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951, riconducibili a persecuzioni per motivi di razza, di religione, di nazionalità, di appartenenza ad un particolare gruppo sociale, o di opinioni politiche.

Solo in seguito i decreti legislativi 19 novembre 2007 n. 251 e 28 gennaio 2008 n. 25, che hanno recepito rispettivamente le direttive europee sulle qualifiche (2004/83/CE) e sulle procedure (2005/85/CE), hanno declinato (e proceduralizzato) una seconda forma di protezione internazionale quale quella della “protezione sussidiaria” collegandola alla ricorrenza di situazioni integranti “danni gravi” come la condanna a morte o l’esecuzione della pena di morte; la tortura o altra forma di trattamento inumano e degradante; la minaccia grave alla vita di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale (art.14 D.Lgs. n. 251/07).

In tal modo sono state incluse nella protezione internazionale casistiche nettamente diverse da quelle previste per il riconoscimento dello status di rifugiato e riconnesse alla sussistenza di atti di persecuzione sufficientemente gravi da rappresentare una grave violazione dei diritti umani fondamentali, come nel caso di atti di violenza fisica, psichica o sessuale, o nel caso di provvedimenti legislativi/amministrativi discriminatori, o di azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate e discriminatorie, o di rifiuto di ricorso alla tutela giudiziaria, o in presenza di sanzioni conseguite al rifiuto di prestare servizio militare sia in caso di conflitto che comporti la commissione di crimini, sia in caso di motivi personali etici, religiosi o di appartenenza etnica (art. 7 D.Lgs. n. 251/07).

Venivano così integrate nella protezione sussidiaria anche alcune delle situazioni che precedentemente erano state ricomprese nel rilascio di permesso di soggiorno per motivi umanitari, tanto che l’art. 34 del D.Lgs. “qualifiche” 251/2007 prevedeva anche la conversione in protezione sussidiaria dei permessi di soggiorno per protezione umanitaria rilasciati prima della sua entrata in vigore.

Conseguentemente si era ipotizzato che la protezione umanitaria, nonostante la prassi consolidatasi, non avrebbe trovato ulteriore applicazione. Invece, nonostante l’avvenuto ampliamento delle ipotesi di protezione internazionale, essa non è stata eliminata, né collegata a specifiche fattispecie applicative. Anzi, nell’arco di due mesi dalla pubblicazione del decreto sulle qualifiche è intervenuto il decreto sulle procedure n. 25/2008, che con la formulazione dell’art. 32, c.3 ha definitivamente ricondotto la protezione umanitaria all’interno della procedura di asilo, inserendola espressamente, in quota sostanzialmente residuale, tra le varie decisioni di competenza delle Commissioni Territoriali. La disposizione, infatti, prevedeva che: «nei casi in cui non accolga la domanda di protezione internazionale e ritenga possano sussistere gravi motivi di carattere umanitario la Commissione territoriale trasmette gli atti al Questore per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 5, c. 6 del D.Lgs. 286/1998».

 

3. La protezione umanitaria nell’interpretazione giurisprudenziale

 

L’assunzione da parte della protezione umanitaria delle caratteristiche sostanzialmente proprie della tutela primaria, al pari della protezione internazionale, è stata via via sostenuta dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (v. per tutte SS.UU. n. 1153 del 19 maggio 2009 e SS.UU. n. 11535 del 21Aprile 2009) che ha correlato il beneficio “ad un predeterminato arco di tempo” e successivamente ha ravvisato nella fattispecie una natura di diritto soggettivo, spostandone la trattazione davanti al giudice ordinario. Fu rilevato, infatti, che la competenza del giudice amministrativo, in caso di rifiuto del Questore alla concessione del permesso umanitario, era maturata in vigenza di un quadro normativo sostanzialmente mutato anche per effetto dell’art. 32, D.Lgs. n. 25/2008 che, confermando il ruolo decisionale delle commissioni territoriali in materia di asilo, aveva attribuito a queste ultime, competenze valutative dirette tanto all’accertamento dei requisiti per il riconoscimento della protezione internazionale, quanto alla protezione umanitaria, ragione per la quale al Questore residuava: «nulla più che un compito di mera attuazione dei deliberati assunti sulla posizione dello straniero dalla Commissione stessa».

Il costante sviluppo dell’elaborazione giurisprudenziale in tema di protezione umanitaria, certamente necessario per dare contenuti alla norma in bianco che la prevedeva facendo riferimento all’amplissimo concetto di “seri motivi” o di “gravi motivi”, ha contribuito a dare struttura all’istituto annoverandola tra le «possibili forme di attuazione dell’asilo costituzionale sancito dall’art. 10 Cost., terzo comma» con la cui configurazione risultava peraltro coerente per via del «carattere aperto e non integralmente tipizzabile delle condizioni per il suo riconoscimento», in linea con la portata del disposto costituzionale «espressamente riferito all’impedimento nell’esercizio delle libertà democratiche» (Cass. n.10686 del 2012; n.16362 del 2016).

Secondo il consolidato orientamento del Giudice di legittimità (v. per tutte Cass. Civ. n. 10686 del 26 giugno 2012 e da ultimo Cass. Civ. sez I, del 23 febbraio 2018, n. 4455) il diritto di asilo veniva «interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti di protezione, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251/2007 e del D.Lgs. n. 286/98 art.5, c. 6, sicché non si scorge alcun margine di residuale diretta applicazione della norma costituzionale». Su tali basi è stato poi affermato che la protezione per motivi umanitari costituiva «una forma di tutela a carattere residuale posta a chiusura del sistema complessivo che disciplina la protezione internazionale degli stranieri in Italia». All’esito dell’accertamento negativo della sussistenza dei presupposti dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria la protezione umanitaria andava a porsi in posizione alternativa svolgendo una funzione di complementarietà.

I seri o i gravi motivi richiamati dal legislatore per la sua applicazione non «tipizzati o predeterminati, neppure in via esemplificativa (costituivano) un catalogo aperto» nel quale le singole fattispecie risultavano accomunate «dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità attuali o accertate, con giudizio prognostico, come conseguenza discendente dal rimpatrio dello straniero, in presenza di un’esigenza qualificabile come umanitaria, cioè concernente diritti umani fondamentali protetti a livello costituzionale e internazionale». In questo percorso, che ha lasciato ampi margini ad una interpretazione particolarmente estensiva rispetto al fine di tutela temporanea per esigenze umanitarie per la quale l’istituto era stato originariamente introdotto nell’ordinamento, è comunque emersa, con evidenza, non solo la diversità dei presupposti della protezione umanitaria rispetto a quelli richiesti per il riconoscimento delle due forme di protezione internazionale (status e sussidiaria), ma anche la necessità che essa fosse costantemente ancorata a “situazioni di vulnerabilità”.

 

4. Applicazione della protezione umanitaria

 

L’elevatissimo numero di domande di asilo, riscontrato in conseguenza dei picchi di arrivi via mare del 2014 (170.000 arrivi e 63.456 istanze), del 2015 (153.842 arrivi e 83.970 istanze), del 2016 (181.436 arrivi e 123.600 istanze), del 2017 (119.310 arrivi e 130.119 istanze) e fino al novembre 2018 (22.232 arrivi e 47.997 istanze), stante l’impossibilità da parte delle Commissioni territoriali di esaminarle in tempi rapidi, ha determinato la lunga presenza dei richiedenti sul territorio nazionale alcuni dei quali, in attesa di convocazione, hanno trovato lavoro, hanno iniziato ad acquisire anche a livello embrionale la lingua, hanno avuto figli che sono stati inseriti nei vari contesti scolastici locali ecc.

Tutte situazioni queste che – per effetto dell’elasticità conferita alla protezione umanitaria, tanto ad opera delle Commissioni in prima istanza, quanto ad opera dei giudici in sede giudiziale – sono state tenute in considerazione ai fini della concessione del beneficio per integrazione sociale. A favore di tale orientamento si è posta, in particolare, la giurisprudenza del Tribunale di Genova che, ai fini della protezione umanitaria, ha ritenuto di dover valutare la presenza di un rapporto di lavoro e della conoscenza della lingua italiana quali indici dell’avviato percorso di inclusione socio lavorativa. Sulla possibilità di riconoscere la protezione umanitaria per integrazione sociale non si è tuttavia riscontrata un’omogeneità giurisprudenziale. La Corte d’Appello di Torino (sentenza n. 1599/2017 del 18 luglio 2017) ha rilevato, ad esempio, che «la maggiore o minore integrazione dello straniero in Italia e le attività svolte nel periodo di accoglienza non costituiscono affatto prova di una particolare condizione di vulnerabilità da proteggere e non hanno rilevanza alcuna ai fini della valutazione della sussistenza dei presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari».

Negli ultimi anni poi, ai fini attuativi dell’istituto, ha trovato particolare attenzione la ricorrenza di patologie nei richiedenti asilo. Uno dei principali problemi pratici riscontrati, infatti, sia dalle Commissioni territoriali che dai Giudici, è stato quello di definire quale soglia di gravità fosse rilevante ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria. In proposito la Corte (Cass. sez. VI, 27 giugno 2016, n. 13252) ha rilevato che la garanzia del diritto fondamentale alla salute del cittadino straniero, deve comprendere non soltanto le prestazioni di pronto soccorso e di medicina d’urgenza, ma anche tutte le altre prestazioni essenziali per la vita «apprestando, in conformità al dettato costituzionale, gli interventi essenziali quoad vitam» (Cass. sez. VI, 8 marzo 2017, n. 6000).

Ancora, in non pochi casi, tanto le Commissioni territoriali quanto i Tribunali hanno affrontato la rilevanza della quaestio relativa ai c.d. conflitti di bassa intensità (low conflict) presenti nei Paesi di origine. Oggetto della riflessione è stata la possibilità di estendere la protezione umanitaria anche ai casi in cui il livello del conflitto presente nel territorio di origine del richiedente non raggiungeva soglie di intensità e di frequenza tali da configurare una delle ipotesi esplicitamente previste per la protezione sussidiaria. Al riguardo si sono riscontrati sia orientamenti favorevoli (Cass. sez. VI, 7 luglio 2014, n. 15466) che hanno ritenuto in caso di low conflict la sussistenza di situazioni comunque vulnerabili e come tali da tutelare, sia orientamenti contrari. La Suprema Corte (Cass. sez. VI, 14 maggio 2012, n. 7492) ha infatti espressamente affermato che: «Il riconoscimento della protezione umanitaria è consentito solo in presenza dei presupposti previsti dalla legge, fra i quali non rientra la situazione di instabilità di un paese o la generica limitazione delle libertà civili».

Di particolare interesse è altresì rilevare come tale forma di tutela, vuoi per la sua intrinseca plasticità, mai peraltro disgiunta dalle linee politiche adottate per la governance del fenomeno migratorio, abbia assunto anche la valenza strumentale di una latente sanatoria mirata a legalizzare, su tutto il territorio nazionale, la presenza di migranti privi di titolo di permanenza o già denegati e riammessi al beneficio in sede di domanda reiterata, specie in contesti territoriali caratterizzati dalla diffusione del lavoro nero, dove se ne è fatta ampia applicazione anche al fine di prevenire situazioni di possibile nocumento all’ordine pubblico.

Una linea, questa, peraltro coerente con l’indirizzo contenuto nel Piano Nazionale di Integrazione adottato nel 2017 dal Ministro dell’Interno, in base al quale «la permanenza sul territorio necessita (…) di essere inquadrata rigorosamente in una cornice di legalità, poiché è chiaro che l’afflusso massiccio irregolare di persone e la gestione non razionalizzata che ne deriva si ripercuotono negativamente sulla possibilità di integrare». Del resto, la capacità della protezione umanitaria di farsi strumento multiforme dinanzi alle più varie esigenze emergenti dall’impatto migratorio sul nostro tessuto sociale è stata innegabilmente facilitata dalla definizione linguistica dell’istituto che ne ha favorito l’istintiva assimilazione ad un’opportunità assistenziale che ha travalicato la portata originaria della previsione.

 

5. La delimitazione della protezione umanitaria

 

La giurisprudenza, fermo restando in ogni caso il doveroso richiamo alla tutela di situazioni di vulnerabilità, tutte da valutare caso per caso, ha teso nel tempo a meglio individuare il contenuto della tutela delimitando le fattispecie in cui la protezione umanitaria non poteva trovare spazi applicativi. Con ordinanza n. 26641/2016 la Suprema Corte ha stabilito che il diritto a tale forma di protezione non poteva essere riconosciuto per il semplice fatto che lo straniero non versasse in buone condizioni di salute, necessitando, invece che le condizioni fossero l’effetto della grave violazione dei diritti umani subita dal richiedente medesimo nel Paese di provenienza.

Con ordinanza n. 26204/17 la Corte ha altresì affermato che l’integrazione nel nostro Paese non poteva essere considerata, in se e per sé, come ragione giustificativa del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari i quali «trovano la propria base nella sola violazione dei diritti umani ai danni del richiedente nel Paese di origine». Ed ancora con sentenza n. 4455/18 la Corte di Cassazione ha stabilito che «l’inserimento sociale e lavorativo del richiedente non poteva essere valorizzato come fattore esclusivo per la concessione della protezione, bensì come circostanza che poteva concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità meritevole di tutela solo quando in caso di rimpatrio lo stesso avrebbe potuto incorrere in una significativa ed effettiva compromissione dei diritti fondamentali».

 

6. L’impugnazione del diniego della protezione internazionale ed umanitaria

 

Dal momento che gli arrivi dell’ultimo quadriennio sono stati caratterizzati da “flussi misti”, ovvero composti sia da richiedenti asilo che da migranti economici, le decine di migliaia di interviste svolte dai collegi territoriali hanno avuto un esito negativo trasfuso nel consistente aumento dei dinieghi pari, nel 2017 a 42.700 su un totale di 130.119 istanze e, nel corrente anno alla data del 9 novembre, a 46.900 su un totale di 47.138 istanze presentate. Ne è conseguito un altrettanto considerevole incremento dei ricorsi.

In proposito va rilevato che la riforma recata dal d. l. 13/2017, noto come “decreto Minniti-Orlando”, ha cercato di potenziare il sistema delle procedure di asilo per conseguire una accelerazione dei tempi sia sul piano amministrativo che su quello giudiziale e, mentre da un lato ha rafforzato le Commissioni territoriali prevedendo l’immissione di nuovo personale, dall’altro ha anche istituito 26 Sezioni specializzate in materia di immigrazione nei Tribunali ordinari nelle città nelle quali hanno sede le Corti di Appello. Allo stesso tempo, al fine di ridurre ulteriormente i tempi di trattazione dei ricorsi in materia ha abolito il grado di appello prevedendo, all’esito della sentenza di primo grado, la ricorribilità in Cassazione.

A seguito della riforma, le impugnazioni dei dinieghi hanno raggiunto la percentuale del 99% che, stante l’istituzione delle Sezioni dei Tribunali a invarianza di organico, ha determinato un affaticamento del sistema giudiziario. I dati delle pratiche pendenti, forniti dal Ministero della Giustizia al 31 luglio 2018, evidenziavano in primo grado 55.196 ricorsi; in appello 18.229 presentati sotto il rito ante riforma 2017 ed infine, 4.428 ricorsi in Cassazione. All’esito dei processi si è poi riscontrato che le sentenze dei giudici di merito hanno attribuito ai ricorrenti la protezione umanitaria nel 25% circa dei casi.

La lettura delle motivazioni delle sentenze ha messo in luce altresì l’aspetto della conoscenza della situazione del Paese di origine dei richiedenti al quale spesso si ovviava mediante il ricorso alla consulenza fornita dalle Università di riferimento, o al sistema “viaggiare sicuri” del Ministero degli Affari Esteri. Base informativa, quest’ultima che, tuttavia, aveva il grande limite di essere destinata ai viaggiatori italiani nei paesi di origine e transito dei migranti, offrendo un taglio dello stato dei luoghi del tutto diverso da quello necessario alla valutazione dell’esistenza di conflitti o di regimi discriminatori incidenti sulla limitazione dei diritti umani delle persone in fuga da quelle stesse zone. Per questo motivo la Commissione nazionale per il diritto di asilo, fin dal 2017, ha sottoscritto con il Consiglio Superiore della Magistratura un protocollo in base al quale ha reso disponibile ai giudici l’accesso al portale dell’Easo – Ufficio europeo di supporto all’Asilo – che predispone dettagliate C.O.I. (country of origin information) ed aggiornati rapporti sulla situazione politica, economica e sociale dei vari Paesi di origine dei migranti. Ed è sulla base di queste informazioni specialistiche che è possibile riscontrare la credibilità dei fatti dedotti dai richiedenti a sostegno della propria istanza di protezione. Grazie all’Accordo intercorso, è stato altresì avviato con la Scuola Superiore della Magistratura un itinerario di formazione congiunta, destinato sia ai componenti delle Commissioni Territoriali che ai magistrati, che si è rivelato particolarmente utile a rafforzare un approccio comune alla complessa materia attraverso lo scambio di esperienze ed il confronto tra le rispettive linee interpretative.

 

7. L’intervento del “Decreto immigrazione”

 

Con il D.L. n. 113/2018 convertito nella legge n. 132/2018, si è attuato e completato in via legislativa quel processo di riordino che il Ministro dell’interno aveva avviato con la circolare del 5 luglio 2018 diramata ai prefetti e alle Commissioni territoriali con la quale, sottolineando come il permesso di soggiorno per motivi umanitari fosse stato concesso per «una varia gamma di situazioni collegate a titolo esemplificativo allo stato di salute, alla maternità, alla minore età, al tragico vissuto personale, alle traversie affrontate durante il viaggio in Libia per arrivare ad essere uno strumento premiale dell’integrazione», le richiamava ad una «necessaria rigorosità nell’esame delle circostanze di vulnerabilità degne di tutela che, ovviamente, non possono essere riconducibili a mere generiche condizioni di difficoltà».

Tornando al punto centrale, va tenuto conto che il permesso di soggiorno umanitario era soggetto a rinnovo biennale e che la richiesta, presentata dall’interessato al Questore, veniva inoltrata telematicamente dalle Questure alle Commissioni Territoriali. Queste ultime erano tenute a riesaminare il caso e disporre un’audizione solo in presenza di specifiche segnalazioni a carico dei richiedenti da parte delle stesse Questure, viceversa, in assenza di indicazioni potevano procedere solo ad un mero riesame documentale (v. Circolari Commissione Nazionale del 30 aprile 2010 e 31 ottobre 2013). E in tali casi, essendo oberate dalle istanze di protezione internazionale, le Commissioni procedevano al rinnovo automatico del beneficio. Nel 2014 la protezione umanitaria ha rappresentato il 28% delle decisioni assunte dalle autorità amministrative, nel 2015 è scesa al 22%, nel 2016 è rimasta costante e, nel 2017 è arrivata al 25 %, aumentando gradualmente fino al 29% – 30% riscontrato tra aprile e maggio 2018 per regredire fino al 17% nel successivo mese di settembre e quindi tendere all’eliminazione dopo la novella del 5 ottobre.

Dunque, sommando il dato percentuale delle protezioni umanitarie prodotto dai collegi amministrativi (sia in fase di prima istanza, sia in fase di rinnovo), a quello derivante dall’accoglimento delle impugnazioni in sede giudiziale, la specifica tutela si collocava in una fascia complessivamente pari, se non in alcuni momenti di picco, addirittura superiore al 50%. Situazione questa che si ripercuoteva inevitabilmente sui rilevanti costi dell’accoglienza. È dunque su queste basi che il D.L. n. 113/2018 è intervenuto per delimitare l’ambito di esercizio della discrezionalità nella valutazione della protezione umanitaria alla sussistenza di ipotesi predeterminate. Del resto dal confronto con altri Stati europei come, ad esempio, la Germania, la Svizzera, la Danimarca, l’Austria e il Belgio è emerso come nei loro ordinamenti fossero previste, rispetto alla protezione internazionale, specifiche misure complementari tutte ricondotte ad ipotesi tassative.

Sotto questo profilo, quindi, l’introduzione del D.L. n. 113/2018 ha intesso riequilibrare il nostro sistema nazionale riconducendolo, in coerenza con il programma del sistema comune di asilo europeo – c.d. Ceas – al livello degli altri Stati Membri. A tal fine si è abrogato l’istituto del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari per introdurre specifiche norme volte a disciplinare ipotesi eccezionali di temporanea tutela dello straniero in presenza di esigenze di carattere umanitario che non ne consentono il rimpatrio.

L’articolo 1 del D.L., che ha espunto anche la menzione della titolarità del permesso di soggiorno per la richiesta di asilo, ha abrogato da un lato la protezione umanitaria prevista ex art. 5 co. 6 del D.Lgs. n. 286/1998 così come il permesso di soggiorno rilasciato ai sensi dell’art. 32, co. 3 del D.Lgs. n. 25/2008 e relativo ai seri motivi di particolare carattere umanitario risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato Italiano, e dall’altro, ha tipizzato i casi di applicazione della tutela complementare, prevedendo permessi di soggiorno speciali con durata limitata. Tra questi il permesso:

  • per cure mediche in favore di stranieri che presentano situazioni patologiche di eccezionale gravità della durata corrispondente all’attestazione sanitaria e, comunque, non superiore ad un anno, rinnovabile finché la situazione di necessità di cure è debitamente documentata;
  • per motivi di protezione sociale rivolto alle vittime di violenza o di sfruttamento con concreti pericoli per l’incolumità dello straniero. L’ipotesi integra, per espressa previsione, un caso speciale che, come tale, pone in luce la non ordinarietà della protezione. Il permesso di soggiorno è esteso anche al lavoratore straniero oggetto di particolare sfruttamento il quale denunci il datore di lavoro e cooperi nel procedimento penale. Anche tale ipotesi configura “caso speciale” ed il predetto permesso è convertibile in permesso di soggiorno per lavoro subordinato o autonomo;
  • per le vittime di violenza domestica, compresi i casi di abuso sotto il profilo fisico, sessuale, psicologico o economico. In tal caso il permesso ha durata di un anno e consente l’equiparazione del destinatario ai cittadini italiani al fine di fruire delle provvidenze e delle prestazioni di assistenza sociale;
  • per situazioni di eccezionale calamità che non consente allo straniero il rientro e la permanenza nel Paese di provenienza in condizioni di sicurezza. Il permesso, con durata di sei mesi, consente l’accesso al lavoro ma non è convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro;
  • per atti di particolare valore civile con durata di due anni e rinnovabile;
  • per i casi di non accoglimento della domanda di protezione internazionale e al contempo di non sottoponibilità allo straniero ad espulsione o respingimento per il rischio di deprivazione di diritti umani fondamentali Si tratta, nella fattispecie, del caso in cui opera il divieto di espellere e di respingere – c.d. non refoulement – il richiedente in uno Stato in cui esso rischi di essere esposto a persecuzioni per i motivi di razza, sesso, religione, appartenenza ad un gruppo sociale, ad una nazionalità o ad una etnia o per opinioni politiche. (La disposizione replica qui il permesso che veniva concesso dal questore per i motivi di cui all’art. 119, co. 1 e 1.1 del T.U. Immigrazione al quale faceva rinvio l’art. 32, co. 3 del D.Lgs. n. 25/2008).

Dunque, solo nel quadro di tali permessi di soggiorno la tutela complementare trova applicazione rispetto alla protezione internazionale. Ulteriore tutela che permane è, tuttavia, quella della protezione per rilevanti esigenze umanitarie che ai sensi dell’art. 20 del T.U. Immigrazione del 1998, previo d.p.c.m. adottato d’intesa con i Ministri degli Affari Esteri e dell’Interno per ragioni di solidarietà sociale, trova applicazione, mediante la previsione di misure di protezione temporanea, nei casi di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in Paesi non appartenenti all’Unione Europea.

 

8. Incidenza della legge 132/2018 sulle attività delle Commissioni territoriali

 

La novella ha avuto una particolare incidenza sulle competenze delle Commissioni territoriali che ora, in conseguenza della modifica dell’art. 32, c.3 del D.Lgs. n. 25, sono chiamate ad adottare decisioni soltanto sulla protezione internazionale – e quindi sullo status di rifugiato e sulla protezione sussidiaria – e non più sui casi di protezione complementare, tutti rimessi al Questore, con la sola esclusione di quello in cui, pur non ritenendo sussistenti le ipotesi di status e di sussidiaria, ritengano che ricorra il non refoulement che integra i presupposti per l’applicazione del divieto di espulsione. In tali circostanze la Commissione trasmette gli atti al Questore per il rilascio del relativo permesso di soggiorno che recherà la dicitura “protezione speciale”, avrà la durata di un anno, sarà rinnovabile consentendo lo svolgimento di un’attività lavorativa senza prevedere, comunque, la possibilità di conversione in permesso per motivi di lavoro.

Alle Commissioni è dato di svolgere un esame prioritario quando le domanda di protezione internazionale sia palesemente fondata; sia presentata da persona vulnerabile; sia presentata da un richiedente sottoposto a trattenimento, o qualora l’istante provenga da paesi in grave stato di crisi, eventualmente individuati per la diretta applicazione della protezione sussidiaria. Le Commissioni decideranno invece per il rigetto dell’istanza nei casi di insussistenza dei presupposti della protezione internazionale; di ricorrenza di una delle clausole di esclusione o di cessazione dalla protezione; di manifesta infondatezza; di inammissibilità (quando all’istante sia stato già riconosciuto lo status da altro Stato firmatario della convenzione di Ginevra; quando abbia reiterato identica domanda senza addurre nuovi elementi dopo una prima decisione negativa della Commissione; quando presenti una nuova domanda strumentalmente per eludere l’allontanamento); in pendenza di procedimento penale per uno dei reati rientranti nel novero dell’art. 407 c.2, lett.a) c.p.p. come ampliato dallo stesso d.l. ed in presenza di condanna con sentenza anche non definitiva per la commissione di uno dei predetti reati.

Un innovativo strumento per l’accelerazione delle procedure, che contemporaneamente integra uno dei motivi di rigetto, è costituito, in base all’art. 7 bis della legge in esame, dall’ elenco dei Paesi di origine sicuri che, attualmente in corso di predisposizione, una volta adottato con Decreto del Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, di concerto con i Ministri dell’Interno e della Giustizia, sarà sottoposto a periodico aggiornamento.

Tale disposizione esplica sia effetti di carattere sostanziale che di carattere procedurale.

Quanto ai primi si osserva che l’art. 9, c.2 bis del D.Lgs. n. 25/2008 prevede un rafforzamento dell’onere della prova in capo al richiedente; infatti detta norma stabilisce che la decisione di rigetto della Commissione, che configura un’ipotesi di manifesta infondatezza ai sensi dell’art. 28 ter, c.1, lett.b del D.Lgs. n. 25/2008, sia motivata dando atto esclusivamente che il richiedente non ha dimostrato la sussistenza di gravi motivi per ritenere non sicuro il Paese di origine, in relazione alla sua situazione particolare.

Sotto il profilo procedimentale la domanda di un richiedente che proviene da uno dei Paesi in questione è oggetto di esame prioritario ai sensi dell’art. 28, c.1, lett. c) ter, e contestualmente è oggetto di procedura accelerata ai sensi dell’art. 28 bis, c.1 bis del suddetto provvedimento normativo. Anche in tali casi, infatti, la Questura provvede “senza ritardo” alla trasmissione degli atti alla Commissione territoriale che adotta la decisione entro cinque giorni.

Tra le cause di esclusione del beneficio della protezione internazionale la legge annovera altresì il caso della domanda di asilo reiterata (art. 9), vale a dire la «domanda ulteriormente proposta dopo che è stata adottata una decisione definitiva su una domanda precedente, anche nel caso in cui il richiedente abbia esplicitamente ritirato la domanda e nel caso in cui la Commissione territoriale abbia respinto la domanda in seguito al suo implicito ritiro» ai sensi dell’art. 23 bis, c. 2 del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25.

In tale contesto è rimasta in vigore l’ipotesi della c.d. domanda reiterata semplice recata dall’art. 29 c.1, lett.b del D.Lgs. n. 25/2008, riferita al caso in cui il richiedente abbia presentato identica domanda dopo che sia stata presa una decisione da parte della Commissione stessa, senza addurre nuovi elementi in merito alle sue condizioni personali o alla situazione nel suo Paese di origine. In un’ottica di maggiore speditezza la novella normativa ha confermato nei predetti casi una procedura accelerata prevedendo una tempistica più stringente della precedente per cui la Questura trasmette “senza ritardo” la documentazione necessaria alla Commissione territoriale che adotta la decisione entro cinque giorni.

È stato, inoltre, previsto che nel caso in cui lo straniero presenti una prima domanda reiterata nella fase di esecuzione di un provvedimento che ne comporterebbe l’allontanamento imminente dal territorio nazionale, la stessa è considerata inammissibile in quanto presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione del provvedimento. Opera, dunque, in tale circostanza, iure et de iure, una presunzione di strumentalità correlata alla concomitanza di due condizioni riferite l’una alla presentazione della domanda presentata dopo una decisione definitiva (della Commissione o del giudice) sulla domanda precedente e l’altra alla presentazione della domanda dopo che sia iniziata l’esecuzione del provvedimento espulsivo. La sussistenza di tali presupposti esclude l’esame della domanda.

La disposizione ha operato un sostanziale allineamento al disposto della direttiva 2013/32/UE laddove venivano previste deroghe al diritto di rimanere nel territorio dello Stato nelle more dell’esame della domanda di protezione. La trasformazione della reiterata strumentale in “causa di esclusione” è stata oltretutto sostenuta dall’attivazione di una procedura accelerata che si svolge in termini brevissimi (cinque giorni) dinanzi alla Commissione Territoriale.

Viene altresì introdotta una procedura di frontiera per le domande presentate alla frontiera o nelle zone di transito dopo che lo straniero è stato fermato per aver eluso o tentato di eludere i controlli. Le frontiere presso cui potrà essere svolta la predetta procedura saranno individuate con Decreto del Ministro anche mediante l’istituzione di ulteriori sezioni delle Commissioni Territoriali fino ad un massimo di cinque.

La rivisitazione della materia in tema di riconoscimento della protezione internazionale ha riguardato anche le decisioni di revoca e cessazione della protezione, provvedimenti questi, rientranti nella competenza della Commissione nazionale per il diritto di asilo. Ai fini della revoca, in base all’art. 13, letto in combinato disposto con l’art. 12, co. 1, lett c), D.Lgs. n. 251/2007 secondo il quale «lo straniero costituisce un pericolo per l’ordine e la sicurezza dello Stato, essendo stato condannato con sentenza definitiva per i reati indicati ai sensi dell’articolo 407, comma 2, lettera a) del codice di procedura penale». In tali circostanze la Commissione nazionale avvia il procedimento amministrativo per la revoca della protezione internazionale a suo tempo riconosciuta.

L’applicazione della norma, tuttavia, ha consentito di verificare la frequente ricorrenza, a carico del titolare di protezione internazionale, di reati contigui ma non perfettamente aderenti a quelli enucleati dall’art. 407 co. 2, lett. a) c.p.p. che, seppure riconducibili a situazioni di rischio e di grave pericolo per la sicurezza pubblica, non consentivano di procedere alla revoca del beneficio. Ciò avveniva prevalentemente in due circostanze integranti tipologie di reati particolarmente gravi come quelle di cui agli artt. 73 (produzione traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti o psicotrope), limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’art. 80, co. 2 (traffico di ingenti quantitativi di droga) e 74 del D.P.R. n. 309/1990 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope); o anche nelle ipotesi di violenza sessuale di cui all’art. 609 bis c.p. nelle ipotesi aggravate dell’art. 609 ter, quater e octies c.p. In tali fattispecie la normativa limitava l’applicazione della revoca della protezione internazionale alle ipotesi aggravate, di tal che, in assenza delle stesse, lo stesso titolo di reato non consentiva di procedere alla revoca del beneficio. Ne conseguiva che la Commissione nazionale era tenuta a confermare la “protezione” a stranieri che pure avevano commesso gravi reati.

Il decreto, che ha eliminato il predetto limite della presenza di circostanze aggravanti, ha posto in essere, anche sotto tale profilo, un’azione di necessario riequilibrio, di coerenza e di equo bilanciamento tra il diritto di asilo ed il dovere dei destinatari di protezione di rispettare le leggi dello Stato ospitante. In tale ottica ha anche disposto l’ampliamento del novero dei reati di grave allarme sociale, già previsti dall’art.407 c.2, lett. a) c.p.p., includendo ulteriori ipotesi criminose come la  violenza o minaccia a pubblico ufficiale resistenza a pubblico ufficiale, le lesioni personali gravi e gravissime, le pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili, l’organizzazione dell’ingresso illecito degli stranieri in Italia, le lesioni personali gravi o gravissime a pubblico ufficiale di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive, e varie fattispecie aggravate del delitto di furto. Ai reati di cui agli artt. 12, c.1, lett. c) e 16, c.1, lett. d-bis) del d. lgs 251/2007, con la novella – e più specificamente con il disposto dell’art. 10, c.1, lett. a) che modifica l’art. 32 del D.Lgs. n. 25/2008 – è stato collegato il procedimento immediato innanzi alla Commissione Territoriale che ha luogo in due specifiche ipotesi: 1) sottoposizione del richiedente a procedimento penale per uno di detti reati e ricorrenza delle condizioni che ne consentono il trattenimento ai sensi dell’art. 6, c.2 , lett. a, b e c)  del D.Lgs.  n. 142/2015; 2) condanna del richiedente anche con sentenza non definitiva per uno dei suddetti reati.

In tali circostanze il Questore è tenuto a dare “tempestiva comunicazione” alla Commissione Territoriale che deve provvedere “nell’immediatezza” all’audizione del richiedente stesso, adottando contestualmente la propria decisione la cui efficacia esecutiva, in caso di ricorso, non è soggetta a sospensione.

Rispetto alla Cessazione dal beneficio della protezione internazionale, di cui è sempre competente la Commissione nazionale per il diritto di Asilo, il decreto ha tenuto in debito conto i “rientri nel Paese di origine” effettuati dal titolare di protezione internazionale, in quanto essi costituiscono indici del mutamento di quelle circostanze sulle quali, all’inizio, aveva trovato fondamento il riconoscimento della protezione. Rientri che prevalentemente interessano il Pakistan, il Mali e l’Afghanistan e che, in base alle segnalazioni della Polizia di Frontiera pervenute nell’arco di tempo intercorrente tra settembre 2017 e la fine di ottobre 2018, hanno superato le mille unità (1323 accertati alla frontiera). Era dunque necessario, per calmierare questi spostamenti, spesso non sorretti sotto il profilo documentale da situazioni giustificative, prevedere che sia per lo status di rifugiato, sia per la protezione sussidiaria, fatta salva la valutazione del caso concreto, ogni rientro nel Paese di origine venisse considerato rilevante ai fini della cessazione.

Con l’art. 10, c.1, lett. a), è stato anche introdotto nell’ordinamento nazionale l’istituto della protezione all’interno del Paese d’origine, previsto all’art. 8 della Direttiva 2011/95/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio (c.d. Direttiva qualifiche – rifusione).

La norma prescrive che la domanda di protezione internazionale debba essere rigettata qualora, in una parte del Paese d’origine ricorrano le seguenti condizioni: 1) il richiedente non ha fondati motivi di essere perseguitato o non corre il rischio effettivo di subire danni gravi o ha accesso alla protezione contro persecuzioni o danni gravi; 2) può legalmente e senza pericolo recarsi in quell’area ed esservi ammesso; 3) si può ragionevolmente supporre che vi si stabilisca.

Preliminarmente, l’esame sull’alternativa di protezione interna richiede l’individuazione dell’area di provenienza del richiedente (intesa come luogo nel quale si concentrano i suoi interessi prevalenti) e dell’area di eventuale ricollocazione.

La prova della ricorrenza delle suddette condizioni integrative della fattispecie richiede un attento esame della situazione individuale e familiare del richiedente, nonché un’approfondita valutazione delle informazioni sul Paese d’origine. In ragione di tale ultimo requisito, si verifica un’inversione dell’onere della prova che, in tal, caso è in capo all’autorità decidente.

 

9. Impatto della riforma sull’accoglienza dei titolari di protezione umanitaria

 

L’equiparazione della misura complementare alle altre due tipologie di protezione internazionale, aveva consentito ai diretti destinatari di poter fruire dell’accoglienza sia nei centri governativi, che nei centri diffusi sul territorio del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati – SPRAR – gravando sui consistenti oneri a carico dello Stato. Nelle strutture di accoglienza erano presenti alla fine di settembre 2018 ben 150.425 migranti, ai quali venivano garantiti i servizi previsti dallo schema di capitolato (di cui al D.M. del 7/3/2017) calibrato su un sistema di accoglienza indifferenziato che accoglieva tutti coloro che erano in attesa della definizione dell’esame della domanda di protezione internazionale fino alla definizione, in caso di ricorso avverso il diniego della Commissione territoriale, dell’iter giurisdizionale.

L’analisi svolta comparando il dato delle presenze, i tempi medi di permanenza nelle strutture dei richiedenti asilo e l’elevato numero delle richieste di protezione internazionale pendenti (131.746 pratiche in trattazione presso le Commissioni territoriali all’inizio di luglio 2018), ha determinato il Ministro dell’Interno ad emanare due differenti e ravvicinate direttive (4 e 23 luglio 2018) in cui sono state delineate le linee operative da attuare in vista di una complessa azione riorganizzativa sia in materia di concessione dello status di rifugiato, sia nel campo dell’accoglienza e dell’erogazione dei servizi.

Corollario ineludibile del superamento della protezione umanitaria è stata, pertanto, l’esclusione dei titolari dei casi speciali di protezione umanitaria dall’accoglienza. Invero, per effetto delle disposizioni in esame, tutti coloro che chiedono asilo vengono ora ospitati – per il tempo necessario alle operazioni di identificazione, alla verbalizzazione della domanda di asilo e all’avvio della relativa procedura di esame, all’accertamento delle condizioni di salute e alla verifica di eventuali condizioni di vulnerabilità – nelle Strutture di Accoglienza di cui agli artt. 9 e 11 del D.Lgs. n. 142/2015.

L’esclusione dei titolari di protezione speciale dall’accoglienza, si è estesa anche alle misure di assistenza sociale che ora sono previste per i soli titolari di protezione internazionale. Invero la novella, mediante l’erogazione dei servizi di prima accoglienza e di assistenza ha differenziato coloro che hanno titolo di permanenza sul territorio da coloro che sono in attesa della definizione della propria posizione giuridica. Conseguentemente il Sistema precedentemente introdotto dalla c.d. legge Bossi-Fini per l’accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) ha assunto la nuova veste di “Sistema di protezione per i titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati” (SIPROIMI) in cui vengono previsti servizi integrati per agevolare l’inclusione sociale fino a conseguire una effettiva autonomia personale. In attesa della definizione della propria istanza, ai richiedenti asilo viene riservata l’accoglienza nei Cara e nei Cas senza possibilità di essere iscritti nell’anagrafe dei residenti fino all’esito della rispettiva procedura per il riconoscimento della protezione internazionale.

***

La delineata reingegnerizzazione del sistema di protezione internazionale, così come dell’accoglienza ad esso strettamente correlata, costituisce, dunque, il primo turning point registrato fino ad ora nella strategia migratoria interna, adottata dal nostro Paese e, certamente, essa integra il tentativo di rispondere in modo immediato e concreto alle esigenze della collettività, emerse dal più recente dibattito politico. La sua attuale indubbia efficacia deterrente potrà, tuttavia, trovare il proprio momento apicale in termini di contenimento e di governance del fenomeno migratorio, solo all’avverarsi della condicio sine qua non, costituita da un’estesa ed incisiva azione di rimpatrio. Un’azione verso la quale il nostro Paese è già da tempo proteso e che, ove fosse attuata all’interno di una sinergica cornice di politica europea, riuscirebbe a consolidare concretamente i progressi compiuti in sessant’anni di storia nel comune cammino dell’Europa[1].

 

* Contributo sottoposto a valutazione.

[1] Breve nota Bibliografica: Tutti i dati sono di Fonte Ministero dell’Interno – Commissione Nazionale per il Diritto di Asilo. Per approfondimenti, F. Gallo, Protezione umanitaria, natura e profili di diritto comparato in Itinerari Interni, 3/2018 p. 76 ss.; S. Sarti, L’Italia dei rifugiati, Cittalia, settembre 2010, Dossier Statistico Immigrazione 2018 (Centro Studi Ricerche IDOS).

 

Abstract

Sandra Sarti, Prospettive per la protezione internazionale dopo l’approvazione del D.L. n. 113/2018

Il fenomeno migratorio ha richiesto in Italia un processo di riordino, che è stato attuato e completato con il D.L 113/2018, convertito nella legge 132/2018. L’articolo permette di orientarsi nella complessa vicenda della protezione internazionale, oggetto di frequenti polemiche, non sempre fondate su una verifica equilibrata delle norme e delle loro applicazioni, prospettando le ragioni delle novità introdotte.

Parole chiave: immigrazione, protezione internazionale, protezione umanitaria, diritto di asilo, strategia migratoria italiana.

 

Sandra Sarti, Perspectives for international protection after approval of the D.L. n. 113/2018

The migration phenomenon has required a reorganization process in Italy, which was implemented and completed by Legislative Decree 113/2018, converted into law 132/2018. The article allows us to orient ourselves in the complex affair of international protection, the subject of frequent controversy, not always based on a balanced verification of the rules and their applications, presenting the reasons for the innovations introduced.

Key words: immigration, international protection, humanitarian protection, right of asylum, Italian migration strategy.