Antonio Maria Costa
Già Vice Segretario ONU e Direttore Esecutivo dell’UNODC
Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine  

Sommario: 1. La droga nel mondo (2022) ‒ 2. Scienza e terapia ‒ 3. Contrasto e riciclaggio ‒ 4. Prevenzione e salute ‒ 5. Recupero e sviluppo.

 

Ringrazio il Presidente Ronco e saluto i partecipanti a questo incontro. Esprimo particolare gratitudine all’amico Alfredo Mantovano che ha accettato di buon grado la mia partecipazione remota. Per ragioni professionali il tema mi appassiona. Ma questa è solo parte della storia: partecipo volentieri all’evento soprattutto poiché, senza consultazione, centrate il dibattito su quattro concetti che mi stanno a cuore: scienza, contrasto, prevenzione, recupero. La coincidenza tra il vostro ed il mio pensiero mi permettete di addentrarmi subito nel tema, previa una breve introduzione sulla situazione della droga nel periodo attuale.

 

  1. La droga nel mondo (2022)

 

Al momento noto tre novità. La più significativa concerne l’Afghanistan, negli anni scorsi il principale produttore di oppio (circa 80% della fornitura mondiale), usato dai talebani per finanziare la guerriglia. Ora al potere, il 3 aprile il leader Haibatullah Akhundzada annuncia: «la coltivazione del papavero è vietata in tutto il Paese. Chiunque in violazione, avrà la coltivazione distrutta e sarà punito secondo la legge islamica». Una decisione potenzialmente di grande portata, ma ancora difficile da interpretare. L’obiettivo può essere uno, oppure molteplice: adempiere a un convincimento di natura religiosa, e/o guadagnare apprezzamento internazionale, e/o ridurre la tossicodipendenza nazionale, e/o rivalutare il valore delle scorte, e/o facilitare lo sblocco delle risorse nazionali per ora sanzionate. Difficile da dire.

Secondo: importanti sono gli avvenimenti in Siria dove, a seguito della diminuzione degli scontri bellici, produzione e traffico di droga sono esplosi, ormai istituzionalizzati. Si tratta di hashish coltivato nella Valle di Beqaa, amfetamine destinate all’Europa, e Captagon per il Medio Oriente (Arabia Saudita). Terzo sviluppo: si riconfermano in crescita i traffici di cocaina attraverso l’Atlantico e poi lo Sahel, oggi immenso “buco nero” di sovversione (jihadism) e traffico (persone e droga). Questo da lato dell’offerta.

Vediamo il lato domanda. Dopo un decennio di esperienza nell’osservatorio internazionale di Vienna ritengo che l’attuale politica continua a limitare il danno alla salute.

Il consumo di droga è confermato tra 1 e 5% della popolazione (in relazione al paese di consumo, tipo di droga e frequenza d’uso), mentre l’uso di altre sostanze che causano dipendenza, tabacco e alcool, eccede il 25-30%. La droga uccide circa 600 mila persone l’anno nel mondo, mentre il tabacco causa 6 milioni di decessi, e l’alcool 3 milioni. Secondo i sostenitori del regime attuale (noi, raccolti in questa sala), questi dati confermano che l’attuale politica della droga (basata sulle convenzioni ONU) limita uso e decessi. Sulla base degli stessi dati gli oppositori ritengono che la droga è meno dannosa delle altre sostanze, e può essere legalizzata. Il dibattito inevitabilmente continua.

Le tendenze recenti confermano un altro aspetto della politica odierna, fortemente negativo: il sistema di controlli causa enormi benefici alla criminalità organizzata. Cifre da capogiro ripetute negli anni, che permettono ai legalizzatori di giustificare la loro causa: “gli Stati devono generare reddito tassando il libero commercio della droga, piuttosto che lasciarlo nelle tasche della mafia”. L’argomento fa presa sugli elettori: come controbatterlo?

Sono convinto che sia possibile ricalibrare la politica della droga per risolvere questo problema, senza causare rischio alla salute (legalizzandola). Salute e sicurezza non sono alternative, una rispetto all’altra. Entrambe sono prioritarie e lo Stato moderno può e deve proteggere entrambe. Per realizzare quest’obiettivo dobbiamo modificare i nostri comportamenti, come propongo più avanti, nella sezione dedicata al contrasto.

Ultimo aspetto introduttivo: dobbiamo andare oltre al dibattito droga controllata oppure libera, e pensare alla società globale.

La politica della droga deve essere più attenta ai bisogni della gente lungo l’intera catena del mercato, dai poveri agricoltori che la coltivano, ai disperati tossicodipendenti che la consumano, fino alla gente coinvolta nel fuoco incrociato: pensate alle migliaia di vittime in Messico, Filippine, Tailandia e così via. Le tendenze recenti aggiungono un senso di urgenza ai contenuti dei quattro pilastri proposti nell’ambito di questo convegno (scienza, contrasto, prevenzione, recupero).

  1. Scienza e terapia

 

In primo luogo, la scienza deve giocare un ruolo chiave nella politica della droga. Non dobbiamo solo ridurre il danno causato da essa: dobbiamo sprigionare la sua capacità di fare del bene. Può sembrare un’idea radicale, ma in realtà risale alle origini del controllo narcotici. Secondo il Preambolo della Convenzione Unica ONU «l’uso medico degli stupefacenti è indispensabile per alleviare il dolore, (…) occorre assicurarne la disponibilità». Questo è il nobile obiettivo antiproibizionista della proibizione della droga, se mi permettete il ​​gioco di parole. La natura ha assegnato a ogni pianta funzioni a volte contrastanti. Farmaci antidolorifici (per esempio, la morfina), sono derivati dalla pianta che uccide di più: l’oppio. Eppure l’80% della morfina al mondo è somministrata ai malati in sei Paesi. Dobbiamo superare i fattori culturali, professionali e socio-economici che cospirano per negare a un malato nel terzo mondo i farmaci offerti ai ricchi.

Similmente, dobbiamo potenziare l’uso della cannabis terapeutica. Tra i 400 ingredienti c’è il cannabidiol, che è anti-dolorifico, efficace contro epilessia e sclerosi multipla. Dobbiamo lottare in modo costruttivo contro la lobby pro-droga che accantona i farmaci a base di cannabis (Dronabinol e Nabilone) e proclama il diritto di farsi una canna medicinale. Invito a prestare maggiore attenzione all’aspetto terapeutico della droga, per affrontare le sofferenze umane pur mantenendone il controllo, e non come una porta di servizio verso la legalizzazione della medesima (come rischia di diventare).

 

  1. Contrasto e riciclaggio

 

Dobbiamo avere il coraggio di passare a un tipo di contrasto diverso dal passato, diventando seri nella lotta contro trafficanti e intermediari. Se questa osservazione sorprende taluni è necessario riflettere: i proventi illeciti della droga circolano liberamente nel sistema economico. Ho personalmente constatato che tutte le grandi banche internazionali sono state e rimangono coinvolte nel riciclaggio del denaro mafioso per centinaia di miliardi. Chi gestisce i miliardi dei clan mafiosi è impunito, mentre il tossicodipendente finisce in galera. Sembra un’osservazione banale, ma non lo è. Visitate una prigione negli USA, oppure in Brasile o tanti Paesi in Asia: piene di giovani (per lo più neri), parte tossici, parte spacciatori, parti detentori. Nelle visite a galere di mezzo mondo non ricordo di avere incontrato un singolo banchiere finito in carcere per riciclaggio dei proventi da droga. Eppure conosciamo le imputazioni contro Wachovia Bank (oggi parte di Well Fargo), incolpata di riciclare 420 miliardi di dollari da narcotici di Sinaloa, e poi lasciata andare senza punizione alcuna. E le accuse a Deutsche Bank, City Corp, HSBC, UBS e tante altre per miliardi di dollari ed euro. Riconosciamolo: i “banchieri-canaglia” non vanno in galera, il giovane con pochi grammi invece ci marcisce.

Il fallimento della lotta al riciclaggio non è uno scandalo soltanto in sé, in quanto permette ai gestori di attività illegali di godersi i redditi criminali che generano. Soprattutto danneggiano la reputazione della politica di controllo della droga. Quando parlo di contrasto ho in mente, certo, polizia, tribunali, carceri e così via. Ma c’è molto di più. Occorre contrastare non solo i banchieri, ma anche la lobby pro-droga che loro finanziano.

Negli Usa in particolare, e sempre di più in Europa, esistono gruppi di pressione capaci di mobilitare enormi somme per influenzare cittadinanza e Parlamenti contro le norme vigenti, in definitiva per votare in un possibile referendum, oppure influenzare i legislatori. Il business della cannabis legale, iniziato da piccoli produttori, è ora quotato in borsa. Ne fanno parte anche i grandi colossi farmaceutici, alimentari e del tabacco, per un giro di affari previsto che raggiunge qualche centinaio di miliardi di euro nel mondo. I narcos in occhiali scuri di Sinaloa sono sostituiti da finanzieri in colletto bianco di Wall Street, nella City, in una privatizzazione delle conseguenze economiche di un atto politico che socializza il danno alla salute.

Se non affrontiamo efficacemente la minaccia rappresentata dalla criminalità organizzata, dai “banchieri-canaglia” al loro servizio, e dalle lobby che li proteggono, le nostre società saranno tenute in ostaggio, e il controllo della droga sarà messo a repentaglio dai rinnovati appelli ad abolire le convenzioni ONU sulla droga.

 

  1. Prevenzione e salute

 

Si può discutere senza fine come contrastare il commercio della droga, e come punirne le violazioni. A mio avviso la politica più efficace mira a prevenire il delitto. Riflettete su queste statistiche: in Svezia, Paese assai libero in costumi e comportamenti, la diffusione della cannabis tra gli studenti di scuola media è sotto il 25%. In Italia è sopra il 60%. Ebbene, alla domanda: “sapete che la cannabis è nociva alla salute?”, il 75% degli studenti svedesi risponde affermativamente, mentre solo il 25% degli italiani ne sono consapevoli. L’esperienza dimostra che i programmi di educazione civica in fatto di droga aiutano il giovane ad astenersi. Se la scuola è passiva, il giovane ne paga le conseguenze.

Per questo, propongo un approccio equilibrato. Le azioni di ridurre la coltivazione della droga e di interrompere i flussi illeciti sono vitali, ma non finiranno mai, a meno che non riduciamo il numero di tossicodipendenti che li alimenta. Ridistribuendo le risorse verso la prevenzione della domanda, rendiamo più sostenibile la repressione dell’offerta. Sembra un gioco di parole nuovamente, ma non lo è: più risorse a favore di prevenzione e recupero rendono le spese per il contrasto più efficaci. E non c’è misura preventiva più efficace di quelle condotte attraverso la famiglia e la scuola.

 

  1. Recupero e sviluppo

 

Dopo anni di esperienza ONU raccomando di avviare i tossicodipendenti verso terapia, riabilitazione e programmi di riduzione del danno, non verso la prigione. I dati sulla recidiva sono convincenti: dall’esperienza di recupero viene fuori oltre metà dei malati, dal tunnel della detenzione non si esce praticamente mai. La salute è la partenza e anche la destinazione della politica della droga: in realtà molte società mancano di adeguati programmi di prevenzione, cura e reinserimento. A volte questo è il risultato di carenze economiche; più frequentemente è dovuto a decisioni politiche errate. Di conseguenza, i tossicodipendenti, a milioni, sono spinti ai margini della società, privati ​​delle cure mediche, esposti a condizioni (compresa la reclusione) che aggravano la condizione, mentre cantanti, modelle, imprenditori ed altri ricchi tossici entrano in cliniche private, in un diluvio di flash tv.

Anche il contesto socio-economico generale gioca un ruolo. A causa della (recente) crisi, ma soprattutto a causa di globalizzazione, la disparità di reddito cresce tra le Nazioni, e all’interno di esse. Mentre affrontare la tossicodipendenza non è priorità nei Paesi poveri, i Paesi ricchi sono in grado di stanziare risorse considerevoli. Se volete scoprire la severità del problema, visitate i bassifondi di Nairobi o Mombasa, dove folle di eroinomani vagano per le strade; o i vicoli di Bissau o Conakry, per vedere i soldatini (minorenni) di gruppi criminali stranieri, fumare il crack che si sono guadagnati fornendo la logistica locale alle spedizioni transnazionali; oppure visitate il Medio Oriente e del Sud-est asiatico dove cresce il consumo di droghe sintetiche, ora prodotte internamente.

In tutto il mondo, milioni di drogati (compresi i bambini) vengono mandati in prigione, non in cura. In alcuni Paesi, la terapia di liberazione dalla droga equivale a un trattamento crudele e disumano, l’equivalente della tortura. In certi Paesi i reati riguardanti gli stupefacenti comportano la condanna a morte, automatica; a volte i trafficanti vengono eliminate da sicari al di sopra della legge. Tutto ciò deve finire, altrimenti la reputazione della nostra visione politica in fatto di droga rimane macchiata e perdiamo forza di convincimento.

Per concludere e ricapitolare, sostengo il diritto alla salute, l’abbandono della criminalizzazione, la lotta ai “banchieri-canaglia”, la prevenzione attraverso la scuola, e l’assistenza al terzo mondo che si impegna sugli stessi programmi.